
(AGENPARL) – mar 25 luglio 2023 Ministero della cultura
Museo e Real Bosco di Capodimonte
Restaurata l’Annunciazione di Filippino Lippi grazie ad Art Bonus
con il sostegno dell’azienda Temi Spa
presentazione alla stampa e al pubblico
giovedì 27 luglio 2023, ore 12.00
Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli
Filippino Lippi (Prato, 1457 ca. – Firenze, 1504)
Annunciazione con i santi Giovanni Battista e Andrea, 1470-75 ca.
tempera su tavola, inv. Q 42
Torna esposta nelle sale del Museo e Real Bosco di Capodimonte, dopo un accurato restauro,
l’Annunciazione con i santi Giovanni Battista e Andrea di Filippino Lippi. L’opera, una tempera
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Via Miano 2 – 80131 Napoli
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su tavola datata 1470-75 ca., è stata restaurata grazie al sostegno dell’azienda Temi Spa che ha
utilizzato le agevolazioni fiscali dell’Art Bonus.
La stessa azienda aveva già sostenuto il Museo il restauro di un’altra opera, il Ritratto dell’infante
Francesco I di Borbone di Elisabeth Vigée Le Brun, nell’ambito del progetto “RivelazioniFinance for Fine Art” portato avanti nel 2018 da Borsa Italiana in collaborazione con l’Advisory
Board del Museo e Real Bosco di Capodimonte, progetto nel quale si inserisce anche il restauro del
Filippino Lippi completando un’operazione di successo che coinvolto ben otto importanti dipinti del
Museo, come l’Adorazione dei Pastori di Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, la Natività di
Luca Signorelli, La Cantatrice di Bernardo Cavallino e Adorazione del Bambino di Michelangelo
Anselmi, il Paesaggio con la Ninfa Egeria di Claude Lorrain, il Ritratto dell’infante Francesco di
Borbone di Elisabeth Vigée Le Brun e il Ritratto di Pier Luigi Farnese di Tiziano.
Restauri
possibili
grazie
aziende
campane
aderenti
progetto
ELITE,
il programma internazionale di Borsa Italiana nato nel 2012 in collaborazione con Confindustria
dedicato alle imprese con un alto potenziale di crescita: la D&D Italia Spa di Sabato D’Amico, la
Protom di Fabio De Felice, la Cartesar di Fulvio De Iuliis, la Epm di Carmine Esposito, la Pasell di
Salvatore Amitrano, la Graded di Vito Grassi, la Tecno srl di Giovanni Lombardi e la Caronte Spa
di Gennaro Matacena.
L’Annunciazione di Filippino Lippi è stata restaurata da Bruno Arciprete, sotto la direzione lavori di
Angela Cerasuolo, responsabile del Dipartimento restauro del Museo e Real Bosco di Capodimonte
con indagini condotte da Beatrice De Ruggieri, Matteo Positano, Marco Cardinali (Emmebi
Diagnostica Artistica) e Claudio Falcucci.
L’artista
Filippino Lippi nasce a Prato dall’unione illegittima tra il celebre pittore e frate carmelitano Filippo
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Lippi e la monaca agostiniana Lucrezia Buti, figlia di un mercante fiorentino.
Avviato prestissimo alla pittura, è già registrato fra i ‘garzoni’ della bottega paterna nel cantiere del
Duomo di Spoleto, dove Filippo si reca nel 1467 e trova la morte due anni dopo. Filippino continua
quindi a condurre la sua attività inizialmente a fianco di Fra Diamante, principale collaboratore del
padre. Da questi si discosta però entro il 1472, anno in cui è registrato nella bottega di Sandro
Botticelli, già con una certa autonomia e non esattamente come suo allievo. Gli studi più recenti
stanno ricostruendo l’attività dei primissimi anni di Filippino presupponendo questo precocissimo
apprendistato presso il padre, e quindi “l’avvio del percorso artistico del Lippi, parallelo e non in
esclusiva dipendenza da quello di Botticelli” (E. Parlato).
L’opera
L’Annunciazione di Capodimonte è un importante testimonianza di questa fase iniziale del giovane
maestro. Possiamo ipotizzare infatti una datazione veramente molto precoce per il nostro dipinto, alla
luce di quanto il restauro ci ha consentito di comprendere sulla sua esecuzione, caratterizzata da
modifiche, aggiustamenti, esitazioni nel passaggio dal disegno iniziale alla stesura pittorica, che si è
rivelata in tutto il suo nitore, preziosa e delicata ma non sempre salda.
Anche il confronto con altre opere riferite all’attività di Filippino in questi primissimi anni – per
esempio l’Annunciazione delle Gallerie dell’Accademia di Firenze – sembra confortare questa
ipotesi.
Nella stessa direzione ci hanno indirizzato altri studi recenti che hanno consentito di rendere meno
oscura la provenienza dell’opera, giunta a Napoli nel 1800 nell’ambito dei ‘prelievi’ effettuati
dall’emissario borbonico Domenico Venuti a Roma nella chiesa di San Luigi dei Francesi fra le opere
lì abbandonate dalle truppe napoleoniche in fuga.
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L’ipotesi della provenienza dalla collezione dell’emiliano Alfonso
Tacoli-Canacci avanzata in base alla descrizione dell’inventario del
1790-92 (Buonocore), ha avuto una precisa conferma nel corso
dell’attuale restauro, che ha offerto l’occasione per verificare
l’originaria scritta apposta su un cartellino ora frammentario, ma ben
leggibile nella foto di documentazione di prima del restauro ICR (1957)
che abbiamo recuperato.
L’esecuzione ai primi anni ’70 è stata proposta anche nella ricostruzione fondata su importanti
riscontri documentari (Gardner von Teuffel), in base ai quali appare del tutto probabile l’originaria
provenienza dalla chiesa fiorentina di San Lorenzo, la stessa per cui era stata realizzata
l’Annunciazione Martelli, una delle opere più celebrate di Filippo.
commissione
inizialmente affidata a Fra
Filippo
dalla
famiglia
della Stufa per la loro
cappella
dedicata
Sant’Andrea,
secondo
sarebbe,
l’ipotesi
della
studiosa, passata poi al
figlio. L’opera acerba ma
preziosa
identificabile
‘tavola’
Filippino,
registrata
1507 nella cappella, risultava già rimossa e sostituita nella seconda metà del ‘500. Attraverso chissà
quali altri passaggi sarebbe poi finita nella collezione Canacci.
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Il restauro ha restituito al dipinto tutto il nitore dei colori tersi e armoniosi, rendendo meglio leggibile
il ductus elegante a punta di pennello con cui sono costruiti i panneggi, i lineamenti delicati dei
protagonisti, il cielo luminoso che splende dietro la veduta della città di Firenze, eseguita con la
stessa precisione elegante con cui sono realizzati i dettagli decorativi delle vesti e i fiori dello
splendido giardino.
Nella veduta sono ben riconoscibili la torre di Palazzo Vecchio, la cupola di Santa Maria del Fiore
col campanile di Giotto, il Bargello, il campanile della Badia fiorentina. Due misteriose figurine
minuziosamente delineate si stagliano nella lontananza, dietro il giglio sorretto dall’Angelo in primo
piano.
Un’opera preziosa e commovente, che il restauro ha finalmente restituito all’esposizione,
migliorandone la stabilità e consentendo di tornarne ad apprezzare tutte le finezze.
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Il restauro
Gli interventi precedenti
Una prima notizia risale al gennaio 1822, quando viene dato a Raffaele Trapani il compito di
“rincollargli le tre tavolette che presentano il quadro e fortificarle dal di dietro con pezzi di legno”
(ASMAN, XXI B7, 13). È questo probabilmente l’intervento testimoniato dalla foto realizzata prima
del restauro nel 1957, quando Bruno Molajoli affida l’opera alle cure dell’Istituto Centrale del
Restauro.
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Nella foto si vedono tre traverse di sostegno fisse e grossolane ‘farfalle’ inserite controfibra per
giuntare le assi che possiamo far risalire al
restauro di Trapani. Si osserva anche un telaio
perimetrale
applicato
supporto
assottigliandolo in corrispondenza per livellare
le superfici di appoggio – da far risalire forse a
un restauro ancora precedente. Fori da insetti
xilofagi con stuccature stese per colmarle e per
risarcire alla meno peggio le assi disgiunte
testimoniano le condizioni critiche in cui si
trovava
l’opera,
nelle
altre
documentazione dell’archivio ICR si desume
molto compromessa da vernici e ridipinture
anche nella superficie pittorica.
L’intervento realizzato sul supporto presso l’ICR,
allora diretto da Cesare Brandi, era per l’epoca molto
innovativo e si basava sugli studi che andava
conducendo presso l’Istituto Roberto Carità.
Il sistema era improntato all’esigenza di alleggerire il
più possibile la nuova struttura di sostegno da
applicare, utilizzando ponticelli in legno incollati al
supporto e traverse in alluminio. In quella occasione
la superficie del supporto era stata assottigliata per
renderne
livello
uniforme
consentire
l’applicazione degli elementi metallici perfettamente
piani. Anche questa struttura si è rivelata col tempo poco idonea a garantire stabilità al supporto,
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poiché risultava sempre troppo rigida e vincolante, contrastando così i naturali movimenti del legno
in seguito alle variazioni di temperatura e umidità.
Dopo il restauro del supporto, nel 1957 l’opera era stata restituita dall’ICR al museo senza
provvedere a un intervento sulla superficie pittorica. La decisione molto probabilmente era
conseguente alla necessità di esporre il dipinto di Filippino fra i capolavori della pinacoteca
nell’inaugurazione del nuovo museo di Capodimonte il 5 maggio 1957. Nell’archivio ICR è infatti
conservata una lettera di Brandi a Molajoli datata 26 aprile 1957, con cui il direttore dell’Istituto
riconsegna il dipinto “molto a malincuore” e si mostra preoccupato delle condizioni poco presentabili
in cui si trova l’opera, la cui superficie “si presenta ora con le commettiture allo scoperto, dato che
per raddrizzare la tavola bisognava liberarla dagli stucchi e dai rinzaffi”. Chiede pertanto di “fare
eseguire subito a Angelini delle stuccature provvisorie campite in tinta neutra, ma in modo che risulti
chiaro per tutti che il restauro è ancora in corso”.
Qualche anno dopo, l’intervento sulla superficie pittorica – pulitura generale, rimozione delle vecchie
vernici e dei restauri alterati, stuccatura e integrazione pittorica – sarebbe stato affidato a Ruggero
Nannicini, che lo avrebbe realizzato entro il 1965 (Archivio Storico Capodimonte). L’intervento è
testimoniato anche dalla ricca documentazione fotografica dell’epoca conservata nella fototeca di
Sant’Elmo.
IL RESTAURO
Tecnica di esecuzione
Il supporto è costituito dall’unione di cinque assi in legno di pioppo unite a faccia piana, affiancate in
senso verticale. Il tavolato probabilmente in origine era sprovvisto di traverse di sostegno, poiché non
si è riscontrata traccia di chiodi antichi che le ancorassero, né all’esame diretto né nell’indagine
radiografica.
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Si può ipotizzare che lungo i margini
vi fosse una porzione di legno non
preparato per inserirlo nella cornice
originale, che svolgeva anche la
funzione
sostegno.
preparazione, applicata direttamente
sul supporto, è a base di gesso e
colla, con probabile stesura di
un’imprimitura di biacca.
L’indagine
riflettografica
all’infrarosso ha evidenziato su tutte
le figure un disegno eseguito a
pennello, che descrive i panneggi, i
volti e le mani.
Privo di ombreggiature, in molte parti è stato
modificato in corso d’opera, come risulta sia
dalla radiografia, che evidenzia in particolare
alcune trasformazioni nel San Giovanni – la
testa inizialmente più in alto e a destra,
avambraccio e mano sinistra spostati più volte che dalla riflettografia, in cui si rilevano tracce
ripetute di disegno nei panneggi e soprattutto
nelle mani, le cui dimensioni in alcuni casi sono
state
aumentate;
particolarmente
evidente
l’allungamento delle dita nella mano destra di
Sant’Andrea.
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Molti aggiustamenti hanno comportato la sovrapposizione di stesure pittoriche, come nel caso della
croce di Sant’Andrea, realizzata sopra il panneggio già dipinto.
Interessante la presenza di incisioni profonde, in cui l’intera materia pittorica risulta rimossa per
predisporre le decorazioni dorate
delle aureole e delle bordure nei
panneggi,
molto
evidenti
radiografia dove appaiono come
tracce scure. L’oro che vi era stato
applicato
completamente
perso,
quasi
decorazioni restano ben leggibili