(AGENPARL) - Roma, 17 Dicembre 2025(AGENPARL) – Wed 17 December 2025 COMUNICATO STAMPA
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Archaeological and Anthropological Sciences dalla ricercatrice Margherita Ferri (Università Ca’ Foscari Venezia)
RICERCA DI CA’ FOSCARI SU VETRI VENEZIANI DEL VIII SECOLO SVELA LA PIÙ ANTICA STORIA DEL VETRO A VENEZIA
Le analisi scientifiche recentemente condotte su frammenti di vetro svelano una città pioniera nel riciclo e nell’adozione delle tecnologie a base di ceneri vegetali più innovative e all’avanguardia del Mediterraneo
VENEZIA – Quando pensiamo al vetro veneziano, la nostra mente corre subito alle fornaci incandescenti di Murano, alle filigrane delicate e ai colori sgargianti del Rinascimento. Questa immagine, iconica e universalmente riconosciuta, racconta però solo una parte della storia. Per secoli, il capitolo precedente, quello delle origini altomedievali, è rimasto avvolto nell’ombra, considerato un semplice preludio alla grandezza muranese.
Recenti scoperte stanno dimostrando che la storia del vetro a Venezia è molto più antica, complessa e tecnologicamente avanzata di quanto avessimo mai immaginato. Un passato quasi dimenticato sta riemergendo da minuti frammenti.
La chiave di volta di questa rivoluzione è uno studio archeometrico appena pubblicato sulla rivista Archaeological and Anthropological Sciences dalla ricercatrice Margherita Ferri (Università Ca’ Foscari Venezia – Dipartimento di Studi Umanistici) che analizza campioni di vetro altomedievale provenienti da San Pietro di Castello a Venezia, l’antica isola di Olivolo, uno dei nuclei fondativi della città e al tempo in posizione strategica vicino all’ingresso del porto, a controllo dell’accesso alla laguna.
La ricerca, svolta in collaborazione con Elisabetta Gliozzo del Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS) dell’Università degli Studi di Firenze e con Eleonora Braschi, Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR, si basa su campioni di vetro altomedievale provenienti dagli scavi archeologici condotti a inizio anni ‘90 dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Venezia, con la quale il Dipartimento di Studi Umanistici veneziano collabora attivamente.
L’analisi scientifica di questi vetri, datati tra il VI e il IX secolo, che prende in considerazione 45 campioni, inclusi vasellame, scarti di produzione e un crogiolo in pietra ollare, ci sta restituendo l’immagine di una Venezia altomedievale come un vivace centro di commerci globali e di sorprendente innovazione tecnologica.
Si tratta di un’immagine completamente nuova delle origini di Venezia. Emerge una città molto avanzata, connessa e innovativa già dall’VIII secolo, un centro nevralgico nel Mediterraneo altomedievale capace non solo di commerciare su vasta scala, ma anche di adottare e padroneggiare le più avanzate tecnologie del suo tempo.Una nuova tecnologiaLa storia della tecnologia è segnata da transizioni epocali. Una delle più importanti per il mondo antico fu il passaggio dalla produzione di vetro a base di natron, la ricetta ereditata dall’Impero Romano, a quella a base di ceneri vegetali. Questo cambiamento, innescato dalla difficoltà di reperire il natron egiziano, diede inizio a una nuova era per la vetraria europea. La domanda per gli archeologi è sempre stata: chi fu all’avanguardia di questa rivoluzione?“La risposta emersa dagli scavi di San Pietro di Castello – afferma Margherita Ferri – è sorprendente. Qui sono stati rinvenuti alcuni frammenti di vetro prodotti con ceneri vegetali risalenti già all’VIII secolo. Ma il vero colpo di scena è un altro: l’analisi chimica attribuisce a questi antichi frammenti una produzione siro-levantina. Ciò significa che la Venezia di 1300 anni fa non solo conosceva questa nuova tecnologia, ma i suoi commerci erano così efficienti da importare materiali all’avanguardia prodotti a centinaia di chilometri di distanza. Questo posiziona Venezia tra i primissimi centri in Italia ad accogliere e padroneggiare questa nuova tecnologia, mostrandocela come un centro incredibilmente ricettivo e connesso”.
Inoltre, dentro una tessera blu al natron, gli scienziati hanno trovato la coesistenza di due diversi tipi di opacizzanti: gli antimoniato di calcio, una tecnologia antica in disuso dal IV secolo, e gli stannati di piombo, la tecnica più moderna. Come può una singola, minuscola tessera di mosaico contenere tecnologie separate da secoli? La risposta, svelata dalle analisi, risiede in una pratica che consideriamo moderna: il riciclo. Gli artigiani hanno fuso una vecchia tessera di epoca romana per recuperarne il materiale e creare un nuovo oggetto, mescolando così il passato e il presente. Inoltre, per ottenere il colore blu, gli artigiani veneziani non usavano un pigmento di cobalto puro e raffinato. Sfruttavano invece scorie della lavorazione dei metalli, un sottoprodotto ricco di cobalto. Questa scelta rivela non solo una profonda conoscenza dei materiali e delle loro proprietà, ma anche un’economia intelligente basata sul riutilizzo, una sorta di economia circolare ante litteram.
La Venezia altomedievale e i commerci
Le analisi sulla provenienza del vetro grezzo hanno dipinto un quadro vivido di Venezia come un crocevia commerciale internazionale. I reperti hanno rivelato una proporzione quasi identica di vetri provenienti dalle due principali aree di produzione del tempo: l’Egitto e la regione del Levante (corrispondente alle coste di Siria, Libano, Palestina e Israele).Le rotte commerciali di Venezia erano dinamiche e flessibili, capaci di adattarsi ai cambiamenti geopolitici e produttivi del Mediterraneo. La laguna non era una semplice destinataria di merci, ma un attore protagonista in una rete di scambi complessa e in continua trasformazione.
Ma come arrivavano queste nuove tecnologie e questi oggetti esotici a Venezia? Sotto forma di materia prima da lavorare nelle officine locali o come oggetti di lusso già finiti? La risposta è: in entrambi i modi, a testimonianza di una rete commerciale incredibilmente sofisticata.La prova di un commercio di materie prime viene dai calici a base di ceneri vegetali. La loro composizione chimica suggerisce un’origine siro-levantina della materia prima. La loro forma, però, è identica a quella dei calici prodotti localmente con la vecchia tecnica a base di natron. Questo indica che gli artigiani veneziani importavano il vetro grezzo e lo lavoravano secondo i propri stili. Al contrario, il ritrovamento di un bicchiere con base conica, una forma tipica della produzione siriana che non veniva realizzato nell’Adriatico in quel periodo, indica l’importazione diretta del prodotto finito, probabilmente come oggetto di pregio.
La Venezia altomedievale gestiva quindi una catena di approvvigionamento mista, importando sia materie prime per le proprie officine sia beni di lusso per il consumo diretto.
Articolo: The glass assemblage from San Pietro in Castello: tracing glass technology and innovations in the Venetian lagoon, Archaeological and Anthropological Sciences (2025) 17:207 https://doi.org/10.1007/s12520-025-02317-0Autori: Elisabetta Gliozzo, SAGAS Università degli Studi di Firenze,Margherita Ferri, DSU Università Ca’ Foscari Venezia, Eleonora Braschi, CNR – Istituto di Geoscienze e Georisorse.
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