
Quando non abbiamo più speranza, abbiamo anche poco spazio per riflettere e impegnarci. È ciò che si sostiene nell’ottimo volume di Mary Zournazi dal titolo Hope – New Philosophies for Change (Pluto Press Australia, 2002) ora tradotto in Italia con il titolo Tutto sulla speranza. Nuove filosofie per il cambiamento (Moretti &Vitali, pp. 283, euro 22). Il libro è composto da dodici conversazioni che la filosofa australiana ha intrattenuto con scrittori, scrittrici, filosofi e filosofe in tante parti del mondo esplorando il legame tra la speranza e la capacità di ognuno di modificare la propria realtà per comprendere e superare le forme di paura, oppressione e alienazione che sembrano dominare la vita contemporanea.
Nelle affascinanti conversazioni con Alphonso Lingis, Michael Taussig, Julia Kristeva, Nikos Papastegiadis, Christos Tsiolkas, Chantal Mouffe, Ernesto Laclau, Ghassan Hage, Gayatri Spivak, Michel Serres, Brian Massumi, Isabelle Stengers si affrontano temi come la globalizzazione, le classi sociali, le differenze e i cambiamenti del nuovo millennio. Con parole semplici ed esempi presi dall’esperienza quotidiana tutti i dialoghi contribuiscono a rendere vicina e accessibile una politica rivoluzionaria capace di creare una società più equa e più vivibile.
Mary Zournazi racconta cos’è questo sentimento e perchè ne abbiamo bisogno sia come individui che come persone. La speranza, sostiene la scrittrice, può essere ciò che sostiene la vita a dispetto della disperazione, ma non è semplicemente il desiderio che certe cose accadano o che le nostre vite migliorino.
Tutti abbiamo bisogno di sperare, ne abbiamo bisogno sia come individui perchè è la materia dei nostri sogni e delle nostre idee di libertà, sia come persone che vivono nella collettività, perchè la società non si ripieghi su se stessa chiudendosi nei propri confini.
Nella spaccatura tra razionale e irrazionale, la speranza è in un’altra sfera.
E’ sbagliato collocarla nella psicologia clinica, in termini di depressione o del suo contrario, la felicità.
Alcuni la considerano addirittura un sesto senso.
Io, modestamente, condivido ciò che dice il sociologo Brian Massumi, professore all’Università di Montreal.
La speranza va vista come una porta aperta dalla quale cominciare subito a muovere qualche passo e non come una porta chiusa e impossibile da aprire.
Questa bellissima parola un grande dottore della Chiesa che è Sant’Agostino, ce la umanizza con una frase: La speranza ha due bellissimi figli: l’indignazione e il coraggio. La prima per individuare le cose che non ci piacciono, il coraggio per trovare la forza di cambiarle.
