In questo periodo di profondi dibattiti sulla riforma della giustizia, uno dei temi centrali è la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti. Questo cambiamento strutturale, sostenuto soprattutto da esponenti del centrodestra, è visto come una misura fondamentale per garantire una maggiore imparzialità e trasparenza all’interno del sistema giudiziario italiano.
Manfredi Potenti, avvocato e membro della Commissione Giustizia del Senato, ci ha offerto una riflessione approfondita sulla necessità di separare nettamente le carriere dei magistrati per superare l’attuale commistione tra giudici e pubblici ministeri. Nella sua analisi, Potenti evidenzia come la contiguità tra queste due figure giuridiche crei un legame che rischia di compromettere il principio di terzietà e il giusto processo.
Inoltre, l’intervista affronta il tema della legge Pinto, che regola l’indennizzo per l’eccessiva durata dei processi. Potenti analizza l’efficacia di questa normativa, il suo impatto nel migliorare la velocità dei procedimenti e le ulteriori modifiche necessarie per renderla uno strumento più efficace. Secondo Potenti, è fondamentale che le riforme giuridiche, inclusa la separazione delle carriere, lavorino in sinergia per rafforzare il sistema giudiziario, garantendo una giustizia più equa e rapida per i cittadini.
Attraverso le sue risposte, Manfredi Potenti offre una prospettiva chiara su come queste riforme possano trasformare il volto della giustizia italiana, contribuendo a una maggiore efficienza e tutela dei diritti.
Domanda. Qual è la Sua posizione sulla separazione delle carriere tra magistratura giudicante e richiedente? Quali sono i principali vantaggi che ne deriverebbero e come potrebbero rafforzare i principi costituzionali del giusto processo?
Manfredi Potenti. Sicuramente d’accordo con la riforma della separazione delle carriere, una storica battaglia del centrodestra. La contiguità culturale tra il pubblico ministero e il giudice, nascente sin dalla stessa porta di accesso concorsuale alla magistratura, contraddice l’idea che l’attività della parte che accusa (PM) debba restare distinta da quella di chi giudica. Tale situazione crea uno spirito corporativo tra le due figure e compromette un sano e fisiologico antagonismo tra poteri, vero presidio di efficienza e di equilibrio del sistema democratico. Nelle grandi democrazie i PM hanno carriere nettamente separate da quelle dei giudici. Riteniamo che il magistrato debba scegliere all’inizio della carriera la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale
Domanda. Nonostante le riforme del 1989 e del 1999, le carriere dei magistrati restano unite. Quali sono le ragioni di questa situazione e come il disegno di legge costituzionale del Governo potrebbe risolvere tali problematiche?
Manfredi Potenti. Nel corso del tempo le funzioni giudicanti e requirenti, sono state sempre più rigidamente separate a partire dalla riforma Castelli del 2006 che ha reso il passaggio del ruolo del PM e viceversa poco ambito e marginale. Con la riforma Cartabia questa possibilità si è ridotta dalle quattro preesistenti, ad una, da effettuare nei primi 10 anni di servizio; già da prima servivano 5 anni di permanenza nel ruolo ed un “concorso/selezione” interno ogni volta. La Costituzione stabilisce che la magistratura è autonoma ed indipendente ed è soggetta soltanto alla legge. I magistrati si distinguono solo per le funzioni. La modifica definitiva di status, ha dunque un percorso tracciato che dunque si dovrà compiere con l’iter previsto sempre dalla nostra Costituzione per le riforme costituzionali.
Domanda. In che modo la separazione influenzerebbe il ruolo del pubblico ministero e la gestione dei processi?
Manfredi Potenti. La fine della attuale commistione tra Giudici e P.M. all’interno dello stesso organo di autogoverno, costituirà una cesura copernicana di un assetto che sino ad oggi, e vedasi gli effetti della nota vicenda Palamara, ha generato potenziali conflitti di interesse su temi delicati come le progressioni di carriera e i procedimenti disciplinari. Il magistrato giudicante deve essere un controllore terzo e imparziale rispetto al rappresentante legale dell’accusa che sarà invece il portatore di un interesse generale della collettività pubblica e/o della persona offesa diverso e distinto dall’interesse dell’indagato/imputato ma posto su uno stesso piano rispetto al ruolo della difesa
Domanda. Quali effetti potrebbero avere la separazione delle carriere sulla terzietà del giudice e sui diritti di libertà dei cittadini? Quali esperienze straniere potrebbero essere di ispirazione per l’Italia?
Manfredi Potenti. Oggi di fatto i PM, spesso non si limitano a costruire l’accusa ma alcuni “giudicano” prima del processo. Con la riforma la figura del Giudice beneficerà della maggiore centralità che merita, poiché su di lui i cittadini devono riporre la propria incondizionata fiducia. Solo con una netta separazione delle carriere e il rispetto di questi principi, si potrà ribaltare la narrazione distorta della giustizia penale degli ultimi anni. In Portogallo, ad esempio, la separazione organica tra la carriera dei giudici e quella del pubblico ministero è stata istituita nel 1978, approvata con l’istituzionalizzazione della democrazia dopo la rivoluzione del 25 aprile 1974.
Domanda. Quale sarà il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) nella riforma proposta? Quali benefici si prevede di ottenere dalla creazione di un’Alta Corte disciplinare separata dal CSM, e come il sorteggio dei membri togati potrebbe contrastare il correntismo?
Manfredi Potenti. Ci saranno due Csm, uno per i giudici e uno per i pm, entrambi presieduti dal presidente della Repubblica. La componente laica del Csm, ovvero i membri elettivi che attualmente vengono scelti per un terzo dal Parlamento in seduta comune sarà interamente nominata con un sorteggio, così come avverrebbe per i magistrati secondo quanto già previsto dalla riforma. Un modello che prevede poi l’assoluta paritarietà nell’espressione dei componenti del Csm e dell’Alta corte di giustizia disciplinare: in entrambi i casi il passaggio è quello del sorteggio, poi la legge ordinaria stabilirà i paletti. La previsione di una Alta Corte, come organo esterno al Csm, assumerà in maniera terza la competenza sugli errori e i comportamenti dei magistrati, che attualmente sono di competenza della sezione disciplinare del Csm.
Domanda. Quali sono le principali sfide dell’applicazione della legge Pinto riguardo alla durata ragionevole dei processi? Crede che la separazione delle carriere possa migliorare l’efficacia dell’equa riparazione prevista dalla legge Pinto?
Manfredi Potenti. La pagella data al Ministero della Giustizia sulla durata dei processi, è buona. Tenendo conto dell’aumento degli stanziamenti in bilancio, che nel 2023 è stato dell’86%, i risultati di gestione appaiono, come confermato dalla Corte dei Conti, in miglioramento in diversi profili, testimoniando un cambio di tendenza grazie al PNRR, anche se permangono delle criticità. Quello che ha contribuito al buon risultato è il fatto che siano state allocate le “nuove” risorse del PNRR su vecchi obiettivi, come le nuove assunzioni. Il punto su cui appare necessario insistere è, appunto, la legge “Pinto” digitale, ossia il progetto di abbattere sia l’arretrato Pinto sia di velocizzare le liquidazioni. Non vedo tuttavia una diretta relazione tra la separazione delle carriere e la tempistica di trattazione degli affari.
Domanda. Come valuta l’efficacia delle misure introdotte dalla legge di stabilità 2016 per garantire il rispetto dei termini di durata ragionevole del processo? Ritiene che le modifiche della legge 208 del 2015 siano state sufficienti?
Manfredi Potenti. La legge di stabilità 2016 ha tentato di introdurre dei rimedi all’irragionevole durata del processo, in base ai quali, la parte di un processo che assume aver subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’irragionevole durata del processo, ha il diritto/dovere di esperire dei rimedi preventivi, pena l’inammissibilità della domanda di equa riparazione. I rimedi preventivi suddetti, con riferimento al procedimento civile, si sostanziano, generalmente, nell’introduzione di un giudizio nelle forme dell’allora cognizione sommaria, quindi, nuovamente la necessità di ricorrere all’autorità giudiziaria. Bene avrei visto previamente una possibile definizione extragiudiziale in sede di ADR o la possibilità che lo Stato sia obbligato, dopo un esame preliminare della domanda, a proporre una offerta transattiva.
Domanda. Le critiche affermano che i processi di equa riparazione della legge Pinto non riducono significativamente i casi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Quali ulteriori modifiche suggerirebbero per migliorare la situazione?
Manfredi Potenti. Di certo, vi sono delle criticità e dovremo risolverle con un progetto normativo complessivo. Criticità che sono state anche oggetto di censure della Corte costituzionale. Tra tutte si ricorda quella del 2018, contro l’art. 4 della legge n. 89 del 2001 dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevedeva che la domanda di equa riparazione, una volta maturato il ritardo, potesse essere proposta in pendenza del procedimento presupposto. Tuttavia se è vero che in scia con la Corte EDU, la giurisprudenza costituzionale è ormai costante nell’affermare che i rimedi preventivi sono non solo ammissibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma addirittura preferibili, in quanto volti a evitare che i procedimenti giudiziari si protraggano eccessivamente nel tempo, ciò non significa, e nulla esclude, che il processo, pur a fronte di una siffatta istanza, possa comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di sua ragionevole durata.