[lid] – Nell’area mediatica del sistema Perugia il monito è chiaro: i fari sono subito puntati sull’indagato, che di regola è presentato con toni marcatamente ed inossidabilmente colpevolisti, specialmente se è stato preceduto da una vera e propria campagna di stampa denigratoria nei suoi confronti.
L’indagato appare come imputato, il rinvio a giudizio suona come una condanna. In poche parole, la persona ora sottoposta ad indagini che dovrebbe presumersi innocente viene trasformata in un presunto reo, colpevole in attesa di giudizio. Su di lui comincia a gravare quel sospetto del non detto che lo fa additare come malfattore, pur in assenza di fatti commessi. E di condanne. Le vittime sono gli eroi e santificati.
Contemporaneamente viene veicolata una rassicurazione collettiva -tanto immediata quanto sommaria – sull’efficienza delle forze dell’ordine nel contrasto alla ‘ criminalità’.
La presunzione di innocenza ne esce ulteriormente mortificata se non annichilita.
Il cerchio dei giornalisti sono le nuove ancelle della giustizia, sono loro che chiedono alla Procura di aprire un’indagine.
Il pubblico ministero il nuovo tribuno dei diritti delle vittime.
Il suo protagonismo è connaturato alla fase processuale che rappresenta il terreno di colture del processo mediatico – se non il suo unico centro di interesse – ossia la fase delle indagini preliminare, in cui gli indagati sono semplici soggetti passavi.
L’avvocato che tutela l’indagato versa in una posizione decisamente scomoda perché il rovesciamento della presunzione di innocenza lo colloca non solo fuori gioco ma lo pone come una persona poco credibile di fronte alla ‘solida’ concretezza dell’iniziativa giudiziaria.
Pertanto ogni manovra difensiva e in primis l’invocazione del rispetto delle regole procedurali necessarie all’accertamento della verità, potrà essere vista come un tentativo di sottrarre il presunto reo alla spada di Damocle della giustizia, fino a far apparare il difensore come un autentico sodale del proprio assistito, quasi compartecipe.
Allora guai a dissentire dall’opinione pubblica dominante che ti costringe alla conformità degli atteggiamenti e comportamenti la cui pena è l’isolamento sociale che dissente.
Il Giudice è stretto nella morsa e quasi messo con le spalle al muro da un orizzonte di attesa che gli impone non di valutare la concreta sussistenza e rilevanza penale e le relative responsabilità individuali ma a dire che parte sia: dalla parte della pubblica opinione o dalla parte degli indagati.
Il discorso è ancora più complesso quando a fronte di una virulenta campagna mediatica potrebbe mettere in discussione la più antica virtù che deve contraddistinguere lo ius dicere, ossia l’imparzialità che viene profondamente alterata nel processo parallelo, minacciando l’equidistanza di chi deve giudicare.
La bilancia della Giustizia perde il suo equilibrio e la dea bendata perde la sua benda che assicura l’imparzialità.
In questa cornice per assolvere ci vuole molto coraggio.
Parafrasando Catone il censore da Rem tene, verba sequentur a Rem tene, crimina sequentur (possiedi l’argomento e il crimine seguirà da sé).
In questo contesto il passo dal diritto penale del fatto al diritto penale d’autore è breve ed è spesso segnato in un processo che si instrada lungo un percorso volto ad addebitare colpe per quel che si è non per ciò che si fa.