
Dimenticate i titoli sui “record” e le autocelebrazioni: il turismo in Puglia sta vivendo una crisi di sistema, il cui impatto è molto più profondo di un semplice calo passeggero. Lo afferma con forza Alessandro Zezza, Presidente del Consorzio Puglia DOC e autore del libro “Overtourism”, che analizza in modo schietto e senza filtri le reali criticità di un settore chiave per la regione.
Secondo Zezza, la situazione attuale è il risultato di anni di scelte politiche miopi, caratterizzate da una totale mancanza di visione strategica e da una deregulation selvaggia che ha inondato il mercato di strutture extralberghiere improvvisate, a discapito degli operatori seri e della qualità dell’offerta. A questo si aggiunge una narrazione pubblica ingannevole, che ha privilegiato lo “storytelling patinato” anziché affrontare i problemi reali.
In questa intervista, Zezza non si limita a criticare, ma propone soluzioni concrete: un piano industriale decennale per il turismo, un censimento completo dell’offerta ricettiva e un cambio di mentalità a livello istituzionale. La sfida, secondo l’imprenditore, è smettere di rincorrere il turismo mordi e fuggi e puntare sull’autenticità e la qualità, gli unici veri lussi che la Puglia può offrire.
Domanda. Lei sostiene che il turismo in Puglia non stia affrontando una flessione temporanea, ma una vera e propria crisi di sistema dovuta a improvvisazione politica, deregulation e narrazione distorta. Quali sono, a suo avviso, le tre principali responsabilità politiche che hanno portato a questa situazione e quali azioni immediate dovrebbero essere intraprese per invertire la rotta?
Zezza. La Puglia non sta affrontando una flessione temporanea, ma sta scontando anni di improvvisazione politica, deregulation e narrazione falsa che ha illuso tutti: operatori, amministratori, residenti. Credo siano tre le responsabilità politiche evidenti. Prima di tutto l’assenza totale di visione strategica: invece di costruire un piano decennale, abbiamo fatto turismo a colpi di post Instagram e festival. Il risultato? Una regione affollata, disorganizzata e fuori controllo. In secundis, una deregulation selvaggia dell’extralberghiero. Migliaia di strutture nate senza regole, senza standard, senza rispetto per chi fa questo mestiere con competenza hanno alimentato una concorrenza sleale che ha danneggiato il mercato e bruciato i margini. Infine, una narrazione pubblica distorta e autoreferenziale: mentre gli imprenditori chiudevano con i conti in rosso e i centri storici diventavano deserti sociali, la politica si autocelebrava con titoli da record. “Tutto esaurito” è diventato sinonimo di successo, ma il pienone non ha mai fatto redditività.
Quello di cui oggi abbiamo bisogno per invertire la rotta è quindi un piano strategico decennale, serio e vincolante. Serve una visione industriale del turismo, con obiettivi misurabili, lasciando parlare chi lavora davvero sul campo. Ben venga quindi il progetto DMO Puglia lanciato dall’assessore Lopane e dalla Camera di Commercio di Lecce. Ma che sia concreto, e non l’ennesimo contenitore vuoto.
È fondamentale anche un censimento completo dell’offerta ricettiva, dobbiamo sapere chi lavora, come lavora, e con quali impatti, altrimenti come potremmo gestire il sistema?
In ultimo, ma forse primo in ordine di priorità, serve un cambio di mentalità, a partire dalle istituzioni. Finché si penserà al turismo come a una stagione da riempire, continueremo a sbagliare. Il turismo è un settore economico, come l’agroalimentare, come la manifattura. Perciò va gestito, pianificato, misurato e non improvvisato.
Domanda. Lei critica lo storytelling patinato e la creazione di identità artificiali, come nel caso del “Salento terra del tartufo”. In che modo queste narrazioni posticce danneggiano l’immagine della Puglia e cosa, invece, dovrebbe essere valorizzato per costruire un’offerta turistica più autentica e sostenibile?
Zezza. Fare marketing territoriale non significa fare branding, non è legare uno slogan accattivante a un territorio, ma tirare fuori ciò che già esiste, valorizzarlo e renderlo visibile senza tradirne l’anima.
Quello che vediamo oggi, invece, è l’opposto: una corsa al racconto costruito, artificiale, talvolta perfino ridicolo.
Queste narrazioni posticce tradiscono il turista e svuotano l’identità di un luogo. Se ogni territorio si racconta come “autentico, esperienziale, gourmet”, allora nessuno lo è più davvero. E in un mondo che cerca unicità, essere confusi con altri è il peggior fallimento.
Credo che oggi serva un ritorno all’essenziale, perché la Puglia non ha bisogno di inventarsi niente ma ha già in sé tutti gli ingredienti di cui ha bisogno: le radici contadine autentiche, le storie delle famiglie che hanno custodito la terra per generazioni, i suoni ma soprattutto i silenzi e i gesti che nessuno spot potrà mai riprodurre a pieno.
Il nostro valore non sta nel rincorrere il trend di turno, ma nel rimanere fedeli a ciò che siamo. In un turismo sempre più standardizzato, essere autentici è il nostro vero lusso.
Domanda. Il Codice Identificativo Nazionale (CIN) ha fatto emergere migliaia di strutture ricettive finora “sommerse”. È un passo sufficiente per riportare ordine nel settore?
Zezza. Il CIN è un passo fondamentale per riportare un minimo di ordine, trasparenza e giustizia in un sistema che da anni era diventato ingestibile.
L’emersione è un buon punto di partenza ma non basta, se la regolarizzazione si limita a un codice da esporre alla porta. Quello per cui ora occorrono impegno e investimenti è un sistema di verifica e monitoraggio dei requisiti minimi. Chi entra nel mercato deve rispettare standard chiari – anche se piccoli, anche se extralberghieri, perché non possiamo più permetterci strutture “improvvisate” che rovinano l’esperienza del turista e abbassano l’asticella per tutti. Serve però anche la formazione obbligatoria per chi gestisce, per garantire l’acquisizione di competenze minime su accoglienza, sicurezza, gestione, comunicazione. Nessuno si metterebbe a fare il medico senza studiare. Il turismo invece, da anni, lo facciamo passare come hobby. Infine sarebbe utile un meccanismo di premialità per chi investe in qualità e impatto, con visibilità, incentivi, e meno burocrazia, perché chi sceglie di crescere, formarsi, collaborare col territorio e lavorare in ottica sostenibile va sostenuto.
Domanda. La “destagionalizzazione” è un tema ricorrente. Lei afferma che non basta “convincere le strutture ad aprire”. Quali sono i tre elementi essenziali che la Puglia dovrebbe sviluppare per rendere la regione attrattiva anche al di fuori dei mesi estivi?
Zezza. “Destagionalizzazione” è un termine vuoto che ci raccontiamo da anni, uno slogan comodo che la politica ha usato per scaricare la responsabilità sugli imprenditori, dicendo: “Se non riesci a lavorare è colpa tua che ti accontenti dei mesi estivi.”
E Intanto mancano i voli, i treni, gli eventi, i servizi minimi.
Il punto è che l’allungamento della stagione non si impone con i pacchetti vacanza, ma si costruisce con infrastrutture, cultura e visione. I tre must in questo senso sarebbero: collegamenti attivi tutto l’anno, eventi e cultura pensati per l’incoming, cofinanziamento pubblico-privato e infrastrutture permanenti.
Per quanto riguarda il primo punto, io ci ho provato a lavorare su novembre, parlando con tour operator stranieri ma fuori stagione la Puglia è difficile da raggiungere e ancora più difficile da girare. Le distanze sono grandi, i mezzi pochi, tutto si spegne dopo l’estate. E senza logistica non c’è turismo.
Poi entro nel merito di un tema che mi sta a cuore: la cultura non va regalata.
La Spagna e il Portogallo hanno fatto del flamenco e del fado motori di attrazione turistica e occupazionale, hanno creato luoghi, sale, percorsi esperienziali, hanno fatto sistema.
Invece noi continuiamo a dare la pizzica gratis in piazza, come fosse un folklore da usare una volta l’anno, e poi dimenticare. Perché non abbiamo delle sale della pizzica? Un luogo stabile dove il turista possa viverla tutto l’anno, spiegarne il significato, conoscerne la storia, non solo ballarla a ferragosto.
Abbiamo tutto: la tradizione, la musica, il racconto. Ci manca solo il coraggio di non svendere la nostra identità.
Per quanto concerne le infrastrutture permanenti, perché, ad esempio, non esiste ancora un’enoteca regionale pubblica in Puglia, come in Emilia-Romagna?
Abbiamo territori straordinari dal punto di vista enologico, eppure non abbiamo creato un ambiente fisico, permanente, dove raccontare e vendere la nostra cultura del vino.
Allungare la stagione significa creare luoghi che funzionano anche a gennaio, che diano lavoro, che generino esperienze. E per farlo serve una vera alleanza tra pubblico e privato, con risorse condivise, obiettivi comuni e meno burocrazia.
Finché tutto questo non esiste, chiedere agli imprenditori di restare aperti in inverno è quasi offensivo. L’allungamento della stagione si fa con regia, strutture, contenuti e visione.
Domanda. La Puglia non può competere con i low-cost del Mediterraneo sul prezzo. Su quali elementi dovrebbe puntare per distinguersi e valere il prezzo che viene chiesto?
Zezza. Partiamo da una verità scomoda: ci sarà sempre qualcuno meno caro di te. Sempre.
Se la tua strategia è “costare meno”, allora hai già perso in partenza.
Ma diciamone anche un’altra: la Puglia non è cara, è solo raccontata male: movida patinata, cocktail sulla riva, DJ set al tramonto, modelle che ballano con lo sguardo rivolto ai follower e non al territorio. Allora dove sta la differenza rispetto al resto del mondo? La Puglia non può e non deve competere con i low-cost sul prezzo ma sull’unicità dell’esperienza. Quella costruita sull’identità vera, fatta di lentezza, stagionalità, riti, paesaggio vissuto.
La qualità dell’esperienza, la relazione e uno storytelling nuovo sono gli elementi chiave di questo percorso che richiede coraggio e coerenza. Dobbiamo smettere di raccontare quello che abbiamo, e iniziare a raccontare quello che siamo.
E chiudo con quello che ripeto spesso nei miei interventi: la Puglia non deve costare di meno, ma deve valere il prezzo che viene chiesto. Il turista deve ricordarci; noi, in primis dobbiamo ricordarci chi siamo. Perché l’unico modo per non essere sostituiti è essere inimitabili.
Serve un cambio di mentalità per un turismo di qualità
In conclusione, l’intervista ad Alessandro Zezza dipinge un quadro complesso e critico del turismo in Puglia, lontano dalla retorica dei dati gonfiati e dei record. La sua analisi si basa su un’evidenza forte: la regione sta vivendo una vera e propria crisi di sistema, causata da una gestione politica improvvisata, dalla deregulation selvaggia del settore extralberghiero e da una narrazione pubblica autoreferenziale che ha offuscato le reali criticità.
Zezza propone una via d’uscita chiara e decisa: un cambio di mentalità radicale, a partire dalle istituzioni. Il turismo va gestito come un vero e proprio settore industriale, con un piano strategico decennale e obiettivi misurabili, che mettano al centro chi lavora con professionalità e competenza.
La soluzione non è competere sul prezzo con le destinazioni low-cost, ma investire sull’unicità dell’esperienza pugliese, riscoprendo e valorizzando l’identità autentica fatta di lentezza, tradizioni contadine e cultura radicata. L’obiettivo non è attrarre il turista con slogan ingannevoli, ma offrirgli un’esperienza che “valga il prezzo che viene chiesto”.
Il futuro del turismo in Puglia, secondo Zezza, non risiede nello storytelling patinato, ma nella qualità, nella coerenza e nella capacità di essere inimitabili, tornando a essere se stessi.
