
Il Rito Scozzese Antico ed Accettato (RSAA), codificato ufficialmente a Charleston nel 1801 con la fondazione del primo Supreme Council e radicato nei cosiddetti “Alti Gradi” della Libera Muratoria, si afferma come uno dei più diffusi e strutturati riti di perfezionamento massonico. In Italia, la giurisdizione storicamente più significativa è quella del Supremo Consiglio per la Giurisdizione Massonica d’Italia – Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani, la cui fondazione risale al XIX secolo, ed è stata nel tempo presieduta da figure di spicco del panorama massonico nazionale, tra cui recentemente il Prof. Fausto Bruni, in qualità di Sovrano Gran Commendatore.
Nel corso degli ultimi decenni, la frammentazione del panorama massonico italiano ha visto la nascita di enti autonomi che rivendicano il medesimo corpus rituale e simbolico, creando contenziosi giuridici sull’uso di nomi, segni distintivi, ritualità e denominazioni. Il caso più emblematico è quello che ha portato alla sentenza n. 9496/2002 della Corte di Cassazione.
Con sentenza n. 9496 del 26 febbraio 2002, la Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha posto un principio giuridico fondamentale: sebbene il Supremo Consiglio d’Italia del RSAA presieduto dal Prof. Bruni fosse pienamente legittimo e regolare in base alla sua continuità storica e normativa, non può rivendicare in via esclusiva l’uso dei simboli o delle ritualità del Rito Scozzese, in quanto questi appartengono a una tradizione iniziatica universale, non tutelabile come diritto privato esclusivo.
La sentenza afferma un principio di diritto di rilievo generale, fondato su:
• l’art. 18 Cost., in tema di libertà di associazione;
• l’art. 2 Cost., in quanto tutela delle formazioni sociali come luogo di espressione della personalità;
• e sulla disciplina civilistica delle associazioni non riconosciute (artt. 36-38 c.c.), applicabile agli organismi massonici, salvo diversa forma giuridica.
Il giudice di legittimità ha dunque chiarito che:
«Simboli e ritualità riconducibili alla tradizione del RSAA non sono suscettibili di privativa o esclusiva da parte di alcun soggetto giuridico specifico, essendo parte di un patrimonio culturale e spirituale universale».
Questa posizione, che si richiama ai principi di common heritage of mankind tipici del diritto internazionale culturale, spoglia le controversie tra associazioni massoniche di un’eventuale pretesa di tutela esclusiva assimilabile a marchi, brevetti o segni distintivi ex artt. 2569 ss. c.c.
Il 1° dicembre 2006, a seguito di atto di citazione del legale rappresentante dell’associazione “Rito Scozzese Antico ed Accettato – 1805 per la Giurisdizione Massonica d’Italia”, avv. Giuseppe Morace, è stato avviato il giudizio civile RG 80418/06, pendente presso la III Sezione Civile del Tribunale di Roma (G.I. dott.ssa Dell’Orfano).
La causa verte su domande inibitorie, costitutive e risarcitorie per l’utilizzo del nome, dei simboli e delle denominazioni da parte del Supremo Consiglio tradizionale, con cui la parte attrice rivendica l’autonomia della propria giurisdizione e l’accesso alla medesima ritualità.
• Titolarità del nome e della denominazione: è possibile, per un’associazione, ottenere tutela giuridica su un nome legato a una tradizione universale?
• Tutela dei simboli iniziatici: i simboli massonici, assimilabili a “beni comuni culturali”, possono essere protetti come segni distintivi o “opere dell’ingegno”?
• Rapporti interassociativi: vi sono precedenti protocolli d’intesa tra il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani e il Supremo Consiglio, oggi utilizzati come base per invocare legittimità di cooptazione e continuità rituale.
In questo contesto, la giurisprudenza italiana tende ad escludere l’equiparazione di simboli iniziatici a marchi registrabili, proprio perché radicati in un contesto tradizionale, simbolico e non commerciale. Il diritto d’uso di rituali e simboli si configura come libero e non soggetto a monopolio giuridico, fatta salva la buona fede e la non confusione tra enti.
Oltre alla sentenza del 2002, un precedente giurisprudenziale fondamentale è rappresentato dalla sentenza n. 6725/1988, sempre della Corte di Cassazione, con cui veniva riconosciuta la legittimità dell’allora Sovrano Gran Commendatore del RSAA, ponendo una distinzione tra legittimità formale della rappresentanza e universalità dei contenuti iniziatici.
Nel corso degli anni, diverse associazioni – tra cui la Gran Loggia Nazionale dei Liberi Muratori d’Italia e la Gran Loggia Scozzese Reale d’Italia (ex Grande Oriente Fraterno d’Italia, 2002) – hanno collaborato o si sono contrapposte al Supremo Consiglio “storico” stipulando protocolli d’intesa oggi oggetto di discussione giuridica. Tali accordi, pur privi di valore normativo pubblico, assumono rilievo probatorio nel contenzioso.
Il caso del RSAA in Italia pone in rilievo una tematica complessa e spesso trascurata: la dialettica tra universalismo iniziatico e ordinamento giuridico positivo. Le associazioni massoniche, pur essendo soggetti di diritto privato, operano all’interno di una dimensione simbolico-rituale che trascende la regolazione civilistica classica.
La Cassazione ha chiarito un punto fermo: nessun soggetto può rivendicare l’esclusiva su simboli, ritualità o prassi che si ispirano a una tradizione spirituale transnazionale. Questa posizione tutela il pluralismo associativo e la libertà rituale, ma impone chiarezza statutaria, correttezza nelle denominazioni e trasparenza nell’uso dei simboli, per evitare fenomeni di confusione o legittimazioni improprie.
Nel tempo, sarà auspicabile un maggiore coordinamento de iure condendo, per esempio con linee guida normative sulle organizzazioni iniziatiche, volte a coniugare libertà associativa, identità rituale e certezza giuridica.