
(AGENPARL) – mar 12 aprile 2022 Energia: Bond (FI), “L’Italia ha fame di gas, ma rinuncia a sfruttare i propri giacimenti, più sostenibili e meno costosi”
“In Italia, in Europa e nel mondo c’è fame di gas metano e di energia in genere, e si assiste ad una corsa alle nuove prospezioni e allo sfruttamento delle risorse esistenti, puntando ad accaparrarsi forniture dai Paesi produttori. In Italia cosa accade? Il Belpaese, complici strambe e poco lungimiranti politiche estere ed energetiche dei governi e delle maggioranze degli ultimi vent’anni, si è legato mani e piedi alle forniture del gas russo, che oggi costituisce un problema. Sostituire il 40% circa delle forniture di gas metano non è semplice e in queste settimane il governo Draghi sta disperatamente facendo il giro di tutti i potenziali fornitori di gas per stipulare nuovi contratti. Peccato solo che queste forniture non siano a buon mercato come lo erano quelle russe, ma decisamente più care”. Così in una nota il deputato di Forza Italia Dario Bond.
“Ma l’Italia – aggiunge – non potrebbe sfruttare maggiormente le proprie risorse? Potrebbe, ma si appresta a non farlo, con un eccezionale atteggiamento autolesionistico tramite il Pitesai, il piano voluto dal governo Conte I e diventato operativo quattro mesi fa, che prevede addirittura la chiusura di ben 101 impianti sui 123 già produttivi o che potrebbero esserlo. In uno scenario di crisi energetica, l’Italia si prende il lusso, anzi il superlusso di rinunciare a gran parte delle proprie potenzialità di sfruttamento energetico, affidandosi solo alle importazioni di gas metano ad un costo decisamente esorbitante rispetto alla produzione nazionale (70-100 euro metro cubo delle importazioni contro i 5-7 euro della produzione nazionale). Senza considerare che la produzione nazionale ha effetti positivi sul Pil, sia per la contabilità nazionale sia per l’occupazione altamente specializzata, ad iniziare dal polo petrolifero di Ravenna, un unicum nel mondo. E poi, non solo il Pitesai: ci si mettono pure le regioni a frenare le prospezioni di nuovi pozzi gas o petrolio. Sfruttando il Pitesai, Molise e Puglia – sempre loro due! – si sono messe di traverso, dichiarando tutto il loro territorio come “cultura di pregio”, bloccando ogni possibile utilizzo non agricolo”.
“A chi dice che l’attività estrattiva in mare è dannosa per l’ambiente, si sappia che attorno alla piattaforma Bonaccia al largo di Porto Recanati è sorta spontaneamente una sorta di parco ambientale del tutto naturale, dove le specie marine si sono moltiplicare tanto da essere racchiusa tra le aree protette di Natura 2000” continua Dario Bond. “Peccato che in conseguenze di ciò ci sia il divieto di ogni attività estrattiva su un areale di ben 1.500 chilometri quadri, con la chiusura dell’attività del giacimento nonostante sia ancora decisamente produttivo. Anche qui non si capisce perché con il giacimento attivo la natura è prosperata così bene che ora si va a chiudere l’attività. Delle due l’una: o l’estrazione di gas è nociva – e così non è, stando ai fatti – oppure non lo è e si dovrebbe continuare a pompare gas. Insomma, l’Italia va di male in peggio e se si continua a dare retta a coloro che remano contro a prescindere, oggi non si avrebbe nemmeno quel Tap, oggi benedetto con i suoi 10 miliardi di metri cubi trasportati dall’Azerbaigian, ma che qualcuno voleva bloccare perché ‘avrebbe impedito di deporre i teli da mare sulle spiagge di Melendugno’: quelle stesse spiagge che oggi, a metanodotto realizzato, sono più belle di prima, tanto che ora si pensa di raddoppiare la portata del metanodotto da 10 a 20 miliardi di metri cubi l’anno a parità di infrastruttura”.
“Il Paese paga il sostanziale blocco delle attività di ricerca degli ultimi 15-20 anni, periodo in cui le tecnologie di prospezione hanno fatto giganteschi passi avanti, tanto che l’Eni ha potuto individuare giacimenti giganteschi di metano al largo di Cipro, Libano e Israele e del delta del Nilo in Egitto” sottolinea Dario Bond. “Giacimenti di cui s’ipotizzava anche uno sfruttamento a vantaggio dell’Italia e dell’Europa mediante la realizzazione di un metanodotto che si raccordasse al Tap in territorio greco. Peccato che qualcuno non l’abbia voluto, privilegiando il raddoppio del Nord Stream che ora non entrerà mai in funzione. Se nuove ricerche potessero essere effettuate anche in Italia, da più ambienti si sostiene che le riserve nazionali accertate di gas potrebbero salire dagli attuali 120 miliardi di metri cubi ad almeno 3-4 volte tanto, avvicinandosi alla soglia di 500 miliardi di metri cubi. Un valore enorme, specie se rapportato alla produzione di gas nazionale degli ultimi anni, ridottasi a 2-3 miliardi di metri cubi rispetto al 12-14 miliardi medi di inizio secolo a fronte di consumi interni medi attorno ai 75 miliardi di metri cubi annui. Qualcuno dovrebbe iniziare a dare risposte serie e concrete a questo scenario, togliendo veti, dinieghi, distinguo e consentire l’affondamento delle trivelle e lo sfruttamento dell’energia presente nel sottosuolo nazionale che è più economica – a vantaggio della competitività internazionale del Paese – e ambientalmente sostenibile. Almeno prima che i Paesi confinanti, già ben attivi, esauriscano tutte le riserve mentre gli italiani stanno a guardare”.
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