(AGENPARL) – Roma, 16 marzo 2022 –Il rischio di una recessione è appena balzato al 35 per cento e lo afferma Goldman Sachs.
Carramba che sorpresa avrebbe esclamato la grande Raffaella Carrà…
Oggi, la più grande banca d’affari del mondo – la Goldman Sachs – ha declassato le sue previsioni per la crescita economica degli Stati Uniti nel 2022 che vede poca o nessuna crescita durante i primi tre mesi dell’anno.
Gli economisti di Goldman, guidati da Jan Hatzius, hanno affermato che la possibilità di una recessione negli Stati Uniti nel prossimo anno è salita fino al 35%.
«L’aumento dei prezzi delle materie prime comporterà probabilmente un freno alla spesa dei consumatori, poiché le famiglie – e in particolare le famiglie a basso reddito – sono costrette a spendere una quota maggiore del reddito in cibo e gas», hanno detto ai clienti giovedì.
Già prima dell’invasione russa dell’Ucraina, la Banca d’affari aveva previsto una recessione, ora più che mai – in una situazione caratterizzata da spinte inflazionistiche dovute ai rincari dei prezzi dell’energia – nessuno si aspetta che l’economia possa tornare a crescere.
Considerato che abbiamo i Migliori nei vari Governi, le menti più brillanti sul Pianeta Terra, and last but non least, i grandi «Mandarini» presenti in Europa (leggasi i diversamente capaci che hanno commissariato de facto la Politica) che si stanno occupando oggi della politica economica e monetaria, mi permetto di spiegare…
I prezzi salgono. Il potere di acquisto delle famiglie diminuisce. La gente smette di spendere soldi. Le imprese producono meno beni, si riducono le spese e le aziende licenziano o peggio chiudono i battenti. Ciò facendo l’economia non cresce. Ed inizia la stagflazione.
Fin qui mi pare semplice la spiegazione.
Ma cosa succede al mercato del lavoro quando le persone smettono di acquistare beni e servizi?
Facciamo un passo indietro.
Goldman Sachs non è l’unico gruppo a temere una recessione. Il capo economista di Moody’s ha recentemente scritto : «C’è la crescente minaccia che l’aumento dell’inflazione possa sopraffare la forte ripresa economica della nazione, provocando una recessione».
Se qualcuno ricorda gli anni ’70, il dejà vu è travolgente.
Il ricordo nitido di quegli anni è lo shock che le persone hanno subito per gli improvvisi picchi del prezzo del greggio. Ogni giorno, chi passava davanti ad una stazione di servizio o a un supermercato vedevi i prezzi salire.
I dati in tempo reale sulla fiducia dei consumatori di Morning Consult e Ipsos «mostrano un netto calo della fiducia dei consumatori da quando è iniziato il conflitto tra la Russia e l’Ucraina».
Tranquilli che non è l’unica fonte di stress attuale.
Anche le condizioni finanziarie si sono inasprite, il che potrebbe rendere più difficile per le aziende l’accesso alla liquidità. I problemi dell’Europa danneggeranno anche le aziende americane per via delle catene di approvvigionamento e anche a causa delle reazioni globali.
Le sanzioni a Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina si stanno ripercuotendo a livello internazionale.
L’Institute of International Finance prevede che quest’anno l’economia si ridurrà del 15%, una recessione due volte più grave di quella seguita alla crisi finanziaria globale.
Ma poiché la Russia è uno dei principali esportatori di petrolio e gas, nonché di prodotti agricoli chiave e metalli industriali, gli effetti a livello economico e dell’isolamento avranno ripercussioni a livello mondiale.
L’Europa, che dipende fortemente dalla Russia per l’energia, è la più esposta, ma l’impennata dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari si farà sentire anche dall’altra parte dell’Atlantico.
E una recessione negli Stati Uniti non è un grande affare, anche se Wells Fargo ha detto giovedì che si aspettava una recessione in Europa ma non in America.
In un’intervista alla CNBC giovedì, il segretario al Tesoro Janet Yellen ha sottolineato che il mercato del lavoro rimane molto forte e le famiglie americane sono in «buona forma finanziaria».
«L’inflazione è un problema che dobbiamo affrontare, ma non mi aspetto una recessione negli Stati Uniti», ha detto Yellen.
Ma gli analisti di Goldman Sachs non sono i soli ad osservare che i rischi stanno aumentando.
«C’è la crescente minaccia che l’aumento dell’inflazione possa sopraffare la forte ripresa economica della nazione, provocando una recessione», ha scritto Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics, in un recente articolo per CNN Business .
Ciò aumenta la pressione sulla Federal Reserve che sta calcolando la sua prossima mossa.
La banca centrale intende iniziare ad aumentare i tassi di interesse questo mese mentre cerca di tenere sotto controllo l’inflazione. Tuttavia, se ritirasse il supporto per l’economia in modo troppo aggressivo, potrebbe rendere più probabile una recessione.
La Banca centrale europea ha dichiarato giovedì che stringerà i rubinetti del denaro prima del previsto, nonostante la guerra in Ucraina. E ciò ha sorpreso gli investitori.
«È probabile che gli Stati Uniti superino l’Europa, che rischia di scivolare in una recessione, a causa della maggiore resilienza e agilità interna dell’economia americana, nonostante l’incapacità della Federal Reserve statunitense di rispondere all’inflazione in modo tempestivo», ha scritto l’economista Mohamed El-Erian in un articolo pubblicato la scorsa settimana.
Wells Fargo ha abbassato il suo obiettivo di fine anno 2022 per l’S&P 500. Ritiene ancora che l’indice potrebbe salire bruscamente dai livelli attuali. La banca ha riconosciuto, tuttavia, che le condizioni economiche legate alla guerra rischiano di incidere sugli utili aziendali e quindi influenzeranno le azioni.
Goldman Sachs ( GS ) e JPMorgan Chase ( JPM ) sono diventate le prime grandi banche occidentali a lasciare la Russia , dopo l’invasione dell’Ucraina.
Le fughe seguono la corsa delle banche occidentali per calcolare la loro esposizione nei confronti della Russia, dopo che il presidente Vladimir Putin ha ordinato l’invasione dell’Ucraina, innescando le sanzioni che stanno attaccando la maggior parte del sistema finanziario del paese, compresa la banca centrale russa e i principali istituti di credito commerciali, VTB e Sberbank.
Sono andate via anche le imprese occidentali da quasi tutti gli altri settori dell’economia russa, poiché le agenzie di rating avvertono che un default del debito russo è imminente.
Anche se ‘spazzare via ’ la Russia dal sistema finanziario globale non sarà facile e l’intera portata delle ricadute economiche non è ancora ben nota.
Le banche internazionali hanno un debito di oltre 121 miliardi di dollari da parte di enti e società russe, secondo la Bank for International Settlements, che giovedì ha sospeso l’adesione della Russia. Le banche europee hanno oltre $ 84 miliardi di crediti totali. Francia, Italia e Austria sono le più esposte. Le banche statunitensi hanno un debito di 14,7 miliardi di dollari.
Le banche sono anche preoccupate per i loro dipendenti in Russia, così come per quello che Mosca potrebbe fare dopo.
Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che la situazione economica in Russia è “assolutamente senza precedenti” e ha accusato l’Occidente di una “guerra economica”.
Putin ha nel frattempo dato il suo sostegno ai piani di sequestro dei beni lasciati dalle società occidentali che hanno sospeso o abbandonato le operazioni in Russia.
Il futuro delle principali azioni cinesi scambiate a Wall Street è stato nuovamente messo in discussione, mandando le azioni al ribasso in modo drastico.
Nel frattempo giovedì la Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti ha nominato cinque società cinesi che potrebbero essere rimosse dai mercati azionari americani per non aver soddisfatto i requisiti di revisione.
L’elenco includeva la società di fast food Yum China Holdings, la società tecnologica ACM Research, il gruppo biotecnologico BeiGene, Zai Lab e la società farmaceutica Hutchmed.
Ma anche i titoli big tech sono scesi.
Gli investitori temono che più società possano essere aggiunte all’elenco dell’autorità di regolamentazione statunitense.
Alibaba è sceso di oltre il 5% venerdì a Hong Kong. Le sue azioni quotate negli Stati Uniti hanno chiuso in ribasso di quasi l’8% la scorsa settimana. JD.com è crollato dell’11% a Hong Kong, dopo aver chiuso in ribasso del 16% a Wall Street. Baidu è sceso di quasi il 5%, dopo un calo del 6% negli Stati Uniti.
Anche altre società con doppia quotazione negli Stati Uniti e a Hong Kong hanno subito un forte calo.
Da notare che le tensioni tra Washington e Pechino sono passate in secondo piano rispetto alla guerra in Ucraina per il momento. Tuttavia, persistono profonde divisioni tra le due maggiori economie del mondo, a cui si aggiungono il complesso ambiente geopolitico in cui i responsabili politici devono necessariamentesaper navigare.
And last but not least, la guerra in Ucraina sta accelerando la caduta del dollaro.
Le sanzioni sugli asset russi e il congelamento delle riserve valutarie hanno scatenato disordini nel mondo finanziario. Infatti, e banche centrali ora potrebbero preoccuparsi che le loro riserve valutarie non siano così sicure come pensavano una volta e stanno iniziando a diversificare allontanandosi dal dollaro.
Gli analisti di Morgan Stanley ritengono che la quota dello yuan cinese nelle riserve valutarie globali potrebbe raggiungere il 5-10% entro il 2030 a spese delle altre valute di riserva.
La scorsa settimana, l’ex membro dello staff della Fed di New York Zoltan Pozsar ha suscitato un’ondata di shock in tutta Wall Street quando ha suggerito che a seguito della guerra in Ucraina, che ha portato a una crisi di “garanzia di merci” (e che si sta rapidamente trasformando in una crisi di liquidità della vecchia scuola), la PBOC cinese (la Banca Popolare Cinese) emergerà presto come banca centrale dominante e lo yuan, garantito dalle materie prime, rivestirà una posizione di potere, mentre la valuta di riserva mondiale (il dollaro), perderà gran parte del suo peso globale portando una maggiore inflazione nel mondo occidentale.
Questa crisi non è come quella che abbiamo visto da quando il presidente Nixon sganciò il dollaro USA dall’oro nel 1971, e cioè la fine dell’era del denaro basato sulle materie prime e l’inizio della deregulation. [Negli USA furono imposte nuove sanzioni sulle importazioni, l’inflazione schizzò alle stelle, la Federal Reserve portò i tassi di interesse al 20% e nel 1973, complice anche la guerra dello Yom Kippur, il prezzo del petrolio greggio (espresso in dollari) raddoppiò nel giro di pochi mesi. Nixon decise di stampare dollari come se piovessero].
Quando questa crisi (e guerra) sarà finita, il dollaro USA dovrebbe essere molto più debole e, al contrario, il renminbi (la valuta avente corso legale nella Repubblica Popolare Cinese) sarà molto più forte, sostenuto proprio da un paniere di materie prime.
Dall’era di Bretton Woods sostenuta da lingotti d’oro, a Bretton Woods II sostenuta da denaro interno (tesoro con rischi di confisca non coperti), a Bretton Woods III sostenuto da denaro esterno (lingotti d’oro e altre materie prime).
Dopo che questa guerra sarà finita, il “denaro” non sarà più lo stesso e Bitcoin (se esisterà ancora) probabilmente trarrà vantaggio da tutto questo.
Naturalmente, non tutti erano d’accordo con questa visione radicale come il responsabile globale di FX EM presso Morgan Stanley, James Lord che nella nota Sunday Start ha chiesto se «Le sanzioni hanno minato il dominio del dollaro?». La risposa è NO… ma solo per ora, e avverte che nel lungo periodo è probabile che venga convalidata la visione cupa di Pozsar secondo il quale l’atto di sanzionare la Russia ed espellerla dal sistema finanziario occidentale «probabilmente mette(rà) in discussione l’idea di un’attività priva di rischio che sostiene le riserve valutarie delle banche centrali in generale, e non solo specificamente per il dollaro e i titoli garantiti dal governo statunitense».
Supponendo che ci sia il rischio che tutte le autorità estere possano potenzialmente congelare i beni sovrani di un altro Paese – cosa che sta succedendo ora – quali sono le implicazioni?
Lord ne vede almeno tre: i) Identificare il bene più sicuro; ii) le alleanze politiche saranno fondamentali (Per mettere a serio rischio il predominio del dollaro nel sistema finanziario internazionale, gli aspiranti sfidanti del sistema dovrebbero costruire alleanze strategiche con altre grandi economie), e iii) sostenere le attività in valuta estera (Il “denaro esterno” di Pozsar).
Lo stratega di Morgan Stanley osserva che un modo per farlo «è acquistare oro fisico e conservarlo al sicuro all’interno della giurisdizione nazionale» (come ha fatto la Russia recentemente).
Lo stesso si potrebbe dire di altre attività foreign exchange market (FX), poiché i gestori delle riserve avranno sicuramente accesso alle banconote stampate in USD, EUR o CNY se sono conservate nei caveaux, anche se potrebbero esserci sfide concrete nell’effettuare transazioni di grandi dimensioni in quello scenario.
L’altro beneficiario chiave della scioccante espulsione finanziaria della Russia – come ha giustamente notato Zoltan – è lo yuan, come spiega Lord: ci sarà una diversificazione delle riserve e continuiamo a credere che la quota dello yuan cinese nelle riserve valutarie globali potrebbe raggiungere il 5-10% entro il 2030 a spese delle altre valute di riserva. Se alcuni stati stanno esplorando sistemi di pagamento alternativi a SWIFT o stanno cercando di perseguire un maggiore commercio bilaterale in valute nazionali, le sanzioni economiche imposte alla Russia potrebbero agire da acceleratore.
Tuttavia, mentre il conto alla rovescia per la fine del dollaro potrebbe essere effettivamente iniziato, Morgan Stanley non vede nulla di perseguibile per molto tempo poiché «le recenti azioni non minano il dollaro come risorsa di riserva globale più sicura ed è probabile che rimanga la valuta dominante globale per il prossimo futuro».
Ricordiamoci che il presidente russo Vladimir Putin ha avvertito diversi anni fa che l’ossessione degli Stati Uniti per le sanzioni potrebbe alla fine minare lo status del dollaro. Sebbene mantenga un peso considerevole sul mercato, le recenti azioni di Washington potrebbero aiutare la Cina a promuovere lo yuan a livello globale, se solo Pechino lo desiderasse, come hanno suggerito diversi analisti e studiosi di economia.
La diminuzione del potere del dollaro è il risultato del cosiddetto processo di de-dollarizzazione, il rifiuto volontario da parte dei paesi di utilizzare il biglietto verde nelle transazioni bilaterali. Sebbene la valuta di riserva offra una certa stabilità e sicurezza, è stata sempre più associata al rischio di sanzioni, che Washington ha utilizzato generosamente su paesi di tutto il mondo: Russia, Iran, Venezuela, ecc.
Da un lato, gli Stati Uniti detenevano circa la metà della ricchezza globale entro la fine della seconda guerra mondiale È la ricchezza è ciò che ha determinato la scelta del dollaro come valuta di riserva.
Ora gli Stati Uniti rappresentano solo il 20% della ricchezza globale, ma allo stesso tempo i loro alleati, che conducono il loro commercio in dollari, rappresentano tra il 60% e il 70% della ricchezza mondiale.
Anche se Pechino non mostra alcuna fretta di allontanarsi completamente dal biglietto verde, affinché lo yuan diventi una nuova potenza finanziaria globale, la Cina deve prima intraprendere alcuni passi per facilitare ciò, suggeriscono gli esperti di questioni cinesi.
Ci sono state molte speculazioni sul fatto che la Cina potrebbe utilizzare un renminbi digitale per espandere la sua valuta all’estero. Tuttavia, oltre a creare una valuta facilmente accessibile, Pechino dovrebbe anche stabilire mercati finanziari riconosciuti a livello globale, indipendenti e forti.
Questi mercati devono anche operare secondo regole trasparenti ed essere pieni di società limpide, aggiungono gli esperti.
Esperti ed economisti cinesi divergono nelle loro stime sul futuro del dollaro e sulle prospettive dello yuan, ma la maggior parte di loro concorda sul fatto che la posizione del biglietto verde sarà minata.
Brian Berletic è più ottimista sulle prospettive dello yuan e crede che prima o poi sostituirà il dollaro, a meno che Washington non riesca a contrastare l’ascesa della Cina come potenza economica, cosa che preoccupa gli americani da anni.
L’analista geopolitico spiega che tutto dipende dal fatto che gli altri paesi si rendano conto che ciò che gli Stati Uniti stanno attualmente facendo alla Russia potrebbe essere applicato altrettanto facilmente a loro.
«Gli Stati Uniti stanno già minacciando sanzioni contro le nazioni che si rifiutano di denunciare e isolare sufficientemente la Russia. È un processo che da molti anni sembra isolare gli Stati Uniti e i suoi alleati dal mondo piuttosto che isolare la Russia o la Cina», conclude Berletic .
Avanti il prossimo….