
(AGENPARL) – Roma, 01 ottobre 2020 – Marilù Giannone è romana ed appassionata di arte e di libri. Scrive si può dire dalla nascita, e spesso è ed è stata ospitata in giornali e riviste per articoli d’arte o di narrativa o anche di problemi sociali.
Ha una laurea alla Sapienza per Storia e Storia dell’Arte e diversi diplomi. Adora gli animali soprattutto i gatti ed adora guidare fuori città, fermandosi quando le pare. Ama la musica, la natura, i suoi amici, e la gente.
Nel pigro fumigare dell’alba il primo pensiero fu che ora fosse. La coperta respinta assunse una forma quasi umana e l’incerto chiarore dipinse una scena lontana, poi una successione di altre come una cascata, con gli stessi finali di malumori e litigi. Ambra sospirò. Si rimise giù per un attimo e sentì un fruscio. Di certo la tenda, ma quel suono era inusuale e la disturbò. Dopo uno sbadiglio andò in cucina per il primo caffè, e lo vide.
Un’ombra vaga, che s’accendeva una sigaretta: un contorno netto nella penombra, pulito, accattivante. Forse lo conosceva, e lo osservò attenta, senza paura. L’ombra fece un gesto, ed alle sue spalle apparve un’auto sportiva, ferma sul limitare di una pineta, poi prese a scrivere una lunga parola incomprensibile. Ambra si accorse di parlare da sola, e vide se stessa qualche anno addietro, affacciata alla finestra della sua stanza, mentre diceva “perché” ad un abbandono. Una morsa l’attanagliò ed ebbe paura, come se guardasse nel buio dallo sperone di un monte. Fece un gesto brusco e si girò verso il fornello, l’accese, prese tazzina e cucchiaino. Sorbendo il caffè prese nota degli avvenimenti esposti dal Telegiornale .
In breve, svelta e concentrata, ultimò la toilette, ripassò mentalmente gli impegni e gli appuntamenti della giornata ed uscì.
E lo vide ancora, appoggiato allo stipite del portone, per un attimo soltanto, poi svanì. L’inquilino del piano terreno irruppe nell’atrio, come sempre carico di alimentari, per la consueta festa di fine settimana. L’estate, con le tende malchiuse, era solito prendere il fresco nudo, sdraiato sul letto, incurante dell’intimità violabile dalla finestra che dava sulla strada. Il ricordo contrastante, vergognosamente eccitante fra curiosità e repulsione , delle pudende esposte, la spinse a concentrarsi su più anonimi soggetti.
Alla fermata l’attendeva con un libro ed una penna: eccolo di nuovo. Scosse il capo e sospirò, salendo sull’autobus. Ma gli occhi, i gesti, i colori degli abiti e perfino le tossi di alcuni lasciarono riemergere come il sole che esce da una nuvola una forma elegante forse conosciuta, un contorno garbato di un profilo. Le sembrò anche di sentirlo sorridere , più di vederlo, e ne intuì le mani che forse era solito saper muovere come fossero indipendenti dalla sua persona, in modo un poco goffo. Si girò, dando le spalle all’apparizione, ma fu inutile. Fra l’altro irrigidirsi per rifiuto in quel modo le dispiacque, tanto che le venne da piangere inspiegabilmente. La figura non aveva legame con lei. Abbassò gli occhi scossa, poi li alzò di nuovo e fra le involontarie tracce tremanti che velavano il suo sguardo le sembrò che la figura le tendesse la mano, adesso un poco nodosa, ma la folla sull’autobus impediva loro di raggiungersi.
Il fantasma cambiò leggermente forma, ed assunse un aspetto più poderoso ma meno affascinante, meno nitido: i capelli più radi, il contegno meno accattivante, ma provocatorio ed aggressivo: mosse aritmicamente il bacino per evidenziare il sesso e le intenzioni. Ambra ne fu respinta ed eccitata, ma con dolore, come se qualcuno l’avesse sorpresa in qualcosa di male, come se avesse causato una brutta scoperta. Repentina, scese dall’autobus.
Un’insegna permaneva stranamente illuminata in quel mattino nebuloso ma con promesse di luce chiara. Il negozio conteneva costumi da ballo graziosamente appesi alle pareti, o su manichini dagli occhi sbarrati, scarpette dorate, lustrini, parrucche, calze di lurex, veli, volants. i soliti divi a tutta dentiera, semisdraiati a mostrare culi, o con le braccia alzate e gli occhi ispirati, altri ancora in tutù. Ambra meccanicamente osservò l’incomprensibile insegna, squillante nel suo aspro colore e cercò di permeare nel buio del locale , corrugandosi per il contrasto con la luminosità stridente delle vetrine.
E lo vide ancora, timido ed aggrondato, quasi ripiegato su se stesso, con le braccia poste come quelle di una scimmia, accostate per i dorsi delle mani e sul davanti della persona. Ambra restò ferma, incerta sul contegno da assumere. L’apparizione, nota ed ignota, nel bel mezzo di quel mondo di immagini, di storie passeggere che dicevano esperienze, era forse l’unica sorgente di interesse e provocatrice di conoscenza, con tutti quegli interrogativi che suscitava, anche senza volerlo. Lo guardò prima esitando, poi con sicurezza. L’ombra aveva adesso un libro in mano e le faceva cenno di avvicinarsi, ma la ragazza esitava, sfiorando i vetri gelidi delle vetrine, stringendo le maglie della saracinesca. La figura insisteva ed ad un certo punto aprì il libro e lo tenne aperto e verticale davanti a se’ in modo che Ambra potesse vederlo. Vedere quelle pagine e leggere quelle strane rune che tuttavia comprendeva fu per Ambra una botta, un urto doloroso. Scosse con forza le maglie della serranda, che suonarono tristi come anime in pena. Guardò ai suoi piedi e, preso dalla borsa un arnese da manicure, lo insinuò nella serratura e tentò di aprirla. Non avere risposta ai tentativi le provocava dolori ad ondate di tempo prefissato. Era bagnata di sudore, la schiena era un fuoco, crampi le attanagliavano i polpacci: Osservava di tanto in tanto , prendendo fiato, quell’anima alta, ora divenuta sottile ed elegante, che non distingueva nei particolari, così fluttuante com’era, così trasparente. Questa reagiva a cenni o con gesti di minaccia se Ambra mostrava stanchezza. Giunse a voltarle le spalle, nascondendole il libro, ed alla giovane cadde addosso un manto di gelo.
Le venne da piangere e si guardò intorno con la coda dell’occhio paventando la curiosità dell’anonima folla che si disperdeva qua e là, notando che ogni soggetto andava svelto dietro la sua propria insegna , indifferente come sempre l’uno dell’altro. Aggredì allora con la limetta l’ostinato meccanismo che non cedeva, con le mani spellate per l’accanimento, interrogando spietatamente ogni segreto dell’ingranaggio con la punta acuta del suo arnese ed alla fine ebbe la meglio: uno stridore, qualcosa scattò, il blocchetto si rovesciò su un lato . Con uno sforzo Ambra prese a due mani la base della grata e la tirò in alto. Riprese fiato. Il fantasma sfogliò davanti al suo viso altre pagine coperte da una scrittura remota, facendo segno su questo o quel vocabolo con l’indice magro. Ambra sentiva dolore dappertutto per la fatica e le sembrò di ascendere un monte impervio e malfido, ma quel libro la invitava, la soggiogava quasi, e l’attraeva il fantasma che, nella sua goffaggine quietamente accettata, poteva sembrare bello. Posò le mani sulle porte a vetri ed iniziò a spingerle, ma, come si aspettava, queste erano serrate. Il fantasma si agitò, le mostrò una mano chiusa con il medio levato , muovendo l’arto in su e giù con un chiaro significato di scherno. Saltò su un manichino e prese a baciarlo, nascondendo il libro dietro di se’. Ambra sentì come un affondo di una lama e gridò infuriata, prendendo a pugni le porte di vetro. Due passanti scossero la testa , sogguardandosi complici fra loro e puntandosi gli indici sulla tempia, ruotando il polso avanti e dietro. L’ectoplasma lasciò il manichino e ne prese un altro per la vita, dove la guepière si raccoglieva in molteplici righe di merletto, ed Ambra digrignò i denti come impazzita : non riusciva di aprire i vetri.
Tentò ancora di trovare un punto sensibile, ma invano. Il fantasma le fece cenno di andare via, e le girò le spalle. Ambra restò un momento inebetita, poi, abbassata la testa, caricò l’ostile parete trasparente con una breve rincorsa. La parete di vetro allora s’incurvò , poi si aprì come un fiore che sboccia, inondando il pavimento di innumerevoli schegge grigie. Ambra vide il mondo diventare di un bianco accecante, cadde a terra trascinata dalla sua potenza, ai piedi del fantasma che la osservò giacere boccheggiante, e poi le si avvicinò piano piano. Ambra vide come in trance che egli assorbiva i suoi colori e dopo, presala per le mani con le sue mani diafane, filtrò nella sua pelle e si fuse con lei.