
(AGENPARL) – Roma, 07 maggio 2020 – Recentemente, il presidente degli USA, Donald Trump, ha dichiarato che avrebbe bloccato i finanziamenti statunitensi per l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), cioè più di 400 milioni di dollari all’anno. E lo aveva dichiarato proprio nel bel mezzo di una pandemia.
Una settimana dopo, il presidente cinese Xi Jinping ha promesso altri 30 milioni di dollari, anche se – per dovere di cronaca – la Cina deve ancora all’OMS 60 milioni di dollari relative alle quote associative, un importo che l’Organizzazione sanitaria prevede di ottenere entro la fine dell’anno.
La dichiarazione del premier cinese cade a fagiolo, cioè è un chiaro esempio del successo della Cina nella diplomazia dei «libretti degli assegni», in cui l’importo conta meno del messaggio: siccome non puoi contare sugli Stati Uniti puoi contare su di noi.
Gli USA erano, fino a quando Trump non ha chiesto una revisione dei contributi, il più grande finanziatore statale dell’OMS: la Cina contribuiva poco più di un decimo di quello che erano gli Stati Uniti.
Eppure ormai da anni, anche prima che Trump accusasse l’OMS di essere troppo «incentrato sulla Cina», i funzionari americani si stavano preoccupando che la Cina si stava comprando «l’influenza», con pochi soldi, in tutto il mondo.
«I cinesi danno meno soldi per comprarsela (l’influenza)», ha affermato il contrammiraglio Kenneth Bernard, che in precedenza aveva prestato servizio come consigliere politico del direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità e come assistente speciale per le biodefense dell’ex presidente George W. Bush.
E’ sempre lo stesso discorso di sempre, cioè quello che non si tratta di essere onesti ma di vincere.
E’ la realpolitik che governa le Nazioni.
L’OMS non è l’unico esempio.
L’anno scorso, gli Stati Uniti hanno donato oltre 670 milioni di dollari al bilancio delle Nazioni Unite, mentre la Cina ha erogato quasi 370 milioni di dollari, ma cittadini cinesi attualmente guidano quattro delle 15 agenzie specializzate dell’organismo internazionale.
Da sottolineare che nessun’altra nazione guida più di una agenzia
Una cosa è chiedere, l’altra è ottenere. In altre parole un conto è contribuire e l’altra presentarsi alla grande e premere per ottenere gli incarichi.
E’ anche vero che la Cina sta occupando gli spazi grazie ai periodi di disinteresse al limite del disprezzo degli USA per le organizzazioni internazionali.
Lo abbiamo visto con alcuni presidenti degli Stati Uniti che hanno ignorato o eluso le organizzazioni internazionali per decenni, non da ultimo le campagne di bombardamento sul Kosovo negli anni ’90 e in Iraq negli anni 2000.
A questo disinteresse degli USA non ha invece corrisposto quello di Pechino che vede tali organizzazioni non come degli ostacoli ma come veicoli molto convenienti per espandere la sua influenza a livello mondiale.
Oltre all’esiguo (ma esiguo) contributo di Pechino all’OMS, la scorsa settimana la Cina ha inviato un suo rappresentante a una conferenza promessa dall’UE per trovare un vaccino alla quale gli Stati Uniti hanno rifiutato di partecipare.
Il modello si ripete su tutto il pianeta come una fotocopia ben fatta.
Gli Stati Uniti erogano ancora miliardi di aiuti ogni anno e il finanziamento tocca tutti gli aspetti della vita in altri paesi, tra cui sanità pubblica, addestramento militare, servizi igienico-sanitari e diritti delle donne.
Ma oggi la Cina è un nuovo brillante agli occhi di molti paesi in via di sviluppo che pensano che l’assistenza degli Stati Uniti sia scontata.
Negli ultimi 15 anni la Cina ha investito denaro in megaprogetti come aeroporti e dighe: investimenti strategici e molto appariscenti, monumenti fondamentali per le ambizioni della Cina che ha sete di potere.
E i finanziamenti non arrivano con gli stessi criteri di trasparenza e di protezione dei diritti umani come quelli che caratterizzano gli aiuti americani. Situazione che li rendono più attraente per i governi corrotti o autoritari.
In sostanza anche se la Cina non dà di più in termini di denaro e aiuti, li pubblicizza meglio.
I leader cinesi presentano anche il proprio paese come una voce per i paesi in via di sviluppo contro le potenze globali occidentali dominanti.
E quindi ecco che la Cina, all’interno dell’OMS, ha dei pacchetti di voti e quindi un vantaggio.
Un altro esempio calzante, è quello del seggio nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove il governo comunista cinese ha avuto la capacità di contrastare le ambizioni degli altri membri per decenni, anche se solo di recente ha iniziato a mostrare muscoli.
Negli ultimi 15 anni, la Cina ha posto il veto a 11 risoluzioni del Consiglio di sicurezza, cinque volte più che nei precedenti 15 anni. Anche se non ha ancora raggiunto gli Stati Uniti, che hanno posto il veto a 18 risoluzioni nello stesso periodo di 30 anni.
Nel frattempo, Pechino sta lavorando per riscrivere le regole del sistema.
Mi spiego meglio. La Cina ha ottenuto due risoluzioni attraverso il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.
La prima che «suggerisce che i diritti umani devono essere bilanciati con le esigenze di sviluppo economico», mentre l’altra chiede che i «contesti culturali siano presi in considerazione quando si considerano gli standard sui diritti umani».
Attualmente gli Stati Uniti non si preoccupano del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, mentre la Cina lo fa.
Da notare che gli Stati Uniti si sono ritirati dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU nel 2018 quando l’ambasciatrice delle Nazioni Unite, Nikki Haley ha rassegnato le dimissioni perché di parte. A conferma di questo rapporto fra Haley e Israele, basta rileggere le dichiarazioni di Benjamin Netanyahu, che ha voluto personalmente ringraziarla per le sue politiche in favore di Israele. «Vorrei ringraziare l’ambasciatrice Nikki Haley, che ha guidato la lotta senza compromessi contro l’ipocrisia alle Nazioni Unite, e a favore della verità e della giustizia del nostro Paese», così aveva scritto Netanyahu sul suo profilo Twitter.
E chiaro che il ritiro degli USA ha creato spazio di manovra per i Paesi gli autoritari di tutto il mondo.
Non è certamente una buona idea quella di lasciare spazi così ampi ai vari «dittatori» specie se questi intendano gestire le agenzie delle Nazioni Unite.
Un esempio è dato dal trattenere un milione di mussulmani uiguri in quelli che la Cina chiama campi di rieducazione in condizioni che i movimenti per i diritti umani ed altri governi hanno condannato.
In un altro caso evidenziato da Human Rights Watch, il governo cinese ha arrestato un attivista che ha cercato di andare a Ginevra per una sessione al Consiglio dei diritti umani. Dopo che l’attivista, Cao Shunli, è morto dopo una detenzione di sei mesi, i diplomatici cinesi a Ginevra hanno bloccato gli sforzi per mantenere un momento di silenzio nella sua memoria.
L’agenda cinese sui diritti umani non riguarda i diritti umani, ma riguarda proprio la politica cinese.
Lo stesso vale per qualsiasi altro meccanismo utilizzato dalla Cina per rafforzare la propria influenza in tutto il mondo.
Se la Cina ha spinto per collocare i suoi diplomatici alla guida dell’Organizzazione internazionale per l’aviazione civile delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura, non è necessariamente perché il Partito comunista cinese si preoccupa molto delle questioni poste al centro di quelle agenzie. Si tratta di ottenere un’influenza politica ed economica sugli Stati membri.
Esempio. Il Camerun aveva presentato un candidato a capo dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura. Il candidato si è ritirato dopo che Pechino ha rinunciato al debito del Camerun.
Secondo alcune fonti, la Cina ha anche minacciato di tagliare importanti esportazioni in altri paesi se si fossero rifiutati di sostenere il candidato di Pechino.
Il candidato cinese ha vinto.
Un altro esempio più chiaro di come la Cina usa questa influenza riguarda Taiwan, l’isola governata democraticamente e che il Partito Comunista Cinese rivendica come parte del proprio territorio.
Dopo che Taiwan, nel 2016, ha eletto il presidente Tsai-Ing Wen, favorevole alla sovranità di Taiwan, l’OMS ha smesso di invitare Taiwan ai suoi vertici, sebbene la presenza di Taiwan non fosse stata motivo di preoccupazione l’anno precedente, quando in carica vi era un presidente pro-Pechino a capo dell’isola.
Non appena il popolo di Taiwan ha eletto un candidato che a Pechino non piaceva, oops… niente più invito.
La Cina ha un peso economico ed è esperta nel saperlo usare, ma ciò nonostante non ha acquisito un’influenza duratura negli altri centri di potere economico del mondo.
Oggi nel mezzo della pandemia, la Cina sta pompando la propaganda, denigrando gli Stati Uniti e sollecitando con i loro aiuti i vari Stati colpiti dal coronavirus.
L’Agenzia Reuters ha riferito di un documento interno cinese preoccupato della possibilità di un contraccolpo globale simile a quello che la Cina aveva subito dopo il massacro di Piazza Tiananmen.
La Cina è molto più ricca e militarmente più forte di quanto non lo fosse nel 1989, ma con il mondo inondato da una pandemia e la colpevolezza cinese, Pechino potrebbe presto scoprire che ci sono alcune cose che il denaro non può risolvere.