
Il Ministero degli Esteri francese ha lanciato un nuovo account sulla piattaforma X, chiamato French Response, per contrastare quelle che considera “false accuse” sulla sua politica estera. La prima grande risposta dell’account è stata rivolta alle dichiarazioni del Segretario di Stato americano Marco Rubio, che ha accusato la Francia di aver fatto fallire i colloqui per la tregua a Gaza con il suo piano di riconoscere uno Stato palestinese.
La risposta della Francia e i fatti sui negoziati
L’account French Response ha respinto fermamente l’accusa, sostenendo che “il riconoscimento dello Stato di Palestina non ha causato la rottura dei negoziati per la presa degli ostaggi”. Il ministero ha supportato la sua posizione con una serie di prove temporali, inclusi post sui social media del presidente Emmanuel Macron e del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dimostrando che i negoziati erano già falliti prima dell’annuncio francese.
Il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot ha annunciato la creazione di questo account come parte di una strategia per “contrastare tutti coloro che all’estero vogliono danneggiare l’immagine della Francia”. L’iniziativa include anche la creazione di “centri di monitoraggio” per rilevare la disinformazione.
Rubio aveva affermato che Hamas aveva abbandonato i negoziati nel “momento stesso” in cui la Francia aveva annunciato la sua decisione, ma l’account francese ha citato una dichiarazione dell’inviato speciale statunitense Steve Witkoff, che aveva già annunciato il ritiro degli Stati Uniti dai colloqui a causa della presunta “mancanza di buona fede” di Hamas.
Il contesto del conflitto a Gaza
A luglio, Macron aveva annunciato che la Francia avrebbe riconosciuto lo Stato palestinese, un passo seguito da Regno Unito, Canada, Australia e Belgio. Il conflitto a Gaza, scatenato dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, ha causato decine di migliaia di vittime, tra cui numerosi civili. Israele, in previsione della conquista di Gaza City, ha recentemente ordinato ai residenti di spostarsi in una “zona umanitaria” nel sud, anche se aree designate in passato sono state ripetutamente bombardate.