
(AGENPARL) – lun 28 novembre 2022 AQUILEIA, LE GRANDI TERME ROMANE SVELANO
DUE NUOVI SETTORI INESPLORATI
Un vasto settore con vasche, mosaici e fontane e un’ampia area destinata ai bagni
di acqua calda portati alla luce nelle ultime ricerche dell’Università di Udine
Aperto un nuovo settore di indagine, nell’area occidentale del grande edificio termale
Udine, 28 novembre 2022 – Due nuove “perle” delle Grandi Terme romane di Aquileia,
costruite nella prima metà del IV secolo d.C., sono state portate alla luce negli ultimi scavi fatti
dalla missione archeologica dell’Università di Udine nell’area. Si tratta di un vasto ambiente
che ospitava grandi vasche, mosaici e fontane e di un’ampia area dell’abside (ambiente
semicircolare) del calidarium, la zona destinata ai bagni in acqua calda. Le indagini si sono
concentrate in due settori del grande edificio termale: quello a sud est, dove lo scavo prosegue da
alcuni anni, e quello a ovest, in un settore nuovo, nell’area degli ambienti riscaldati. Le ricerche
sono state condotte su concessione ministeriale, in accordo con la Soprintendenza
Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia-Giulia e in collaborazione scientifica con
Cristiano Tiussi, direttore di Fondazione Aquileia, che ha assicurato il sostegno economico allo
scavo. Il video dell’area delle Grandi Terme https://youtu.be/qD8EXEO1kuM
Il cantiere-scuola
La campagna di scavi è stata condotta, a settembre e ottobre, da un gruppo di ricerca del
dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale, diretto da Matteo Cadario, coadiuvato
da Marina Rubinich. Alle ricerche hanno partecipato 25 studentesse e studenti dei corsi di laurea
triennale, in Beni culturali, e magistrale, in Archeologia e Culture dell’antichità, e della Scuola
interateneo di specializzazione in beni archeologici. «Tutte le attività di scavo, documentazione e
lavaggio dei materiali – sottolineano Cadario e Rubinich – sono state svolte anche allo scopo di
preparare al meglio i futuri archeologi ad agire in un cantiere».
Vasche e fontane
Nel settore nord-orientale è stato messo in luce un ambiente di oltre 200 metri quadrati che,
nella prima fase delle terme (IV secolo d.C.), ospitava grandi vasche e forse fontane.
L’elemento più impressionante è la poderosa fondazione dell’ambiente in calcestruzzo e grossi
frammenti di colonne reimpiegate, prevalentemente in marmo cipollino. Sulla struttura, spessa oltre
un metro e 60 centimetri, poggiavano vari strati di mattoni intorno a una vasca circolare di otto
metri di diametro. Vasche, nicchie e pareti dovevano essere decorate con tessere musive in vetro
colorato e lastre sagomate di marmi pregiati, i cui resti si trovano nei riempimenti della fase
successiva. Tra la fine del IV e gli inizi del V secolo, infatti, la vasca circolare fu colmata e
l’ambiente ricoperto da un mosaico a grandi tessere con un reticolo di quadrati contenenti grandi
fiori stilizzati. Si creò così un nuovo vano rettangolare, lungo 15 metri, che fa parte di una
importante ristrutturazione non solo di questo lato nord, ma anche di quello sud, a ben 140 metri di
distanza.
Le sistematiche spoliazioni delle strutture murarie condotte a partire dal tardo Medioevo hanno
asportato tutti i muri fino a notevole profondità, rendendo molto difficile la lettura delle diverse fasi.
Tuttavia, qualche raro documento dell’antico lusso dei frequentatori delle Grandi Terme si è
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salvato. Tra questi un grano di collana in vetro a stampo con una minuscola testina
femminile databile, per la sua acconciatura, al III secolo d.C., rinvenuto proprio in uno di questi
riempimenti. Lo scavo in quest’area è stato guidato da Marina Rubinich, con il supporto di un
piccolo nucleo di professionisti, studenti e specializzandi affidato a Luciana Mandruzzato.
Il calidarium
Nel nuovo scavo nel settore occidentale, che ha interessato un’area di circa 150 metri quadrati, è
stata messa in luce quasi completamente l’ampia abside del calidarium, la parte delle terme
destinata ai bagni in acqua calda e di vapore, con cui l’edificio si concludeva. Dell’abside
dissestata dai crolli delle volte e priva del muro di fondo asportato successivamente, si conserva la
massiccia preparazione del pavimento, caratterizzata dall’inserimento di centinaia di lastrine in
marmi colorati. L’identificazione del calidarium è assicurata dalla presenza del doppio sistema di
riscaldamento a ipocausto (pavimento sopraelevato sostenuto da pilastrini lapidei) e a parete
(intercapedine formata da grandi tubuli fittili rettangolari). Entrambi erano alimentati dalla
circolazione di aria calda proveniente dai forni.
Intorno all’abside è stata poi riconosciuta la presenza di una piattaforma in laterizi, ampiamente
spoliata, pertinente ad ambienti di servizio, tra cui almeno due praefurnia (i forni dove si bruciava
la legna), gli imbocchi dei quali sono stati parzialmente messi in luce. La presenza di spessi livelli
di bruciato nell’ipocausto e il deterioramento dei pilastrini dovuto al forte calore dimostrano che il
calidarium è stato utilizzato a lungo. E questo nonostante le dimensioni e gli alti costi del suo
funzionamento, il che costituisce un’ulteriore prova della vitalità dell’Aquileia tardoantica. Lo scavo
nell’area, organizzato come cantiere-scuola, è stato eseguito da Chiara Bozzi e Federica Grossi,
sotto la diretta supervisione di Matteo Cadario. «La scoperta dell’abside – spiega Cadario,
docente di archeologia classica – consentirà in futuro di allargare lo scavo allo scopo di mettere in
luce integralmente l’area riscaldata dell’edificio».
«Le Grandi Terme con la loro imponenza rappresentavano un tratto distintivo della grandezza di
Aquileia in età imperiale – spiega la Soprintendente del Friuli Venezia Giulia, Simonetta Bonomi
–. Indagarne i resti e comprenderne lo sviluppo funzionale e costruttivo, come sta da tempo
facendo l’Università di Udine, costituiscono sia una meritoria e importante impresa scientifica sia il
presupposto imprescindibile per una futura valorizzazione».
«I risultati dello scavo delle Grandi Terme sono per la Fondazione Aquileia – sottolinea il direttore,
Cristiano Tiussi – di grande importanza perché la prospettiva della valorizzazione di questo
straordinario ed enorme edificio dovrà rappresentare, per tutti noi, una sfida ineludibile in un futuro
non troppo lontano».
L’Università di Udine ad Aquileia
La presenza dell’Ateneo friulano alle Grandi Terme è ormai consolidata da due decenni e nelle
campagne di scavo annuali si sono formati oltre 600 studenti di archeologia. Dal 2016, anno della
prima concessione di scavo dal Ministero, allora dei beni e delle attività culturali, fu avviata una
nuova e proficua collaborazione con la Soprintendenza e la Fondazione Aquileia, che aveva
appena acquisito l’area in gestione.
Storia e caratteristiche dell’edificio
Le Grandi Terme di Aquileia, o Thermae felices Constantinianae, come sono chiamate
nell’iscrizione di una base di statua di Costantino rinvenuta nell’area, furono costruite (o
completate) per volontà di Costantino stesso nel corso dei primi decenni del IV secolo d.C. Allora
Aquileia era uno dei porti principali del Mediterraneo e ospitava spesso l’imperatore. La loro
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collocazione nella zona sud-occidentale della città, nella località detta poi Braida Murada adiacente
a Via 24 Maggio, tra l’anfiteatro e il teatro, suggerisce la progettazione di un grande quartiere
dedicato all’otium e alle attività ludiche, protetto dalle nuove mura tardoantiche. Gli scavi
dell’Università di Udine, ricollegandosi a quelli condotti dalla locale Soprintendenza archeologica
nel corso del ‘900, hanno permesso di ricostruire un edificio “fuori scala” anche per una città
importante come Aquileia, con elevati superiori a 10 metri e con un’estensione pari a circa 2,5
ettari (25.000 metri quadrati), paragonabile quindi solo alle grandi terme imperiali pubbliche
costruite a Roma da Caracalla, Diocleziano e Costantino stesso.
Un intervento di questa portata dimostra la volontà di Costantino di dotare anche Aquileia, come le
altre città divenute residenze imperiali alla fine del III sec. d.C. (Milano, Trier, Arles, Antiochia), di
una magnifica struttura termale, adeguata al suo ruolo strategico e degna della frequentazione
della corte. Nelle terme imperiali l’edificio era organizzato intorno a un asse centrale formato dalle
aule che offrivano di bagnarsi consecutivamente in acque di temperature diverse (calda, tiepida e
fredda) secondo il modello di pratica balneare peculiare del mondo romano.
Gli scavi hanno finora rivelato: ampi saloni pavimentati con raffinati mosaici policromi
geometrici e figurati o in tarsie di pietre e marmi multicolori; l’enorme frigidarium, con le sue
grandi vasche per i bagni freddi; la parte centrale della grande piscina (natatio) lastricata in cui
si poteva nuotare; gli ambienti del settore nord-orientale, dove è ancora visibile la
sovrapposizione di tre fasi successive con i rispettivi mosaici; alcuni ambienti riscaldati del
settore occidentale.
In particolare, dalla grande aula nord provengono i mosaici di eccezionale pregio oggi
conservati al Museo archeologico nazionale di Aquileia e raffiguranti soggetti marini e atletici.
Ossia i temi caratteristici della decorazione delle terme imperiali, dove erano previsti spazi per
agonismo e training sportivo. Le didascalie in greco provano l’intervento di raffinate maestranze
di origine greca/orientale.
I rifacimenti e i restauri dei mosaici dimostrano che le terme costantiniane continuarono a vivere
fino al termine del V secolo d.C., anche oltre il famoso saccheggio di Attila del 452 d.C. Tra il VI
e il VII secolo i ruderi furono riutilizzati a fini abitativi da piccoli nuclei familiari e, dopo il definitivo
abbandono e il crollo delle volte e degli elevati, diventarono una grande cava di pietre e mattoni da
riutilizzare come materiale da costruzione o da cuocere per ottenere calce.
La spoliazione dei resti delle terme si intensificò in età tardomedievale (XIII-XIV secolo),
eliminando tutti i resti delle strutture fino alle fondazioni dei muri. Così si trasformò completamente
l’aspetto del sito, che prima dell’inizio degli scavi moderni si presentava come un campo coltivato,
proprio grazie a grandi riporti di terra disposti sulle macerie.
Oggi delle terme si conservano quindi solo i pavimenti e le trincee di spoliazione dei muri
depredati fino all’età moderna.
Varie zone dell’edificio sono state indagate più volte nel corso del XX secolo dalla locale
Soprintendenza e da alcuni dei nomi più noti dell’archeologia aquileiese: Giovanni Battista Brusin
(1922-1923); Luisa Bertacchi (1961); Paola Lopreato (1980-1987). «Gli scavi del ‘900 – spiegano
Cadario e Rubinich – furono però pubblicati solo in parte e soltanto con le nuove metodologie di
scavo stratigrafico, introdotte nel 2002 con l’inizio delle attività dell’Ateneo udinese, è stato
possibile ricollegare i nuovi ritrovamenti a quelli pregressi e indagare non solo le fasi di epoca
romana, ma anche quelle che dal Medioevo a oggi hanno reso il sito un paesaggio
prevalentemente agricolo».
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