(AGENPARL) - Roma, 4 Dicembre 2025Nelle aree del Paese con meno servizi per l’infanzia le donne pagano il prezzo più alto. Emanuela D’Aversa: “Parliamo di infrastrutture sociali essenziali per garantire la parità di genere nell’accesso al mondo del lavoro”.
Meno asili nido, meno donne al lavoro. Si tratta di una correlazione diretta che emerge in un’analisi di FederTerziario che ha incrociato i dati nazionali sui servizi educativi e l’occupazione femminile: la copertura dei servizi educativi per la prima infanzia – dicono i dati Istat relativi all’anno scolastico 2022-2023 – risulta al di sotto della media italiana in diverse regioni del mezzogiorno (Campania al 13,2%, Sicilia al 13,9%, Calabria al 15,7%) mentre, a fronte di una media nazionale del 30%, nell’area centrosettentrionale si è ormai lanciati oltre il 40% (Umbria al 46,5%, Emilia-Romagna al 43,1%, Valle D’Aosta Ale 43%). Numeri che certificano una emergenza acclarata dai dati diffusi da Istat e Cnel: nel secondo trimestre 2024, nel Nord sono occupate il 62,8% delle donne con un’età compresa tra 15 e 64 anni, quota che scende al 59,9% nel Centro e diviene poco più di un terzo nel Mezzogiorno (37,2%).
“Sono certamente molteplici i fattori che incidono sul cosiddetto sul divario di genere a livello lavorativo – spiega Emanuela D’Aversa, responsabile dell’ufficio delle relazioni industriali e delle politiche di genere di FederTerziario – ma i servizi per l’infanzia sono infrastrutture sociali essenziali per garantire la parità nell’accesso al mondo del lavoro. I dati parlano chiaro: dove ci sono servizi per l’infanzia funzionanti, accessibili e diffusi sul territorio, le donne lavorano di più, le famiglie hanno maggiore stabilità economica e le imprese possono contare su un bacino di competenze più ampio“.
FederTerziario si è da tempo impegnata sul fronte della parità di genere nel mondo del lavoro, promuovendo, attraverso i propri CCNL, politiche di conciliazione vita-lavoro, welfare aziendale e sostegno alle lavoratrici madri e spingendo nei tavoli istituzionali per l’ampliamento dei destinatari della formazione finanziata attraverso i Fondi Interprofessionali, includendo le donne disoccupate e inoccupate.
“Non si tratta di assistenzialismo, ma di strategia economica – sottolinea D’Aversa – Un Paese che vuole crescere non può permettersi di lasciare indietro metà della sua forza lavoro. La parità di genere non è solo un obiettivo etico, è una leva di sviluppo“.
Uno studio di openpolis conferma che le 10 città con più occupazione femminile si trovano tutte nell’Italia centrosettentrionale – Belluno, Siena, Bolzano, Trento, Lodi, Prato, Cuneo, Modena, Lecco e Milano – con un tasso che si colloca tra il 75,7% e l’81,9%, a fronte di un’offerta di servizi per la prima infanzia che supera la media nazionale. Al contrario sono tutte del mezzogiorno le città con i tassi di occupazione più contenuti – Catania, Napoli, Palermo, Trapani, Andria, Taranto, Messina, Crotone, Siracusa e Trani – che registrano una copertura di servizi per la prima infanzia inferiore alla media nazionale. Evidenze confermate dagli studi economici sull’impatto dei servizi per l’infanzia in termini di occupazione, consumi e gettito fiscale, determinando l’effetto moltiplicatore che si attiva con l’investimento nei servizi per la prima infanzia.
“C’è una speranza – conclude la responsabiledelle politiche di genere di FederTerziario – che risiede nella spesa delle risorse del PNRR in relazione al Piano asili nido: un investimento da 3,24 miliardi di euro per creare oltre 150mila nuovi posti entro il 2026 che vede, anche tramite altre risorse, un investimento pubblico complessivo di 4,57 miliardi. Tuttavia esprimiamo preoccupazione in relazione alle difficoltà di spesa che, come evidenziato dall’ufficio parlamentare di bilancio, lasciano incertezze sul conseguimento dell’obiettivo in termini quantitativi e temporali“.
