Difficile per Stati Uniti ed Europa unirsi contro la Cina: editoriale del Global Times. «L’invincibilità sta nella difesa. La vulnerabilità sta nell’attacco. Se ti difendi sei più forte. Se attacchi sei più debole (Sun Ztu)»
(AGENPARL) – Roma, 04 dicembre 2020 – Il Global Times, quotidiano di proprietà del Partito Comunista Cinese, ha pubblicato un editoriale dal titolo molto eloquente «Difficile per Stati Uniti ed Europa unirsi contro la Cina».
Il presidente eletto (finora dai MMS, enfasi mia) degli Stati Uniti Joe Biden martedì ha parlato della Cina per la prima volta dopo la sua vittoria alle elezioni. Ha detto che «non farà alcuna mossa immediata, e lo stesso vale per le tariffe». Biden ha detto che vuole consultarsi con i tradizionali alleati degli Stati Uniti in Asia e in Europa «in modo da poter sviluppare una strategia coerente» prima di fare le prime mosse sui dazi, ha sottolineato il quotidiano.
Il Global non fa i conti però con gli Usa ancora in campagna elettorale e soprattutto con Trump che pur avendo affrontato una stampa ingiustamente ostile – rispetto a Joe Biden – un chiaro vantaggio all’inizio del suo mandato: aveva battuto lealmente i suoi rivali ideologici del suo stesso partito.
Biden, un gran simpaticone di senatore abbastanza centrista, non può vantarsi di niente del genere. Ha prevalso, come ci ricorda in modo convincente Christopher Caldwell , dopo un inizio imbarazzatamente della sua campagna (quarto e quinto posto in Iowa e New Hampshire), recuperato in zona Cesarini da un appoggio da parte di un membro del Congresso della Carolina del Sud che probabilmente ha influenzato più voti di qualsiasi altro, ha avuto subito seguito grazie ad una corsa fatta in preda al panico dell’establishment del partito Democratico e quindi costretti a serrare i ranghi contro il socialista Bernie Sanders.
Quindi se verrà eletto Joe Biden troverà quasi impossibile unificare il suo partito, figuriamoci l’America per non parlare della questione ancora in sospeso del figlio Hunter e die suoi rapporti con alcuni Paesi.
Secondo il quotidiano Global «Il team di Biden spenderà i suoi sforzi per riparare le relazioni tra gli Stati Uniti e i suoi alleati. Questa è già una previsione comune nella comunità strategica internazionale. Il ripristino delle relazioni USA-Europa sembra particolarmente promettente, perché negli ultimi anni le relazioni di Washington con i suoi principali alleati europei, ad eccezione del Regno Unito, hanno subito i danni maggiori».
Sempre secondo l’editoriale del Global «l’atmosfera delle relazioni USA-UE è la più facile da risolvere. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump era solito criticare duramente gli alleati europei e non ha mostrato abbastanza rispetto quando ha incontrato i leader europei, incluso il cancelliere tedesco Angela Merkel. Washington ha anche costretto la NATO ad aumentare le spese militari, ha liquidato i paesi europei su questioni commerciali e ha minacciato i suoi alleati su Huawei e il Nord Stream 2. I paesi europei aspettano con impazienza la ricostruzione di stretti rapporti con gli alleati da parte di Biden. L’Europa e il team Biden hanno la forte volontà di mostrare i loro stretti legami dopo che Biden avrà assunto l’incarico».
Ma la risposta congiunta degli Stati Uniti e dell’Europa alla cosiddetta sfida della Cina rimane un punto interrogativo. Qual è la sfida comune della Cina all’Occidente? E qual è la vera “sfida cinese” affrontata dagli Stati Uniti e dai paesi europei? Questo è difficile da afferrare in modo chiaro e coerente.
Per gli Stati Uniti e l’Europa, l’ascesa della Cina è la comune “sfida cinese” che hanno percepito. Ma il loro senso della crisi è diverso.
Gli Stati Uniti e l’Europa si sentono a disagio per il relativo declino dell’Occidente. Tuttavia, gli Stati Uniti ritengono che la loro egemonia sia messa a dura prova dall’ascesa della Cina, mentre l’Europa vede una maggiore concorrenza economica.
Il relativo declino dell’Occidente è un importante problema storico. Il sistema politico occidentale stabilisce che fermare tale declino non può essere una politica a lungo termine per gli Stati Uniti o l’Europa. Tuttavia, possono esserci leve specifiche per salvaguardare l’egemonia degli Stati Uniti e rafforzare gli interessi economici europei. Ciò dimostra che gli Stati Uniti e l’Europa hanno considerazioni strategiche e punti di interesse molto diversi. Sarebbe difficile per gli Stati Uniti e l’Europa coordinarsi per opporsi alla cosiddetta sfida cinese.
Anche la revisione del meccanismo di potere dell’alleanza USA-Europa sarebbe difficile. La struttura occidentale è guidata dagli Stati Uniti e l’Europa funge da subordinata. Rafforzando una tale struttura, gli Stati Uniti sperano di contenere l’ascesa della Cina e rendere gli europei più obbedienti.
Ma per gli europei, rivedere l’alleanza significa legittimare ulteriormente l’autonomia strategica dell’Europa nel mondo occidentale, ridurre gli attriti tra Stati Uniti ed Europa a questo proposito e ottenere un miglioramento dell’unità USA-Europa su questa base.
Per mantenere l’egemonia, negli ultimi anni Washington ha spesso posto la concorrenza geopolitica con la Cina al di sopra degli interessi economici. Ma gli europei non sono così estremi. Sperano di raggiungere un equilibrio politico ed economico nelle relazioni con la Cina. Ciò può riflettersi nella loro esitazione sui problemi di Huawei e Nord Stream 2.
L’Europa potrebbe essere riluttante a promuovere una nuova unità occidentale con gli Stati Uniti al centro e sulla base della politica radicale dell’amministrazione Trump nei confronti della Cina. Nuovi attriti saranno inevitabili. Ma se, d’altra parte, l’Europa arriva a definire l’unità occidentale e gli Stati Uniti prendono meno decisioni e forniscono più risorse, allora Washington non l’accetterà mai.
Dopo tutto, questo non è il momento per Washington di promuovere un “Piano Marshall”. Gli Stati Uniti fornivano generosamente risorse agli alleati occidentali. Ma ora sta calcolando di guadagnare di più da loro. Ciò ha minato i dividendi dell’alleanza occidentale ed è diventato più difficile per gli Stati Uniti agire come leader, ribadisce il Global Times.
Visto che il Global Times ha poca memoria, è utile ricordare alcune fasi della pandemia. Pechino ha sempre schivato con successo la responsabilità del suo ruolo nella diffusione del coronavirus nel mondo. Ed è qui la differenza abissale con il Piano Marshall.
Non solo. Ma la Cina ha fatto poco nel sopprimere le informazioni sul virus, poco per contenerlo, consentendogli di diffondersi senza controllo nei primi giorni e settimane cruciali: in sostanza il regime comunista di Pechino ha messo in pericolo non solo il proprio paese e i propri cittadini, ma anche le oltre 100 nazioni che stanno ancora affrontando i focolai che sono potenzialmente devastanti.
Ancora più perniciosamente, il governo cinese ha censurato e arrestato quei coraggiosi dottori e informatori che hanno tentato di suonare l’allarme avvertendo i loro concittadini quando hanno capito la gravità di ciò che doveva venire.
Molti «benpensanti e nulla sapienti» sono rimasti sbalorditi da Donald Trump e dai repubblicani per essersi riferiti alla pandemia come il «virus Wuhan» e aver ripetutamente indicato la Cina come la fonte della pandemia.
Nel nominare la malattia COVID -19, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha espressamente evitato di menzionare Wuhan.
Tuttavia, non avendo dato risalto giustamente alla fonte in cui è iniziata l’epidemia (la Cina l’ha respinta in modo aggressivo), continuiamo ad oscurare il ruolo che ha giocato Pechino nel lasciare che la malattia si diffondesse oltre i suoi confini.
La Cina ha una lunga storia in questo campo, come ad esempio la SARS nel 2002 e nel 2003. Ma la negligenza dei leader cinesi a dicembre 2019 e gennaio 2020- per oltre un mese dopo il primo scoppio a Wuhan – ha superato di gran lunga le risposte confuse che sono state date in precedenza.
A dicembre dello scorso del 2019 è stato il momento in cui le autorità cinesi hanno agito e, come è stato notato, hanno agito in modo deciso, non contro il virus, ma contro gli informatori che stavano cercando di attirare l’attenzione sulla minaccia per la salute pubblica.
Questo è ciò che ha permesso al virus di diffondersi in tutto il mondo.
È ormai un mondo in cui le opinioni occidentali contano meno, mentre le opinioni dei rivali occidentali contano di più.
E questo cambierà le dinamiche politiche in modi che gli occidentali non hanno ancora capito.
Le acrobazie mediatiche negli aeroporti di tutto il mondo, dal Pakistan all’Italia a Israele, progettate per segnare l’arrivo degli aiuti cinesi: maschere, camici chirurgici, test diagnostici e talvolta medici.
Tutti questi eventi hanno una sceneggiatura simile: l’aereo atterra; i dignitari della nazione ricevente escono per incontrarlo; emergono gli esperti cinesi, che sembrano competenti nelle loro attrezzature; e tutti pronunciano parole di gratitudine e di sollievo.
In realtà, poco importa se alcune delle attrezzature come aiuti sono state acquistate, non donate dalla Cina. E qui svetta la differenza con il Piano Marshall.
Poco importa se alcuni di questi, in particolare i test diagnostici, si sono rivelati difettosi.
Cosa importa se alcune Nazioni che ricevono questi beni «donati» conoscono bene che tale «operazione» ha come unico scopo quello di mettere a tacere da dove proviene il virus.
Poco o nulla importa se l’origine è stata inizialmente taciuta e come mai gli è stato permesso di diffondersi in tutto il mondo. Se, in queste circostanze, la propaganda “funziona”, è perché coloro che la ricevono hanno fatto un rapido calcolo: fingendo di credere che sia un modo di riconoscere e accettare il potere cinese e, forse, un modo di esprimere interesse per gli investimenti cinesi .
Nel mondo occidentale, questa dinamica si è manifestata con notevole successo qui in Italia.
Appiattiti dal virus e depressi dalle restrizioni, gli italiani sono profondamente divisi da anni di campagne cospirative sui social media, alcune con il sostegno estero, che hanno attaccato le tradizionali alleanze italiane, la NATO in primis.
La Cina ha aggiunto la sua campagna sui social media. I robot hanno promosso hashtag di amicizia cinese-italiana (#forzaCinaeItalia) e hashtag di ringraziamento-Cina (#grazieCina). Ma c’è anche un altro livello di attività meno visibile.
Un anno fa, l’Italia è diventata il principale membro europeo della Belt and Road Initiative, il progetto commerciale e infrastrutturale cinese progettato per creare collegamenti più profondi in Eurasia e per fornire un’alternativa ai patti commerciali transatlantici e del Pacifico annullati da Trump.
Anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, fino a poco tempo fa leader del movimento anti- UE a cinque stelle, ha coltivato legami con la Cina. Gli investimenti cinesi hanno acquisito importanza. Già un oligarca cinese ha acquistato la squadra di calcio dell’Inter; le banche cinesi possiedono già grandi quote di società italiane come Eni e Fiat.
Grazie al caos economico creato dal coronavirus, gli sforzi della Cina a Roma possono ora dare i suoi frutti.
Uomini d’affari cinesi stanno incrementando proprio ora i loro contatti, cercando aziende e proprietà da acquistare, scovando fabbriche improvvisamente fallite e imprenditori che vogliono vendere.
Ora che Trump è diventato uno zimbello, ora che l’America è assente dal gioco e l’UE ancora non ha deciso cosa vuol fare da grande, è chiaro che il regime cinese sta guidando la corsa per colmarlo.
Ultimo aspetto ma non per questo meno importante è stato dall’atteggiamento del presidente degli USA, Donald Trump, che aveva bloccato i finanziamenti statunitensi per l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), cioè più di 400 milioni di dollari all’anno. E lo aveva dichiarato proprio nel bel mezzo di una pandemia.
Una settimana dopo, il presidente cinese Xi Jinping ha promesso altri 30 milioni di dollari, anche se – per dovere di cronaca – la Cina deve ancora all’OMS 60 milioni di dollari relative alle quote associative, un importo che l’Organizzazione sanitaria prevede di ottenere entro la fine dell’anno.
La dichiarazione del premier cinese cade a fagiolo, cioè è un chiaro esempio del successo della Cina nella diplomazia dei «libretti degli assegni», in cui l’importo conta meno del messaggio: siccome non puoi contare sugli Stati Uniti puoi contare su di noi.
Gli USA erano, fino a quando Trump non ha chiesto una revisione dei contributi, il più grande finanziatore statale dell’OMS: la Cina contribuiva poco più di un decimo di quello che erano gli Stati Uniti.
Eppure ormai da anni, anche prima che Trump accusasse l’OMS di essere troppo «incentrato sulla Cina», i funzionari americani si stavano preoccupando che la Cina si stava comprando «l’influenza», con pochi soldi, in tutto il mondo.
«I cinesi danno meno soldi per comprarsela (l’influenza)», ha affermato il contrammiraglio Kenneth Bernard, che in precedenza aveva prestato servizio come consigliere politico del direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità e come assistente speciale per le biodefense dell’ex presidente George W. Bush.
E’ sempre lo stesso discorso di sempre, cioè quello che non si tratta di essere onesti ma di vincere.
E’ la realpolitik che governa le Nazioni.
L’OMS non è l’unico esempio.
L’anno scorso, gli Stati Uniti hanno donato oltre 670 milioni di dollari al bilancio delle Nazioni Unite, mentre la Cina ha erogato quasi 370 milioni di dollari, ma cittadini cinesi attualmente guidano quattro delle 15 agenzie specializzate dell’organismo internazionale.
Da sottolineare che nessun’altra nazione guida più di una agenzia
Una cosa è chiedere, l’altra è ottenere. In altre parole un conto è contribuire e l’altra presentarsi alla grande e premere per ottenere gli incarichi.
E’ anche vero che la Cina sta occupando gli spazi grazie ai periodi di disinteresse al limite del disprezzo degli USA per le organizzazioni internazionali.
Lo abbiamo visto con alcuni presidenti degli Stati Uniti che hanno ignorato o eluso le organizzazioni internazionali per decenni, non da ultimo le campagne di bombardamento sul Kosovo negli anni ’90 e in Iraq negli anni 2000.
A questo disinteresse degli USA non ha invece corrisposto quello di Pechino che vede tali organizzazioni non come degli ostacoli ma come veicoli molto convenienti per espandere la sua influenza a livello mondiale.
Oltre all’esiguo (ma esiguo) contributo di Pechino all’OMS, la scorsa settimana la Cina ha inviato un suo rappresentante a una conferenza promessa dall’UE per trovare un vaccino alla quale gli Stati Uniti hanno rifiutato di partecipare.
Il modello si ripete su tutto il pianeta come una fotocopia ben fatta.
Gli Stati Uniti erogano ancora miliardi di aiuti ogni anno e il finanziamento tocca tutti gli aspetti della vita in altri paesi, tra cui sanità pubblica, addestramento militare, servizi igienico-sanitari e diritti delle donne.
Ma oggi la Cina è un nuovo brillante agli occhi di molti paesi in via di sviluppo che pensano che l’assistenza degli Stati Uniti sia scontata.
Negli ultimi 15 anni la Cina ha investito denaro in megaprogetti come aeroporti e dighe: investimenti strategici e molto appariscenti, monumenti fondamentali per le ambizioni della Cina che ha sete di potere.
E i finanziamenti non arrivano con gli stessi criteri di trasparenza e di protezione dei diritti umani come quelli che caratterizzano gli aiuti americani. Situazione che li rendono più attraente per i governi corrotti o autoritari.
In sostanza anche se la Cina non dà di più in termini di denaro e aiuti, li pubblicizza meglio.
I leader cinesi presentano anche il proprio paese come una voce per i paesi in via di sviluppo contro le potenze globali occidentali dominanti.
E quindi ecco che la Cina, all’interno dell’OMS, ha dei pacchetti di voti e quindi un vantaggio.
Un altro esempio calzante, è quello del seggio nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove il governo comunista cinese ha avuto la capacità di contrastare le ambizioni degli altri membri per decenni, anche se solo di recente ha iniziato a mostrare muscoli.
Negli ultimi 15 anni, la Cina ha posto il veto a 11 risoluzioni del Consiglio di sicurezza, cinque volte più che nei precedenti 15 anni. Anche se non ha ancora raggiunto gli Stati Uniti, che hanno posto il veto a 18 risoluzioni nello stesso periodo di 30 anni.
Nel frattempo, Pechino sta lavorando per riscrivere le regole del sistema.
Mi spiego meglio. La Cina ha ottenuto due risoluzioni attraverso il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.
La prima che «suggerisce che i diritti umani devono essere bilanciati con le esigenze di sviluppo economico», mentre l’altra chiede che i «contesti culturali siano presi in considerazione quando si considerano gli standard sui diritti umani».
Attualmente gli Stati Uniti non si preoccupano del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, mentre la Cina lo fa.
Da notare che gli Stati Uniti si sono ritirati dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU nel 2018 quando l’ambasciatrice delle Nazioni Unite, Nikki Haley ha rassegnato le dimissioni perché di parte. A conferma di questo rapporto fra Haley e Israele, basta rileggere le dichiarazioni di Benjamin Netanyahu, che ha voluto personalmente ringraziarla per le sue politiche in favore di Israele. «Vorrei ringraziare l’ambasciatrice Nikki Haley, che ha guidato la lotta senza compromessi contro l’ipocrisia alle Nazioni Unite, e a favore della verità e della giustizia del nostro Paese», così aveva scritto Netanyahu sul suo profilo Twitter.
E chiaro che il ritiro degli USA ha creato spazio di manovra per i Paesi gli autoritari di tutto il mondo.
Non è certamente una buona idea quella di lasciare spazi così ampi ai vari «dittatori» specie se questi intendano gestire le agenzie delle Nazioni Unite.
Un esempio è dato dal trattenere un milione di mussulmani uiguri in quelli che la Cina chiama campi di rieducazione in condizioni che i movimenti per i diritti umani ed altri governi hanno condannato.
In un altro caso evidenziato da Human Rights Watch, il governo cinese ha arrestato un attivista che ha cercato di andare a Ginevra per una sessione al Consiglio dei diritti umani. Dopo che l’attivista, Cao Shunli, è morto dopo una detenzione di sei mesi, i diplomatici cinesi a Ginevra hanno bloccato gli sforzi per mantenere un momento di silenzio nella sua memoria.
L’agenda cinese sui diritti umani non riguarda i diritti umani, ma riguarda proprio la politica cinese.
Lo stesso vale per qualsiasi altro meccanismo utilizzato dalla Cina per rafforzare la propria influenza in tutto il mondo.
Se la Cina ha spinto per collocare i suoi diplomatici alla guida dell’Organizzazione internazionale per l’aviazione civile delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura, non è necessariamente perché il Partito comunista cinese si preoccupa molto delle questioni poste al centro di quelle agenzie. Si tratta di ottenere un’influenza politica ed economica sugli Stati membri.
Esempio. Il Camerun aveva presentato un candidato a capo dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura. Il candidato si è ritirato dopo che Pechino ha rinunciato al debito del Camerun.
Secondo alcune fonti, la Cina ha anche minacciato di tagliare importanti esportazioni in altri paesi se si fossero rifiutati di sostenere il candidato di Pechino.
Il candidato cinese ha vinto.
In altre parole oggi il Piano Marshall è stato abilmente sostituito con un Piano ‘SUN TZU’ che trae spunto dal famoso generale e filoso cinese secondo il quale «Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento, bensì sottomettere il nemico senza combattere».
Da sottolineare che il libro «l’Arte della Guerra (VI secolo a.C. circa)» di Sun Ztu è stato ampiamente tradotto in Occidente e rappresenta una pietra miliare insieme al capolavoro «Della Guerra (1832)» di Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz, generale, scrittore e teorico militare prussiano, per chi studia la strategia militare.
L’editoriale del Global finisce con un affondo e il classico messaggio subliminale. «Ancora più importante, la cosiddetta sfida e la minaccia portate dalla Cina sono, in larga misura, immaginarie. Nel breve periodo, gli Stati Uniti e l’Europa non hanno nulla a che fare con la “sfida della Cina”. E a lungo andare, la cosiddetta sfida cinese sembra un concetto vuoto. I cinesi non devono preoccuparsi troppo del rafforzamento dell’alleanza USA-Europa. Le relazioni tra Washington e i suoi alleati dell’Asia-Pacifico non si sono deteriorate molto negli ultimi quattro anni. Le relazioni più strette tra Stati Uniti ed Europa creeranno una maggiore pressione psicologica sulla Cina e il significato dei loro cambiamenti politici sarà limitato. La cosa più importante per la Cina è aumentare la propria forza».
Concludo con una frase proprio di Sun Ztu «L’invincibilità sta nella difesa. La vulnerabilità sta nell’attacco. Se ti difendi sei più forte. Se attacchi sei più debole»
L’Europa ha bisogno di svegliarsi. È mezza addormentata.
È impensabile non riunire tutte le capitali degli antichi stati dell’Europa Centrale e Orientale ed è impensabile non stringere accordi ancora più forti con gli USA.