
(AGENPARL) – Roma, 01 ottobre 2022 -L’analisi sui fenomeni delittuosi condotta dalla DIA nel secondo semestre 2021 sulla base delle evidenze investigative, giudiziarie e di prevenzione conferma ancora una volta che il modello
ispiratore delle diverse organizzazioni criminali di tipo mafioso appare sempre meno legato a eclatanti
manifestazioni di violenza ed è, invece, rivolto verso l’infiltrazione economico-finanziaria. Ciò
appare una conferma di quanto era stato già previsto nelle ultime Relazioni ed evidenzia la strategicità
dell’aggressione ai sodalizi mafiosi anche sotto il profilo patrimoniale, arginando il riutilizzo dei
capitali illecitamente accumulati per evitare l’inquinamento dei mercati e dell’Ordine pubblico
economico.
Una direttrice d’azione importantissima che ha consentito sino ad ora di ridurre drasticamente la
capacità criminale delle mafie evitando effetti che altrimenti sarebbero stati disastrosi per il “sistema
Paese”.
Lo scorso 29 ottobre 2021 la Direzione Investigativa Antimafia ha celebrato, nel palazzo del
Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica, i 30 anni della sua attività.
Da quella data è partito un percorso che ha coinvolto 24 città con l’esposizione dell’“Antimafia
itinerante” una mostra che racconta la storia ed i successi della DIA, una Istituzione nata anche con
il sacrificio di tanti servitori dello Stato che hanno contribuito alla costruzione di un moderno
strumento di contrasto alla criminalità organizzata che ci viene invidiato dalle Law Enforcement di
tutto il mondo.
La mostra fotografica “Antimafia Itinerante” ha percorso il Paese e, tramite 34 pannelli con foto,
immagini e cronaca dei giornali, ha rievocato 30 anni di storia e di passione delle donne e degli uomini
della DIA nell’azione di contrasto alle mafie.
L’esperienza, anche in termini di testimonianza alle nuove generazioni della storia e della cultura
antimafia, ha raccolto risultati lusinghieri ed è stata visitata da oltre 200.000 persone.
L’“Antimafia Itinerante” ha evidenziato i numerosi ambiti d’intervento della DIA che spaziano
dall’azione giudiziaria e preventiva antimafia a quella del contrasto all’infiltrazione criminale nel
settore degli appalti pubblici a supporto delle Prefetture, fino all’analisi e allo sviluppo delle
segnalazioni di operazioni finanziarie sospette in stretta collaborazione con l’Ufficio di Informazione
Finanziaria della Banca d’Italia e la Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo nella lotta al
riciclaggio. Ha inoltre riassunto le attività complessivamente portate a termine dalla DIA, ben 1.135
indagini, che hanno consentito l’arresto di 11.478 soggetti e la sottrazione di beni alle mafie per oltre
7,5 miliardi di euro. In particolare, ha anche ricordato le catture di 177 latitanti tra cui spiccano i noti
Leoluca BAGARELLA, Giuseppe MALLARDO, Francesco SCHIAVONE e Angelo
NUVOLETTA.
La mostra ha altresì sottolineato come la DIA abbia sempre svolto un contrasto qualificato che, al
passo con i tempi, è stato sempre più rivolto anche oltre confine mediante un’intensa attività di
cooperazione internazionale a livello bilaterale e multilaterale. In quest’ambito la Direzione ha fornito
e continua a fornire agli uffici del Dipartimento della Pubblica Sicurezza il proprio contributo
mediante l’elaborazione di specifici documenti di analisi volti a riscostruire le linee evolutive della
criminalità organizzata transnazionale e tramite la programmazione di numerose attività formative
per diffondere le metodologie e le best practices più efficaci per la lotta al fenomeno mafioso.
Al riguardo, e ritornando a tempi più recenti, si richiama il progetto @ON – Antimafia Operational
Network, finanziato dalla Commissione Europea, di cui la DIA è project leader e al quale hanno già
aderito 22 Paesi partner, finalizzato a potenziare l’azione di contrasto internazionale alle mafie non
solo sul piano operativo ma anche tramite una energica opera di sensibilizzazione degli omologhi
stranieri volta a dare nuova e più rafforzata consapevolezza del fenomeno transnazionale della
criminalità organizzata e di quella di tipo mafioso. Un’altra importante iniziativa di cui la DIA è
partner strategico è la progettualità I CAN – Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta della
Direzione Centrale della Polizia Criminale tesa ad accrescere la cooperazione internazionale di
polizia nel contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso e concorrere, nello specifico, a
disarticolare le ramificazioni globali della minaccia criminale costituita dalla ‘ndrangheta.
L’attenzione permane ovviamente sempre alta anche sul panorama nazionale. Ne è chiaro esempio il
rinnovato asset operativo della DIA sul territorio che è stato rafforzato con l’istituzione il 1° marzo
2022 della Sezione Operativa di Potenza fortemente voluta dalle Istituzioni nazionali e locali per
incrementare l’azione di contrasto antimafia in quel territorio. Ancora, nel prossimo mese di ottobre
2022 sarà inaugurata la nuova Sezione Operativa di Cagliari che assicurerà in modo più stabile tutte
le azioni volte a fronteggiare la criminalità strutturata nel territorio della Sardegna.
Del resto, da 30 anni la DIA fotografa semestralmente l’assetto delle organizzazioni mafiose mediante
il costante e quotidiano impegno di personale dedicato all’analisi della criminalità organizzata italiana
ed estera specificamente rivolta all’approfondimento del fenomeno mafioso in tutte le sue
sfaccettature. Un’azione “dinamica” che oltre a descrivere l’operatività dei gruppi mafiosi ne disegna
le linee di tendenza e i profili evolutivi in tutti i contesti territoriali, restituendo un quadro attuale e
soprattutto “predittivo” indispensabile per orientare tutte le strutture del sistema antimafia del Paese.
L’obiettivo della presente Relazione è ancora oggi quello di cogliere tempestivamente i segnali di
tendenza più recenti delle azioni criminali e le linee operative mafiose per poter orientare al meglio
ad ogni livello la risposta delle Istituzioni e offrire una protezione sociale sempre più efficace tramite
l’attento esame di tutte le investigazioni preventive e giudiziarie svolte a livello nazionale, anche in
forza della cooperazione internazionale.
A margine della presentazione di questo documento giova evidenziare come il già menzionato
impegno delle Istituzioni antimafia nazionali, e segnatamente della DIA, nel corso degli anni ha
portato a importantissimi risultati anche oltre confine. I sistemi normativi nazionali, seppure
profondamente diversi, hanno trovato punti di convergenza grazie allo sforzo profuso negli anni dalle
Istituzioni italiane e dalla DIA per far maturare la consapevolezza dell’esistenza, anche all’estero, del
fenomeno mafioso e delle sue conseguenti insidie.
Nel quadro della menzionata cooperazione internazionale per il contrasto alla criminalità organizzata,
nel 2020 è stata introdotta una novità da tempo attesa concernente l’utilizzo degli strumenti normativi
a carattere transnazionale. Il 16 ottobre 2020, infatti, i rappresentanti di 190 Paesi presenti alla riunione
plenaria della Convenzione sulla lotta alla criminalità organizzata transnazionale di Vienna hanno
approvato all’unanimità una proposta presentata dall’Italia, e nota come Risoluzione Falcone,
finalizzata ad attualizzare e rendere più efficace la Convenzione di Palermo sottoscritta nel 2000 con
l’intento di pervenire ad una lotta alla mafia “senza confini” e a rendere eseguibili tutte le confische di
prevenzione dei beni situati nei diversi Paesi europei.
Un ulteriore elemento tangibile della maturata consapevolezza sull’importanza del contrasto
patrimoniale alle mafie dell’UE va individuato nella successiva entrata in vigore (19 dicembre 2020)
del “Regolamento (UE) 2018/1805 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018”
afferente al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca, inedito
strumento di cooperazione tra gli Stati membri che afferma il principio del mutuo riconoscimento anche
nell’ambito delle misure di prevenzione patrimoniali. Il Regolamento Europeo, giuridicamente
vincolante e direttamente applicabile, disciplina tutti i provvedimenti di congelamento e di confisca
emessi nel quadro di un “procedimento in materia penale” sia in conseguenza di procedimenti connessi
con ipotesi di reato, sia in assenza di una condanna definitiva.
Nel medesimo ambito si colloca l’ulteriore proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del
Consiglio datata 25 maggio 2022 riguardante il recupero e la confisca dei beni COM/2022/245 final
volta a rafforzare l’azione delle autorità nazionali nel tracciare, identificare, congelare, confiscare,
gestire e destinare i beni derivanti da attività criminali ispirandosi ancora una volta al modello italiano.
La Commissione Europea propone, tra l’altro, l’allargamento dell’ambito di applicazione della Direttiva
ad una più vasta fattispecie di reati e la possibilità di procedere alla confisca qualora il soggetto proposto
per l’applicazione della misura ablatoria non sia in grado di giustificare la lecita provenienza dei beni,
nonché l’introduzione della confisca – per equivalente – che dovrebbe essere poi consentita anche nel
caso in cui la condanna non sia possibile a causa di una serie di circostanze riferite all’indagato o
all’imputato, come la malattia e la latitanza (già incluse nella direttiva 2014/42/UE) e finanche la morte,
l’immunità o l’amnistia con la scadenza dei termini previsti dalla legge nazionale.
Le disposizioni contenute nella suddetta proposta si basano sull’articolo 83 del Trattato sul
Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e impongono agli Stati membri di garantire che i beni
congelati o confiscati siano poi gestiti in modo efficiente fino alla loro destinazione finale nell’ottica di
preservarne il valore e ridurne al minimo i costi di gestione.
Tale indirizzo sulla cooperazione internazionale mette in luce il chiaro intento di realizzare un
esauriente quadro normativo che comprenda tutti gli aspetti più rilevanti del processo di asset recovery.
Di particolare rilevanza l’articolo 28 della prefata proposta che mira a garantire altresì la cooperazione
tra gli asset recovery offices dei Paesi Membri UE e l’Ufficio del Procuratore Europeo (EPPO), di
Europol e di Eurojust al fine di agevolare il rintraccio e l’identificazione dei beni suscettibili di confisca.
Appare evidente come la consolidata esperienza italiana in materia di misure antimafia e, in particolare,
quelle concernenti le misure di prevenzione patrimoniali rappresenti anche per gli altri Paesi una
disciplina all’avanguardia a cui ispirarsi.
Per quanto riguarda le mafie italiane, gli esiti delle più rilevanti inchieste concluse nel semestre
restituiscono ancora una volta l’immagine di una ‘ndrangheta silente ma più che mai pervicace nella
sua vocazione affaristico imprenditoriale, nonché costantemente leader nel narcotraffico.
Persiste tuttavia la preoccupazione legata ad un modello collaudato che vede la criminalità
organizzata calabrese proporsi ad imprenditori in crisi di liquidità offrendo forme di sostegno
finanziarie parallele e prospettando la salvaguardia della continuità aziendale con l’obiettivo, invero,
di subentrarne negli asset proprietari e nelle governance. Tutto ciò al duplice scopo di riciclare le
proprie risorse economiche di provenienza illecita e di impadronirsi di ampie fette di mercato
inquinando l’economia legale.
La minaccia in tal senso è rappresentata dalla comprovata abilità dei sodalizi calabresi di avvicinare
e infiltrare quell’area area grigia che annovera al suo interno professionisti compiacenti e pubblici
dipendenti infedeli in grado di consentire l’inquinamento del settore degli appalti e nei più ampi
gangli gestionali della cosa pubblica.
Con specifico riferimento al settore sanitario, ove già nel tempo sono emerse significative criticità,
l’emergenza pandemica ne ha evidenziato ancor più la vulnerabilità come dimostrato a titolo
esemplificativo dagli esiti di una serie di operazioni di polizia recentemente concluse e meglio
descritte nei paragrafi dedicati alle province calabresi.
Il fenomeno mafioso calabrese imperniato su quella forte connotazione familiare che l’ha reso fino al
recente passato quasi del tutto immune dal fenomeno del pentitismo non può oggi essere analizzato
senza tener conto del pressoché inedito impatto determinato dall’avvento nei contesti giudiziari di un
numero sempre crescente di ‘ndranghetisti che decidono di collaborare con la giustizia. Inoltre
diverse inchieste giudiziarie continuano a dar prova dell’attitudine delle ‘ndrine a relazionarsi
agevolmente sia con le sanguinarie organizzazioni del narcotraffico sudamericano, sia con politici,
amministratori, imprenditori e liberi professionisti potenzialmente strumentali al raggiungimento dei
propri obiettivi.
Grazie alla diffusa corruttela verrebbero condizionate le dinamiche relazionali con gli Enti locali allo
scopo di ricavare indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche sino a
controllarne le scelte. Risulterebbe pertanto inquinata la gestione della cosa pubblica e spesso alterata
la competizione elettorale.
Anche al di fuori dei territori di origine, la ‘ndrangheta esprimerebbe la sua rilevante capacità
imprenditoriale grazie peraltro al narcotraffico che ne determina l’accrescimento delle ingenti risorse
economiche a disposizione. I sodalizi calabresi, infatti, si pongono quali interlocutori privilegiati con
le più qualificate organizzazioni sudamericane garantendo una sempre più solida affidabilità. D’altra
parte il settore de quo non sembra aver fatto registrare flessioni significative neanche nell’ultimo
periodo e nonostante le limitazioni alla mobilità imposte per contenere la pandemia.
Sempre con riferimento al traffico di droga appare significativo il rinvenimento di numerose
piantagioni di cannabis coltivate in varie aree della Regione. Si tratta di una circostanza che allo stato
non permette di escludere il coinvolgimento della criminalità organizzata nel fenomeno della
produzione e lavorazione in loco di sostanza illecita destinata alla commercializzazione.
I sodalizi criminali calabresi hanno da tempo dimostrato di essere straordinariamente abili
nell’adattarsi ai diversi contesti territoriali e sociali prediligendo, specialmente al di fuori dai confini
nazionali, strategie di sommersione in linea con il progresso e con la globalizzazione.
Fuori Regione, quindi, oltre ad insidiare le realtà economico-imprenditoriali le cosche tentano di
replicare i modelli mafiosi originari facendo leva sui valori identitari posti alla base delle strutture
‘ndranghetiste.
Come detto la ‘ndrangheta, anche al di fuori dei territori di origine, esprime la sua potenza
imprenditoriale grazie alla proliferazione del narcotraffico che determina l’accrescimento delle ingenti
risorse economiche di cui dispone. In questo ambito criminale significative risultanze investigative
hanno confermato la centralità degli scali portuali di Gioia Tauro, Genova, La Spezia, Vado Ligure e
Livorno per l’approdo di stupefacenti. Si conferma la presenza delle cosche ‘ndranghetiste in numerose
Regioni italiane (Lazio, Piemonte e Valle D’Aosta, Liguria, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto,
Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Sardegna) e anche all’estero, sia
nei Paesi europei (Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Germania, Austria, Repubblica
Slovacca, Romania e Malta), sia nei continenti australiano e americano (con particolare riferimento al
Canada e negli USA).
La criminalità organizzata siciliana si presenta con caratteristiche diverse nelle varie aree della
Regione; in Sicilia occidentale cosa nostra si conferma strutturata in mandamenti e famiglie e
improntata secondo schemi meno rigidi rispetto al passato per quanto riguarda la ripartizione delle
competenze territoriali delle predette articolazioni mafiose.
Nella provincia di Agrigento si continua a registrare una “zona” permeabile anche all’influenza di
un’altra organizzazione, la cosiddetta “stidda”, che è riuscita con gli anni ad elevare la propria statura
criminale fino a stabilire con le altre famiglie patti di reciproca convenienza. Trapani fortemente
influenzata nel corso degli anni dalla mafia palermitana non può prescindere dal ruolo del latitante
Matteo MESSINA DENARO. Egli nonostante la latitanza resterebbe la figura di riferimento per tutte
le questioni di maggiore interesse, per la risoluzione di eventuali controversie e per la nomina dei vertici
delle articolazioni mafiose anche non trapanesi.
Cosa nostra si conferma organizzazione tendenzialmente unitaria sempre più tesa alla ricerca di una
maggiore interazione tra le varie articolazioni mandamentali in mancanza di una struttura di raccordo
di “comando al vertice”. In tale ottica e considerata la costante inoperatività della commissione
provinciale di Palermo, la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative risultano esercitate
perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà. Per la città di Palermo infatti
numerose sono le scarcerazioni di importanti boss per espiazione della pena o perché posti in libertà
vigilata ovvero alla detenzione domiciliare. A tali personaggi mafiosi si affiancano giovani criminali
che forti di un cognome o parentela “di spessore” vanno a ritagliarsi nuovi spazi territoriali e criminali
in funzione di supplenza dei boss detenuti. Tale situazione potrebbe generare incomprensioni tra la
vecchia e la nuova generazione.
Nella Sicilia orientale ed in particolare nella città di Catania cosa nostra è rappresentata dalle storiche
famiglie alle quali si affiancano altri sodalizi che, seppur fortemente organizzati e per quanto regolati
secondo gli schemi tipici delle consorterie mafiose, evidenziano maggiore fluidità sul piano
strutturale non configurandosi organicamente in cosa nostra. Le numerose attività repressive condotte
nell’arco degli anni hanno determinato l’arresto dei vertici e creato dei vuoti nelle posizioni di
comando. Nelle province di Siracusa e Ragusa sono tangibili le influenze di cosa nostra catanese e
in misura minore della stidda gelese nel solo territorio ibleo.
Minimale continua ad essere il ricorso alla violenza da parte di tutte le organizzazioni mafiose. Le
stesse infatti confermano la centralità del business che le vedrebbe, a volte contrapposte, a convivere
sullo stesso territorio per la spartizione degli “affari”. Questa mafia sempre più silente e
mercantilistica privilegerebbe, pertanto, un modus operandi collusivo-corruttivo nel quale gli accordi
affaristici non sono stipulati per effetto di minacce o intimidazioni ma sono il frutto di patti basati
sulla reciproca convenienza.
A tale riguardo, storica è la vocazione di cosa nostra catanese di penetrare e di confondersi nel tessuto
economico legale del capoluogo, in quello imprenditoriale e nelle dinamiche della gestione locale
della cosa pubblica. Nel tempo anche le altre organizzazioni di tipo mafioso hanno perseguito la
medesima strategia abbandonando il più possibile l’idea di affermarsi sul territorio mediante azioni
eclatanti e destabilizzanti per la sicurezza pubblica. Si preferirebbe quindi individuare, all’interno
delle amministrazioni pubbliche locali e delle professioni o delle imprese, soggetti di riferimento in
grado di garantire il perseguimento dei propri interessi illeciti.
E’ la strategia mafiosa tesa a rafforzare l’interlocuzione con professionisti ed ambienti istituzionali
che, abbandonando il tradizionale ricorso a metodi cruenti per il controllo del territorio, privilegia
l’approccio corruttivo. L’azione spregiudicata e violenta del passato ha peraltro ceduto il passo alla
necessità di adottare strategie silenti di contaminazione e di corruzione. Accanto al controllo del
territorio, che resta comunque un’esigenza primaria dell’organizzazione, il percorso intrapreso dalle
mafie è quello di inserirsi nel panorama sociale ed economico di riferimento “coinvolgendo” la
pubblica amministrazione tramite manovre corruttive.
In questo scenario di stagnazione economico-produttiva che risente ancora della crisi pandemica e
che aggrava le aspettative soprattutto della popolazione giovanile trovano terreno fertile le consorterie
criminali che potrebbero infiltrare le risorse della Regione anche in considerazione dei fondi del
PNRR destinati all’Isola.
Sempre alta rimane l’attenzione nei riguardi dell’indebita percezione dei contributi comunitari per il
sostegno allo sviluppo rurale. Frequenti sono le attività di contrasto all’attività criminale riconducibile
alla c.d. mafia agricola nel contesto della quale si è delineata l’attività volta all’acquisizione di
contributi pubblici per l’agricoltura a seguito di false dichiarazioni e frodi in danno dell’U.E.
Nell’entroterra siciliano, infatti, il comparto agro-pastorale rappresenta il settore di traino per
l’economia che di conseguenza attira l’interesse delle consorterie mafiose che si avvarrebbero di
prestanome e professionisti compiacenti. Il fenomeno continua a manifestarsi in tutta la sua gravità
interessando le aree agro-pastorali del cuore della Sicilia e deviando ingenti flussi finanziari che, di
fatto, risultano sottratti al reale sostegno delle attività produttive ed allo sviluppo del comparto che è
destinato quindi a divenire sempre più marginale.
Quelle appena descritte sono solo alcune delle manifestazioni di una “mafia affaristica” che si avvale
di società di comodo e di imprenditori compiacenti o assoggettati e che continua a confermare il proprio
interesse su settori nevralgici per l’economia dell’Isola.
Tuttavia, malgrado la più attuale linea d’azione di cosa nostra sia quella di ridimensionare il ricorso
alla violenza per le ovvie ragioni suddette, la DIA, attraverso le sue articolazioni centrali e territoriali,
già da tempo, sta eseguendo mirate attività investigative sulle “stragi siciliane” del 1992 e sulle cd.
“stragi continentali” del 1993-1994, su input di specifiche deleghe ricevute dalle competenti Autorità
giudiziarie del territorio nazionale.
L’evasione delle numerosissime deleghe assegnate dalle Procure Distrettuali ha richiesto,
frequentemente, l’impiego diretto anche del II Reparto DIA. Complessivamente, da oltre 30 anni,
sono impegnati in tali indagini le risorse di ben cinque Centri Operativi e del II Reparto.
In particolare, il Centro Operativo nisseno, nel contesto delle indagini relative alla strage di via
Mariano d’Amelio a Palermo in cui il 19 luglio 1992 persero la vita Paolo Borsellino e gli agenti di
scorta, sta svolgendo particolari approfondimenti investigativi sulle dichiarazioni di un ex
collaboratore di giustizia che ha riferito ai magistrati di aver preso parte alla strage, sia nelle fasi
preparatorie, sia in quella esecutiva. Le investigazioni condotte dall’articolazione nissena sono state
improntate alla ricerca di riscontri sulle dichiarazioni rese dal collaboratore circa la sua asserita e non
provata presenza a Palermo, nonché sulla sua conseguente partecipazione alle fasi finali dell’attentato.
L’analisi delle attività di contrasto ha anche confermato la tendenza delle organizzazioni mafiose
siciliane ad avviare accordi o connivenze per l’acquisto di sostanza stupefacente in stretta sinergia
con narcotrafficanti calabresi e, contestualmente, sull’asse Colombia-USA-Italia, come documentato
dall’operazione “Stirpe e tentacoli” eseguita a Palermo dalla Polizia di Stato e dai Carabinieri il 20
luglio 2021 con l’arresto di 16 persone, compreso il reggente del mandamento di Ciaculli, struttura
criminale del capoluogo siciliano.
Non va sottaciuto poi il forte legame di cosa nostra con la criminalità Nord americana. Pregresse
attività d’indagine avevano già documentato una storica e sempre attuale centralità dei rapporti con
la cosa nostra di New York. Tali aspetti sono venuti alla luce anche nel semestre in esame grazie agli
esiti dell’operazione dei Carabinieri “Crystal Tower” che il 14 luglio 2021 ha portato all’arresto di
alcuni esponenti della famiglia palermitana di Torretta (mandamento di Passo di RiganoBoccadifalco) facendo emergere solidi collegamenti tra i membri della famiglia di Torretta con quelli
della famiglia INZERILLO che, fino all’avvento dei corleonesi capeggiati da RIINA Salvatore,
avevano retto il mandamento di Passo di Rigano, fra l’altro, gestendo, lungo l’asse Palermo – New
York, ingenti traffici di stupefacenti.
L’interesse delle consorterie mafiose siciliane fuori regione si rivolge (in particolare con riferimento
alle presenze in Lazio, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Molise)
prevalentemente all’infiltrazione nell’economia con la commissione di frodi fiscali e riciclaggio di
capitali.
All’estero, tra i Paesi più interessati al fenomeno, si segnalano Spagna, Germania, Rep. Slovacca,
Belgio, Olanda, Austria, Romania Malta, Canada, USA. Con riferimento alla Spagna il 17 dicembre
2021 nei pressi di Madrid, dopo una latitanza che durava da vent’anni, è stato arrestato dalla DIA di
Palermo, unitamente alla Polizia Nazionale spagnola, uno degli stiddari già considerato dal giudice
Giovanni Falcone il trait d’union tra la stidda isolana e alcuni gruppi operanti in Lombardia.
La lettura degli eventi che nel 2021 hanno riguardato il territorio della Campania restituisce il quadro
di un fenomeno mafioso caratterizzato, come afferma il Procuratore Nazionale Antimafia, Giovanni
Melillo, dal chiaro assetto di una camorra organizzata in un vero e proprio “sistema” basato su
stratificati e complessi livelli decisionali, nonché su una struttura criminale consolidata sul territorio
e dotata di un direttorio per la gestione e il coordinamento dei gruppi subordinati. La capacità di
generare ingenti profitti anche tramite attività criminali a “basso rischio giudiziario” che spaziano
dalle tradizionali attività dei cd. magliari del contrabbando e del gaming illegale alle truffe
telematiche e al controllo degli appalti, dalle aste giudiziarie, ciclo dei rifiuti ed edilizia pubblica e
privata fino alla nuova frontiera delle grandi frodi fiscali, ha infatti trasformato da tempo i principali
cartelli camorristici in vere e proprie holding imprenditoriali parti integranti dell’economia legale
supportate da stratificati sistemi relazionali fondati su legami personali molto spesso parentali e
connivenze in ampi settori dell’imprenditoria e nella pubblica amministrazione. Tutto ciò è peraltro
esemplificabile con quello che è stato dagli stessi affiliati denominato il “SISTEMA” ovvero una
struttura di coordinamento gestionale che le organizzazioni camorristiche si danno al fine di
raggiungere gli obiettivi comuni finalizzati esclusivamente al perseguimento dell’illecito
arricchimento. Tuttavia al margine dei grandi cartelli criminali e di quel mondo in cui gli interessi
mafiosi si congiungono con quelli dell’impresa persiste la “camorra dei vicoli e delle stese”, dei
conflitti tra bande che si disputano il controllo dei tradizionali mercati illeciti, del racket e della droga.
La potenza economica delle organizzazioni criminali anche campane viene assicurata principalmente
dal traffico di droga.
L’interesse fuori regione delle consorterie mafiose campane si rivolge prevalentemente al narcotraffico
e al riciclaggio di capitali, con particolare riferimento nel Lazio, in Liguria, Lombardia, Emilia
Romagna, Toscana, Umbria, Abruzzo e Molise.
All’estero, tra i Paesi più interessati al fenomeno, si segnalano Spagna, Francia, Olanda, Regno Unito
Germania, Austria, Repubblica Ceca e Romania; risulterebbero anche contatti con organizzazioni
criminali marocchine limitatamente all’acquisto di narcotici.
Nella mafia pugliese coesistono espressioni delinquenziali in continua evoluzione e tradizionalmente
distinte in mafia foggiana, camorra barese e sacra corona unita che hanno saputo sviluppare una
politica di consolidamento e di espansione territoriale caratterizzata sia da una penetrante e pervasiva
capacità di controllo militare del territorio, sia da una spiccata vocazione relazionale finalizzata
all’attuazione di un più evoluto modello di mafia degli affari. Proprio alla necessità di dare la giusta
attenzione ai fenomeni complessi e radicati di criminalità organizzata di stampo mafioso pugliese, è
riconducibile la nascita, il 20 luglio 2021, della “Commissione Regionale di studio e di inchiesta sul
fenomeno della criminalità organizzata in Puglia” il cui obiettivo è quello di contrastare l’infiltrazione
criminosa nell’attività pubblica anche tramite la collaborazione con altre amministrazioni territoriali,
istituzioni, organi della magistratura, forze dell’ordine e rappresentanze della società civile.
Tra le organizzazioni malavitose le cd. mafie foggiane, particolarmente violente e pervasive, sono
quelle oggi definite da diverse ed autorevoli fonti istituzionali quale l’espressione più pericolosa delle
mafie pugliesi. Quella foggiana è infatti una mafia molto strutturata e compatta capace di fare rete e
di creare interconnessioni oltre che con le mafie storiche, campane e calabresi anche con quelle transadriatiche e non disdegnano l’adozione di efferati programmi di espansione territoriale
extraregionale. A ciò si aggiunge la disponibilità di un vasto bacino di criminalità comune composto
da giovani leve, il ricorso spregiudicato alla violenza e la pronta disponibilità di ingenti quantitativi
di armi ed esplosivi che continuano ad essere i punti di forza su cui, a fattor comune, fanno leva i clan
della provincia di Foggia. Gli stessi coniugando tradizione e modernità hanno manifestato una
crescente propensione affaristica ed una capacità di interagire nella cd. zona grigia o “borghesia
mafiosa” in cui convergono gli interessi della criminalità e di alcuni esponenti infedeli della pubblica
amministrazione e dell’imprenditoria.
Al dinamismo che contraddistingue lo scenario criminale della provincia di Foggia, in particolare
quello relativo all’Alto Tavoliere e al Gargano, si contrappone il contingente momento di difficoltà
del fenomeno mafioso in Capitanata dove i risultati della pressante attività investigativa e delle
relative risultanze processuali hanno conseguentemente indebolito gli organici delle tre batterie in
cui si articola la società foggiana.
Non è escluso, tuttavia, che tale stato possa facilitare un processo di aggregazione che troverebbe
nella creazione di un organismo comune di vertice, anche di tipo collegiale, il suo massimo
compimento. E’ noto infatti come le formazioni mafiose operanti nel territorio di Foggia e provincia
riproducendo i canoni d’impostazione strutturale della ‘ndrangheta siano capaci di stabilire
interconnessioni al loro interno mediante l’adozione di modelli tendenzialmente federali cogliendo e
sfruttando le nuove ed innovative sfide della globalizzazione. La gestione di dinamiche e affari
sempre più vasti, diversificati e complessi ha portato infatti la criminalità organizzata foggiana ad
orientarsi sempre più verso uno schema consortile che nel perseguimento degli illeciti obiettivi mette
insieme le diverse articolazioni pur lasciando loro una significativa autonomia.
Per tali motivi le mafie foggiane vengono oggi definite da diverse ed autorevoli fonti istituzionali
quale l’espressione più pericolosa delle mafie pugliesi. Da qui la necessità di contrastarle non solo
nel modo tradizionale ma anche tramite iniziative di antimafia sociale volte ad isolare ulteriormente
le compagini criminali, privandole del consenso socio-ambientale su cui fondano la propria
sopravvivenza, nonché tese a promuovere contestualmente la “cultura antimafia” nelle diverse
componenti sociali specie giovanili. In tale prospettiva nel semestre in esame la città di Foggia è stata
al centro di iniziative ricomprese in un ampio programma di antimafia sociale, con il ruolo
fondamentale rivestito dall’Università di Foggia, che hanno visto la loro più alta espressione
nell’inaugurazione dell’Anno Accademico avvenuta il 25 ottobre 2021 a cui ha partecipato il
Presidente della Repubblica.
Anche nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto le operazioni di polizia giudiziaria del semestre
confermano l’esistenza sul territorio di organizzazioni mafiose in un panorama variegato.
Infine, ma non per ultime, le complesse dinamiche criminali che caratterizzano la città metropolitana
di Bari riverberano sui precari equilibri mafiosi di volta in volta raggiunti dai potenti clan che da
sempre si contendono il predominio territoriale nel capoluogo pugliese e in quello della provincia. Il
risultato è quello di un perdurante stato di fibrillazione del contesto criminale in alcuni periodi latente
e in altri, come nel periodo in esame, accentuato e con manifestazioni violente.
Nel secondo semestre 2021 infatti sono stati registrati numerosi ed efferati delitti che sottendono
quasi sempre decisioni criminali deliberate dai potenti vertici delle organizzazioni mafiose egemoni
e che, talvolta, lasciano presagire mutamenti negli assetti criminali, nelle alleanze o più
semplicemente nei taciti accordi di non belligeranza ed ingerenza.
Lo scenario del narcotraffico in continua evoluzione è fortemente influenzato dalla vicinanza
dell’Albania e dai traffici di stupefacenti provenienti dai Balcani. Nei rapporti tra la criminalità
pugliese e le consorterie albanesi appare consolidato il ruolo di punta assunto da queste ultime che
tendono ad utilizzare i canali gestiti dalle cosche pugliesi per il trasporto delle sostanze stupefacenti
anche oltre Regione verso il mercato internazionale. Importanti, al riguardo, gli esiti giudiziari
dell’operazione “Shpirti” del 2 luglio 2021, condotta dalla DIA e dalle Autorità albanesi, conseguiti
grazie alla Squadra Investigativa Comune – strumento di cooperazione giudiziaria istituito tra la DDA
di Bari, la Procura Speciale Anticorruzione e Criminalità Organizzata di Tirana ed Eurojust – che
hanno consentito alla DIA e alle Autorità albanesi di effettuare approfondimenti investigativi
congiunti avvalendosi del fondamentale ruolo di coordinamento assicurato dalla Direzione Nazionale
Antimafia e Antiterrorismo. L’inchiesta ha consentito di ricostruire l’intera “filiera” dello
stupefacente accertando l’esistenza di 4 potenti gruppi criminali operanti in Albania ed in contatto
con soggetti contigui alle organizzazioni baresi in grado di spedire in Europa ingentissimi quantitativi
di sostanza stupefacente.
Le mire fuori regione delle consorterie criminali pugliesi si rivolgono prevalentemente al traffico di
stupefacenti e al cosiddetto “pendolarismo criminale” finalizzato alla commissione di reati predatori.
Segnali di queste presenze sono stati colti in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Abruzzo, Molise.
Non mancano contatti con territori esteri, in particolare l’Albania per l’approvvigionamento di carici
di stupefacenti via mare, ma anche con Spagna, Romania, e Olanda.
La realtà criminale lucana ha compiuto nel recente passato un salto di qualità, registrando una
sempre più pervasiva presenza delle organizzazioni malavitose nella vita economica della Basilicata.
Queste considerazioni hanno portato alla recentissima istituzione a Potenza della Sezione Operativa
DIA inaugurata il 7 marzo 2022. Nella Regione i singoli clan organizzati per lo più su base territoriale
(provincia di Potenza, area Vulture-Melfese e provincia di Matera con la fascia jonico-metapontina)
hanno stabilito accordi con associazioni criminali di più alto spessore come quelle calabresi, pugliesi
e campane. Ne è conferma l’operazione “Lucania Felix” conclusa dalla Polizia di Stato il 29
novembre 2021 che ha disvelato l’esistenza, la permanenza e la continuità operativa del clan
MARTORANO-STEFANUTTI di Potenza e i suoi stretti legami a livello nazionale con i sodalizi
mafiosi della ‘ndrangheta calabrese quali la cosca GRANDE-ARACRI di Cutro (KR), la cosca
MANFREDI-NICOSIA di Isola Capo Rizzuto e quella dei BELLOCCO di Rosarno (RC).
L’attività delinquenziale privilegiata resta quella del narcotraffico nella quale le organizzazioni
criminali trovano ampi spazi di cooperazione anche con sodalizi stranieri. Ne è conferma l’operazione
“Idra” eseguita dai Carabinieri l’8 luglio 2021 i cui esiti hanno documentato come i gruppi gambiani
e nigeriani presenti nel territorio lucano risultino dediti all’approvvigionamento e alla
commercializzazione di significativi quantitativi di sostanze stupefacenti.
I gruppi criminali stranieri stanziali risultano diffusi sulla quasi totalità del territorio nazionale e
storicamente mostrano al centro-nord un prevalente grado di indipendenza ed autonomia rispetto alle
consorterie nostrane insediate in quelle regioni, agendo sovente su base paritetica.
Al sud invece la situazione appare più variegata se si considera che nell’operatività criminale dei
sodalizi stranieri maggiormente strutturati, come nel caso dei cults nigeriani con un elevato grado di
strutturazione interna ben definita, oltre ad una prevalente subordinazione alle organizzazioni mafiose
autoctone o comunque con l’assenso o l’asservimento a queste ultime in regioni come la Sicilia e la
Campania, si iniziano ad osservare, soprattutto negli ultimi anni, crescenti sacche di autonomia
rispetto al dominio incontrastato delle mafie locali. I predetti sodalizi infatti se inizialmente, come
nel caso della Campania, hanno semplicemente “beneficiato” dei vuoti lasciati dalle organizzazioni
camorriste, segnatamente perché queste ultime sono state progressivamente colpite da numerose
operazioni di polizia giudiziaria, successivamente sono andate affermandosi sempre di più
imponendosi peraltro nella ricerca di una crescente egemonia ad esempio sul controllo di intere piazze
di spaccio ovvero monopolizzando determinati canali di approvvigionamento della droga.
Quel che assume maggiore rilevanza tuttavia, come confermato da molteplici indagini svolte dalle
Forze di Polizia, è la costituzione di vere e proprie alleanze strategiche e opportunistiche con
esponenti di riferimento della criminalità organizzata autoctona che inducono a ipotizzare nuove e
diverse tendenze evolutive nel prossimo futuro. Tale mutamento di rapporti è oggetto di costante
attenzione investigativa dal momento che esso potrebbe condurre, nel tempo, a scenari inediti sotto il
profilo delle ormai storiche e consolidate mappature delle aree di dominio criminale, mutando i
rapporti di convivenza tra mafie locali e mafie etniche in vere e proprie forme di coesistenza
strutturale attuate mediante una precisa spartizione di assets e settori criminali senza reciproche
ingerenze.
L’interesse principale dei gruppi stranieri in Italia è incentrato sul traffico di droga ma sono
significativi per dimensioni e pericolosità anche la tratta di esseri umani e il favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina, che vanno annoverati tra i business più redditizi per le organizzazioni
di matrice straniera le quali estendono la propria operatività anche allo sfruttamento delle vittime
costrette alla prostituzione, al lavoro nero o all’accattonaggio.
Le consorterie albanesi denotano una particolare propensione e capacità a cooperare con i criminali
italiani. Ciò avviene soprattutto nel settore degli stupefacenti ma talvolta anche in quelli delle
estorsioni e dell’usura per l’acquisizione del controllo del territorio e lo spossessamento di attività
economiche. Al riguardo, numerose inchieste hanno dimostrato come i gruppi albanesi siano divenuti
punti di riferimento per le mafie italiane nell’approvvigionamento di sostanze stupefacenti, come
documentato dalla già citata operazione “Shpirti” del 2 luglio 2021 condotta dalla DIA di Bari con
l’ausilio dell’Ufficio di Collegamento Interforze di Tirana e della Polizia Albanese.
Le strutture criminali nigeriane sono attive su gran parte del territorio nazionale con presenze
importanti nelle isole maggiori in particolare a Palermo, Catania e Cagliari ma anche nel Lazio e in
Abruzzo. L’alto tasso di disoccupazione rilevato tra i nigeriani presenti sul territorio nazionale,
raffrontato col considerevole ammontare delle rimesse di denaro dall’Italia verso la Nigeria, consente
di ipotizzare che un significativo numero di soggetti disoccupati o in posizione di inattività di etnia
nigeriana presenti in Italia possa almeno potenzialmente essere attratto dalle compagini malavitose
autoctone o di quell’etnia e che i flussi delle rimesse, oltre alla quota sicuramente preponderante di
natura lecita che attesta l’operosità della comunità nigeriana, possano celare anche proventi di attività
illegali. Gli interessi criminali delle consorterie nigeriane si concentrano sulla tratta di esseri umani
connessa con lo sfruttamento della prostituzione e l’accattonaggio forzoso a cui si associa un
progressivo sviluppo nel settore del narcotraffico gestito talvolta in collaborazione con gruppi
criminali albanesi. Il traffico di stupefacenti continua infatti a rappresentare il core business dei
sodalizi nigeriani e la presenza di nigeriani in gruppi criminali multietnici viene confermata dalle
evidenze investigative del periodo in esame.
Proprio alla criminalità nigeriana è dedicato il focus del secondo semestre 2021, in considerazione
della crescente pervasività di queste consorterie. Si consideri innanzitutto che la comunità nigeriana
rappresenta oggi la terza componente demografica etnica africana presente in Italia dopo quella
marocchina ed egiziana, nonché la prima in Europa. Tale comunità tuttavia esprime una innegabile
valenza anche sotto il profilo delinquenziale. In dettaglio, la realtà criminale riferibile ai nigeriani si
concretizza nei c.d. secret cults i cui tratti tipici sono l’organizzazione gerarchica, la struttura
paramilitare, i riti di affiliazione, i codici di comportamento e più in generale un modus agendi che la
Corte di Cassazione fin dal 2010 ha più volte ricondotto alla tipica connotazione di “mafiosità”.
Appare pure particolarmente significativo evidenziare come siano state accertate riunioni periodiche
dei cult in varie città ed è altresì emerso il collegamento tra omologhi sodalizi operativi in diverse
città italiane. Appare oltremodo evidente come il contrasto alla criminalità nigeriana debba prevedere
necessariamente una sua conoscenza ampia, allargata e condivisa tra le forze di polizia e la
magistratura. Si ritiene questa la modalità privilegiata per fronteggiare efficacemente la delinquenza
nigeriana, considerandola alla stregua di un vero e proprio macro-fenomeno che non può prescindere
dalla conoscenza delle sue origini e delle sue proiezioni internazionali.
La criminalità organizzata cinese in Italia si è dotata nel tempo di una strutturazione gerarchica
incentrata principalmente su relazioni familiari e solidaristiche. I sodalizi cinesi si caratterizzano per
la loro sostanziale impermeabilità, rispetto ad altri gruppi criminali, che li rende chiusi e inaccessibili
da contaminazioni o collaborazioni esterne. Solo occasionalmente si rileva la realizzazione di accordi
funzionali con organizzazioni italiane o la costituzione di piccole consorterie multietniche per la
gestione della prostituzione, la commissione di reati finanziari e il traffico di rifiuti. Oltre alla
Toscana, dove i sodalizi cinesi si sono sviluppati parallelamente agli storici insediamenti da decenni
presenti nel distretto tessile di Prato, tale criminalità etnica è presente anche in Lombardia, Piemonte,
Veneto, Emilia Romagna, Campania e nel Lazio. In tali contesti sociali sono state avviate attività
commerciali di vario genere nell’ambito delle quali sono frequenti anche i reati connessi con lo
sfruttamento del lavoro. Talvolta infatti i connazionali vengono costretti a lavorare in assenza dei
requisiti minimi di sicurezza e di tutela igienico-sanitaria.
L’attività illecita verso l’esterno si esprime nella contraffazione di marchi, nel traffico e nello spaccio
di metanfetamine, nel traffico illecito di rifiuti, nella gestione di giochi e scommesse clandestine e
nella commissione di reati economico – finanziari. Il 12 ottobre 2021 con l’operazione denominata
“Drago Volante” la Guardia di finanza di Cuneo ha deferito 19 soggetti per lo più cinesi, titolari di
32 imprese ritenute “cartiere” che avevano emesso fatture presumibilmente false per circa 220
milioni di euro, evadendo o non versando IVA per oltre 46 milioni di euro, 25 dei quali
verosimilmente esportati all’estero.
La criminalità romena in Italia si manifesta sia con modalità non organizzate, sia attraverso veri e
propri gruppi strutturati anche a composizione multietnica. Questi ultimi rivolgono i loro interessi
illeciti prevalentemente verso attività complesse e più redditizie quali il traffico di droga e di armi.
Costituiscono inoltre settori operativi consolidati delle consorterie la tratta di donne da avviare alla
prostituzione, i reati informatici, i reati predatori e i reati contro il patrimonio. Tale criminalità è
risultata inoltre attiva nel settore dell’intermediazione illecita e dello sfruttamento della manodopera
(c.d. “caporalato”) talvolta d’intesa con criminali italiani.
Non manca inoltre il coinvolgimento di criminali romeni con ruoli secondari in gruppi multietnici
dediti al traffico e allo spaccio di stupefacenti.
La criminalità organizzata sudamericana, presente soprattutto in alcune regioni del nord Italia
segnatamente in Lombardia e Liguria e in misura minore nel Lazio, è dedita alla commissione di reati
contro il patrimonio e allo sfruttamento della prostituzione; collabora inoltre con altre consorterie
straniere o italiane nella gestione dei traffici di droga proveniente dall’America latina. Tuttavia è il
fenomeno delle c.d. baby gang ad aver destato un grave allarme sociale nel semestre. Si fa riferimento
in primis all’operazione eseguita il 5 ottobre 2021 dalla Polizia di Stato di Milano con la quale è stata
sgominata un’associazione per delinquere denominata “Barrio 18”, composta da 17 giovani criminali
salvadoregni di età compresa tra i 20 e i 27 anni e caratterizzata dalla commissione di reati contro la
persona e il patrimonio, nonché in materia di stupefacenti perpetrati anche con l’utilizzo di armi.
L’operazione si colloca nel contesto del fenomeno criminale delle c.d. “pandillas” o “maras” cioè
bande di strada centroamericane attive sul territorio milanese e lombardo. I soggetti coinvolti si
distinguono per l’uso efferato e indiscriminato della violenza non soltanto per il raggiungimento degli
scopi delittuosi prefissati ma anche per regolare controversie interne allo stesso gruppo e contro
compagini rivali tramite l’utilizzo spregiudicato di coltelli e machete.
La criminalità balcanica e dei Paesi dell’ex URSS è principalmente attiva nella commissione di reati
contro il patrimonio, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il traffico di armi, le truffe,
il contrabbando, lo sfruttamento della prostituzione, i furti di rame e il traffico di stupefacenti. Da
rilevare lo spiccato attivismo dei bulgari nell’organizzarsi in modo strutturato e con collegamenti
sovranazionali per avviare alla prostituzione giovani connazionali.
I sodalizi criminali di origine nord-centro africana, anche se meno strutturati rispetto alle consorterie
albanesi e nigeriane, appaiono principalmente dediti al traffico di droga. Nel dettaglio, soggetti di
nazionalità marocchina e tunisina provvederebbero inoltre allo spaccio al dettaglio di ogni tipo di
stupefacente nell’ambito di organizzazioni multietniche più strutturate ma non mancano i sodalizi in
cui gli stessi soggetti rivestono ruoli di rilevanza apicale e le interconnessioni con soggetti
appartenenti alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Inoltre, sempre nel settore degli
stupefacenti, di frequente i soggetti di origine nord-centro africana vengono assoldati come corrieri.
Le organizzazioni criminali formate da soggetti provenienti dai Paesi del medio-oriente e del sud-est
asiatico sarebbero attive nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nel traffico di
stupefacenti oltre che nello sfruttamento del lavoro nero. Naturalmente non mancano coinvolgimenti
nel giro dello spaccio di stupefacenti commesso, in alcuni casi, in relazione allo sfruttamento della
prostituzione. Talvolta, è stato riscontrato trattarsi di consorterie multietniche (in particolare quelle
del sud-est asiatico a prevalente matrice indiana e pakistana) che agirebbero in cooperazione con la
criminalità dell’area balcanica, nonché con quella turca e greca.
Il quadro d’analisi sulle linee evolutive delle mafie impone di continuare nella lotta contro la
criminalità organizzata dedicando particolare attenzione all’aggressione dei beni illecitamente
accumulati dalle mafie mediante gli strumenti dell’azione giudiziaria e delle misure di prevenzione
patrimoniali.
La portata dei provvedimenti di prevenzione eseguiti nel secondo semestre del 2021 testimonia la
consapevolezza del ruolo di priorità strategica rivestita dall’aggressione ai patrimoni mafiosi per la
Direzione Investigativa Antimafia, le cui intense attività sono orientate verso l’obiettivo generale di
rafforzare il contrasto sia patrimoniale alla criminalità organizzata, sia alle sue infiltrazioni
nell’economia legale. Nel periodo in esame si registra, in ambito nazionale, il conseguimento dei
seguenti risultati in base ai quali sono state inoltrate ai competenti Tribunali 15 proposte di
applicazione di misure di prevenzione, di cui 10 a firma congiunta del Direttore della DIA con l’A.G.
Sono stati altresì rassegnati 3 compendi informativi di medesima natura propositiva alle Procure
mandanti nell’ambito di attività specificamente delegata.
Apprezzabile, peraltro, è il progressivo consolidamento dello strumento di contrasto rappresentato
dall’applicazione ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. 159/2011 dell’amministrazione giudiziaria che, nel
secondo semestre del 2021, ha visto la proroga di un provvedimento nei confronti di una società.
Sotto il profilo dell’esecuzione di provvedimenti di sequestro e confisca originati dall’attività
propositiva della DIA nel periodo di interesse sono stati conseguiti i risultati sintetizzati nelle tabelle
che seguono in seno alle quali i dati riferiti al secondo semestre del 2021 vengono raffrontati con
quelli del semestre precedente:
SEQUESTRI
2° Semestre 2021
Su proposta Valore Beni
Direttore DIA 124.000.442,34
A.G. su accertamenti DIA 41.212.956,95
TOTALE 165.213.399,29
SEQUESTRI
1° Semestre 2021
valore beni in euro
TOTALE 93.771.071,62
CONFISCHE
2° Semestre 2021
Su proposta valore beni in euro
Direttore DIA 25.983.967,41
A.G. su accertamenti DIA 82.611.534,00
TOTALE 108.595.501,41
CONFISCHE
1° Semestre 2021
valore beni in euro
TOTALE 129.307.198,52
Più in dettaglio si elencano i sequestri/confische effettuati nel 2° semestre 2021 distinti per singola
matrice mafiosa.
‘NDRANGHETA
SEQUESTRI
2° Semestre 2021
Su proposta valore beni in euro
Direttore DIA 7.511.000
A.G. su accertamenti DIA 2.219.406
TOTALE 9.730.406
CONFISCHE
2° Semestre 2021
Su proposta valore beni in euro
Direttore DIA 1.220.000
A.G. su accertamenti DIA 24.508.534
TOTALE 25.728.534
COSA NOSTRA
SEQUESTRI
2° Semestre 2021
Su proposta valore beni in euro
Direttore DIA 114.205.749
A.G. su accertamenti DIA 35.554.657
TOTALE 149.760.406
CONFISCHE
2° Semestre 2021
Su proposta valore beni in euro
Direttore DIA 9.314.588,34
A.G. su accertamenti DIA 2.450.000
TOTALE 11.764.588,34
CAMORRA
SEQUESTRI
2° Semestre 2021
Su proposta valore beni in euro
Direttore DIA 59.119,57
A.G. su accertamenti DIA 1.978.938,95
TOTALE 2.038.058,52
CONFISCHE
2° Semestre 2021
Su proposta valore beni in euro
Direttore DIA 10.363.400
A.G. su accertamenti DIA
TOTALE 10.363.400
CRIMINALITA’ ORGANIZZATA PUGLIESE E LUCANA
SEQUESTRI
2° Semestre 2021
Su proposta valore beni in euro
Direttore DIA 1.224.573,77
A.G. su accertamenti DIA
TOTALE 1.224.573,77
CONFISCHE
2° Semestre 2021
Su proposta valore beni in euro
Direttore DIA
A.G. su accertamenti DIA 100.000
TOTALE 100.000
ALTRE ORGANIZZAZIONI CRIMINALI ITALIANE
SEQUESTRI
2° Semestre 2021
Su proposta valore beni in euro
Direttore DIA 1.000.000
A.G. su accertamenti DIA 1.459.955
TOTALE 2.459.955
CONFISCHE
2° Semestre 2021
Su proposta valore beni in euro
Direttore DIA 5.085.979,07
A.G. su accertamenti DIA 55.553.000
TOTALE 60.638.979,07
L’accumulo di ingentissime risorse finanziarie quale profitto delle poliedriche attività-reato poste in
essere dai sodalizi necessita di un successivo processo di “ripulitura” dei capitali. Per soddisfare tale
esigenza le mafie ricercano costantemente soluzioni sempre più raffinate finalizzate a rendere difficile
l’accertamento della effettiva titolarità dei cespiti illegalmente acquisiti.
È necessario pertanto individuare le probabili direttrici d’azione futura delle mafie soffermandosi
sulla loro capacità di infiltrare l’economia. Sotto questo aspetto la DIA, anche nel secondo semestre
del 2021, ha posto particolare attenzione sulle procedure di affidamento ed esecuzione degli appalti
riguardanti le opere pubbliche.
L’attività di controllo si è rivolta in particolare all’assetto delle imprese coinvolte nell’esecuzione dei
lavori allo scopo di individuare possibili infiltrazioni mafiose. Si tratta di accertamenti che hanno
riguardato sia l’esecuzione diretta delle opere, sia tutte le attività connesse. Un complesso sistema di
controlli che comprende gli accessi ai cantieri disposti dall’Autorità Prefettizia tesi a verificare
direttamente sul posto l’assenza di anomalie riguardanti la manovalanza.
Al riguardo sono stati eseguiti 527 monitoraggi nei confronti di altrettante imprese meglio dettagliati
nella sottostante tabella che ne riassume i risultati per macro-aree geografiche.
AREA
II SEMESTRE 2021
IMPRESE PERSONE
Nord 111 2.786
Centro 42 163
Sud 374 3.584
Estero 0 0
TOTALE 527 6.533
Nel quadro delle attività finalizzate alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di
riciclaggio dei proventi di attività criminosa, il d.lgs. n. 231 del 21 novembre 2007 assegna alla DIA
il potere di accertare le violazioni degli obblighi disciplinati dallo stesso decreto ed il compito di
effettuare gli approfondimenti investigativi attinenti alla criminalità organizzata, alle informazioni
ricevute nell’ambito della cooperazione internazionale e alle segnalazioni di operazioni sospette-SOS
trasmesse dalla Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia. A questo scopo negli ultimi anni è stato
necessario adottare nuovi modelli di analisi e di sviluppo correlate con un costante adeguamento
dell’applicativo informatico di riferimento ovvero il sistema “EL.I.O.S. – Elaborazioni Investigative
Operazioni Sospette”, al fine di renderlo più aderente alle mutate esigenze di carattere investigativo.
In particolare il sistema è capace di processare in tempo reale “tutte” le segnalazioni destinate alla
DIA al fine di rendere tempestiva la fruibilità dei relativi dati e degli elementi sul piano operativo. In
aderenza agli iter di raccordo info-investigativo definiti nell’ambito di intese protocollari sottoscritte
dalla DIA nel rispetto delle previsioni normative, tutte le SOS che, agli esiti di tre processi di analisi
(analisi massiva, fenomenologica e di rischio), risultano potenzialmente attinenti alla criminalità
organizzata vengono evidenziate alla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo-DNA, che le
trasmette alle DDA competenti qualora attinenti a indagini in corso ovvero le sviluppa destinandole
ad un apposito gruppo di lavoro, di cui fa parte anche personale della DIA, ai fini dell’esercizio del
potere d’impulso attribuito al Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo dall’art. 371 bis
c.p.p..
Nel delineato contesto, attenendosi al solo secondo semestre 2021, la DIA ha proceduto all’analisi di
68.955 segnalazioni di operazioni sospette riconducibili a 639.074 soggetti segnalati dei quali
437.372 costituiti da persone fisiche.
Infine, per un efficace contrasto alla pervasività delle mafie nella rete economico-produttiva appare
innegabile l’imprescindibile valenza della cooperazione internazionale di polizia che rappresenta una
direttrice privilegiata nel contrasto alle organizzazioni criminali più strutturate, attesa la sempre
maggiore dimensione oltre confine di queste ultime. In tale contesto si sottolinea l’importanza della
già citata Rete Operativa Antimafia @On di cui la DIA è ideatore e Project Leader. Lo strumento ha
il primario obiettivo di promuovere lo scambio operativo di informazioni e le best practices,
finalizzate al contrasto delle organizzazioni criminali “mafia style” che costituiscono una seria
minaccia per la sicurezza dell’U.E. Lo scopo principale resta quello di massimizzare la cooperazione
internazionale e il contrasto ai predetti gruppi della criminalità organizzata che hanno un impatto
evidente sugli Stati Membri dell’UE a prescindere dalle specifiche attività criminali da questi
organizzate. Per contrastare in maniera efficace la criminalità organizzata mafiosa operante in ambito
internazionale, risulta fondamentale la capacità di individuare in maniera precisa, rapida e dettagliata
l’obiettivo da annichilire. In tale direzione una riposta sinergica viene posta in essere dalla Rete grazie
al coordinamento con EUROPOL, EUROJUST ed il supporto finanziario e di indirizzo delle
Istituzioni UE. Uno degli strumenti innovativi del Progetto è la possibilità di dislocare all’estero
investigatori altamente specializzati nel contrasto di fenomeni criminali di natura transnazionale
(quick deploiment). Infatti, la rete (Network) supporta il rapido invio sul posto di investigatori esperti
dei Paesi aderenti, oltre a permettere l’impiego di sofisticate strumentazioni tecniche di indagine a
supporto delle Agenzie di Polizia (LEAs – Law Enforcement Agencies).
Attualmente hanno complessivamente formalizzato la loro adesione al Network 30 Agenzie di Polizia
in rappresentanza di 25 Paesi: Francia (SIRASCO e PJGN), Germania (BKA), Spagna (UDYCO e
Guardia Civil), Belgio (Polizia Federale) e Paesi Bassi (Polizia Nazionale) che costituiscono con
l’Italia il Core Group della Rete. Sono partner unitamente ad Europol: Ungheria (Polizia Nazionale),
Austria (BK), Romania (Polizia Nazionale), Australia (AFP), Malta (Polizia Nazionale), Svizzera
(Polizia Federale), Repubblica Ceca (NOCA) Slovenia (Polizia Nazionale), Polonia (CBSP), Croazia
(Polizia Nazionale), Georgia (Polizia Nazionale), Norvegia (NCIS), Albania (CPD), Portogallo
(UNCT), USA (FBI), Svezia (Polizia Nazionale), Canada (RCPM), Lettonia (Polizia di Stato) e
Lussemburgo (Polizia Grand – Ducale).
Al momento il Network sta supportando le Unità investigative degli Stati Membri della Rete @ON
in 55 investigazioni ed ha finanziato 171 missioni operative in favore di 736 investigatori che hanno
portato all’arresto di 287 persone, inclusi 5 latitanti, oltre al sequestro di circa 11,3 milioni di euro,
di droga (tra cui 23 piantagioni di canapa) e di armi.
La cooperazione di polizia svolta dalla DIA in ambito multilaterale riguarda sia le singole attivazioni,
sia un aggiornato quadro di analisi delle linee evolutive del fenomeno mafioso a livello internazionale,
allo scopo di individuare i beni e i collegamenti fra le organizzazioni criminali italiane e quelle
operanti in altre Nazioni.
Le indagini patrimoniali che richiedono il tracciamento, l’individuazione e il sequestro dei beni
all’estero, si avvalgono di due fondamentali canali di cooperazione coordinati da EUROPOL: l’ARO
(Asset Recovery Office) e la rete informale CARIN (Camden Asset Recovery Inter-Agency Network).
La piattaforma ARO è la piattaforma collaudata in ambito UE e finalizzata all’individuazione di beni
oggetto di reato da sequestrare e confiscare, mentre la rete CARIN è attiva, in ambito internazionale,
per le medesime finalità, e ricomprende autorità di polizia e giudiziarie di 61 Paesi.