(AGENPARL) - Roma, 16 Aprile 2021(AGENPARL) – Roma, 16 apr 2021 – La difesa dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ha depositato una memoria di 110 pagine in vista dell’udienza di domani, a Palermo, sul caso Open Arms.
Di seguito solo sintesi di alcuni dei passaggi più rilevanti.
OPEN ARMS
1. L’ITALIA NON ERA LO STATO COMPETENTE AD INDICARE IL POS.
La normativa internazionale.
L’Italia non è mai stata competente secondo il diritto internazionale per l’indicazione del POS, in quanto – anche a voler escludere la possibilità di una competenza libica – lo Stato responsabile per il rilascio del POS era la Spagna, quale Stato di bandiera della nave Open Arms, e, limitatamente al terzo episodio, Malta.
L’individuazione dello Stato su cui gravano gli obblighi derivanti dalla Convenzione SAR, infatti, non dipende dalla scelta della nave privata che effettui il salvataggio. Del resto, diversamente opinando, oltre ad attribuirsi tale identificazione alla discrezionalità illimitata di un soggetto privato, si rimetterebbe a quest’ultimo anche il potere di porre limiti alla sovranità dei singoli Stati contraenti, vincolandoli oltre quanto previsto dalle norme di diritto internazionale pattizio e di diritto internazionale generale.
Al contrario, la Convenzione SAR dispone che uno Stato è gravato della responsabilità di fornire un “luogo sicuro” o di garantire che questo venga fornito quando:
a) l’evento sia avvenuto nella propria area SAR;
b) intervenga direttamente coordinando i soccorsi in una diversa area SAR, finché la
responsabilità non sia assunta dal centro di coordinamento dello Stato competente per
l’area SAR in cui sia avvenuto il salvataggio;
c) assuma comunque la responsabilità del coordinamento delle operazioni.
Nel caso di specie, la realizzazione di tutti gli eventi in questione avvenne nelle zone SAR di responsabilità della Libia e di Malta, escludendo un collegamento “territoriale” con l’Italia.
Inoltre, lo Stato italiano non assunse il coordinamento, non avendo mai acquisito, neanche volontariamente, la responsabilità di gestione degli interventi, che furono effettuati dalla nave Open Arms in totale autonomia (interventi dell’1 e 2 agosto 2019) o
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sotto l’esclusivo coordinamento della Repubblica di Malta (evento del 10 agosto 2019), come comprovato anche da Note del Ministero degli esteri del 2 e del 9 agosto 2019.
I principi sinora esposti non sono un’invenzione della difesa.
Sono stati infatti già enunciati da ben due precedenti decisioni, che si sono pronunciate sui casi delle navi “Alan Kurdi” (Tribunale dei ministri di Roma) e “Sea Watch 3” (Tribunale dei ministri di Catania), che hanno archiviato i procedimenti iscritti a carico di esponenti del Governo seguendo un identico percorso motivazionale per fatti che erano analoghi.
In ogni caso, anche i messaggi di Open Arms dopo i trasbordi escludono la responsabilità dell’Italia:
1) dopo il primo trasbordo, Open Arms diede comunicazione dell’intercetto alle autorità libiche (competenti per l’area SAR di intervento) e a RCC Spagna (Stato di bandiera), notiziando solo per conoscenza i centri di coordinamento del soccorso marittimo maltese e italiano;
2) dopo il secondo trasbordo, Open Arms informò RCC Malta nonché RCC Spagna. Ne seguì una controversia tra Malta e Spagna, a cui l’Italia rimase estranea.
3) per il terzo trasbordo, come rilevato, Open Arms si rivolse esclusivamente a Malta, senza mai coinvolgere l’Italia.
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Il provvedimento interministeriale del 1 agosto 2019.
Il provvedimento assunto dai Ministri Salvini, Trenta e Toninelli il 1 agosto 2019 era pienamente legittimo, essendo stato adottato ai sensi del c.d. decreto sicurezza bis e conformemente alle norme internazionali, che consentono a uno Stato di interdire l’accesso al proprio mare territoriali qualora la nave sia impegnata in attività di scarico di persone in violazione delle leggi e dei regolamenti di immigrazione vigenti nello Stato costiero.
Anche la motivazione del provvedimento era oltremodo giustificata, e trovava le sue radici nelle circostanze dell’intervento e nel complessivo modus operandi della Open Arms, in
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tutto simile a quello tenuto in precedenti analoghe occasioni, da cui si poteva desumere l’intenzione di porre in essere un’attività volta al preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia:
1) tutti gli interventi della Open Arms si determinarono in condizioni che escludevano la competenza dell’Italia rispetto alla loro gestione e, quindi, anche l’obbligo di fornire o di garantire che fosse fornito un “luogo sicuro”;
2) la Open Arms era una imbarcazione che non poteva essere adibita in maniera “professionale” alle attività di ricerca e soccorso, in quanto l’assetto era certificato come “nave da carico”. Di ciò anche il Comandante era ben consapevole;
3) il 29 luglio 2019 l’imbarcazione si diresse nell’area libica di ricerca e soccorso nonostante avesse dichiarato all’Autorità portuale di Siracusa come successiva destinazione il porto di Lampedusa. Tale comportamento è documentato anche dal diario di navigazione (di cui la difesa ha chiesto l’ammissione e la traduzione, insieme a numerose e-mail), in cui la parola «Lampedusa», indicata come destinazione alla pagina del 29 luglio 2019, nella pagina del 30 luglio è stata cancellata e sostituita dall’indicazione «Nord SAR Libia Sud SAR Malta»;
4)la nave tenne «una rotta evidentemente finalizzata al pattugliamento per l’individuazione di imbarcazioni contenenti migranti»;
5) anche questo comportamento emerge dal diario di navigazione, in cui risultano continui avvicinamenti a «imbarcazioni sospette», che poi si rivelano semplici pescherecci, a oggetti individuati sul radar (pezzi di plastica, giubbotti salvavita, un animale, una tavola, un’eco sospetta);
6) una volta notiziata della presenza di una barca nelle vicinanze con migranti a bordo, il 1 agosto Open Arms si diresse verso di essa anticipando (in contrasto con le Linee guida sull’applicazione della Convenzione SAR) l’intervento delle autorità marittime preposte,
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che stavano coordinando l’evento e si stavano dirigendo verso l’imbarcazione con una propria motovedetta;
7) a questo punto, Open Arms «indirizzava in maniera arbitraria la navigazione verso nord, facendo, sin dal principio, desumere l’intenzione di porre in essere un’attività volta al preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia» (come nell’annotazione di Polizia Giudiziaria del 16 agosto 2019).
Quindi, il provvedimento interministeriale era basato su elementi circostanziati e precisi.
Oltremodo contestualizzato è anche il riferimento alla similitudine tra il comportamento di Open Arms e «quello tenuto in precedenti analoghe occasioni».
Al riguardo si rileva che al momento della adozione dell’atto interministeriale pendeva a carico del medesimo comandante della Open Arms un procedimento per i reati ex artt. 61, n. 2, 81, 110 c.p. e 12, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 298/1988 (c.d. favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) e di cui agli artt. 110 e 610 c.p. (violenza privata) in relazione ad una vicenda analoga a quella oggetto del presente procedimento, in cui erano state individuate come persone offese il Ministero dell’interno e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
A ciò va aggiunto che il divieto di ingresso era stato fondato espressamente anche sui «rischi di ingresso sul territorio nazionale di soggetti coinvolti in attività terroristiche o comunque pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica, in quanto le persone a bordo della Open Arms [erano] verosimilmente cittadini stranieri privi di documenti di identità e la cui nazionalità è presunta sulla base delle rispettive dichiarazioni».
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Il decreto del TAR per il Lazio del 14 agosto 2019.
Come emerge espressamente dal testo, il decreto spiegò una efficacia sospensiva del divieto di ingresso specificamente circoscritta, consentendo l’ingresso della nave Open Arms nelle acque territoriali italiane affinché fosse «prestata l’immediata assistenza alle
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persone soccorse maggiormente bisognevoli, come del resto sembra[va fosse] già avvenuto per i casi più critici».
Il TAR non ha affatto ordinato lo sbarco dei migranti.
Ed infatti, il 15 agosto 2019 IMRCC autorizzò la nave Open Arms a ridossarsi nelle vicinanze dell’isola di Lampedusa «in attesa del miglioramento delle condizioni meteorologiche», vietando l’ingresso in porto.
Il decreto nemmeno modificava la qualificazione degli eventi in questione (dell’1, 2 e 10 agosto 2019), che erano sempre stati definiti da IMRCC come «fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare», mai come eventi SAR, anche considerato il difetto di competenza per l’Italia secondo la Convenzione di Amburgo e i relativi emendamenti.
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L’evento SAR fantasma.
L’Accusa introduce nella ricostruzione della vicenda un elemento singolare secondo cui il 16 agosto 2019 «la situazione venutasi a delineare, di tale gravità ed urgenza da poter di per sé configurare un ulteriore sopravvenuto “evento SAR”, non consentiva allo Stato italiano di sottrarsi ulteriormente alle proprie responsabilità».
L’ipotesi di un quarto evento fonda su fallaci presupposti giuridici e fattuali.
1) Anzitutto, l’assunto trascura di considerare alcune significative circostanze che escludono la sussistenza di un’autonoma e sopravvenuta situazione di distress (presupposto della dichiarazione di un “evento SAR”), quali:
– il miglioramento delle condizioni meteo-marine, che risultano sufficientemente buone
già alle ore 10:30 del 15 agosto 2019, poche ore dopo l’ingresso della nave nelle acque
territoriali;
– i continui contatti intercorsi tra la nave e le autorità competenti per garantire ogni
esigenza dell’imbarcazione (inclusi i frequenti cambi di equipaggio e l’accesso di 5
personalità a bordo), nonché le necessarie evacuazioni mediche, comprovati dai
numerosi messaggi in atti e dal diario di navigazione;
– le condizioni dell’imbarcazione, che non risulta abbia mai segnalato problemi di
galleggiamento o di stabilità.
2) i fatti successivi all’ingresso della nave Open Arms nelle acque territoriali non furono mai qualificati né come “evento SAR” – analogamente a quanto già avvenuto per gli eventi dei giorni 1, 2 e 10 agosto, che furono registrati come episodi di immigrazione clandestina via mare – né come ulteriore ed autonomo “evento”, di qualunque specie.
Ciascun “evento” è infatti contrassegnato da un numero di protocollo sequenziale, che è stato assegnato ai primi 3, mentre mai per gli eventi successivi al 15 agosto 2019 fu indicato un numero autonomo.
3) quando la Open Arms effettuò i trasbordi in data 1, 2 e 10 agosto 2019, qualificandoli unilateralmente come eventi SAR, stilò tre documenti denominati “SAR Situation Report”. Non risulta agli atti alcun “SAR Situation Report” successivo al 10 agosto 2019, in ipotesi riferito ad un “quarto evento”.
È quindi evidente che nemmeno Open Arms ha mai ritenuto avvenuto nelle acque territoriali italiane un autonomo evento.
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2. L’obbligo di fornire un “luogo sicuro” in relazione all’accordo di redistribuzione in sede europea quale fase del procedimento di accoglienza dei migranti.
Nel periodo in contestazione non sarebbe comunque potuto sorgere l’obbligo di sbarco immediato per effetto della sola richiesta di POS da parte della nave Open Arms, visto che il Presidente del Consiglio allora in carica aveva avviato la procedura di redistribuzione dei migranti in sede europea (seguite dalla concessione del POS da parte della Spagna il 18 agosto 2019), come risulta dalla lettera aperta rivolta allo scrivente dall’allora Presidente del Consiglio, prof. avv. Giuseppe Conte, in data 15 agosto 2019.
Tale procedura era (ed è) pienamente conforme alle norme internazionali di riferimento: a) è conforme alle norme relative ai tempi di individuazione del POS e dello sbarco dei migranti soccorsi nell’ambito di eventi SAR, che non prevedono a carico degli Stati
contraenti l’obbligo immediato di provvedere allo sbarco dei migranti soccorsi in mare. Inoltre, secondo le citate Linee guida il “luogo sicuro” può essere individuato sia sulla terraferma che in mare e già mesi prima della “vicenda Open Arms” (12 febbraio 2019) era stata espressamente prevista in un apposito Tavolo tecnico dalle competenti autorità italiane la possibilità di considerare un naviglio, ricorrendone i presupposti, quale “luogo sicuro” temporaneo.
Ebbene, nei giorni in cui ha stazionato a ridosso di Lampedusa, la nave Open Arms costituiva un POS, in attesa dell’individuazione delle successive destinazioni, ovvero un “luogo sicuro”, seppur provvisorio, in cui la vita dei migranti soccorsi nei citati eventi non era più in pericolo e tale da consentire di attendere la ulteriore destinazione in pendenza della definizione di un accordo di redistribuzione tra il Governo italiano e gli altri Stati membri dell’Unione europea.
Peraltro, dall’esame del diario di navigazione della nave Open Arms emerge espressamente come già il 15 agosto 2019 sia stato lo stesso comandante a scrivere che «alle 0323 HM [n.d.r. la Capitaneria di Porto di] Lampedusa ci dà pos ormeggio in pos». Infatti, dal giorno 17 agosto 2019 non venne più riportata la locuzione «POS ?» accanto alla indicazione del luogo di ormeggio.
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b) è conforme ai principi di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri dell’Unione europea, di cui il preventivo accordo di redistribuzione dei migranti costituisce una forma di attuazione su base volontaria (bilaterale o plurilaterale). Nell’ottica dell’applicazione del principio di equa ripartizione delle responsabilità, il meccanismo di redistribuzione su base volontaria si inseriva nel quadro delle iniziative adottate dal Governo c.d. Conte I ai fini del suddetto superamento del “sistema Dublino”, in coerenza con quanto previsto nel “Contratto di Governo” e nelle conclusioni in materia di migrazione del Consiglio europeo del 28 giugno 2018.
Dunque, l’Accusa non ha considerato che l’accordo europeo, inserendosi nel procedimento amministrativo di accoglienza quale fase endoprocedimentale, incideva sulla tempistica relativa alla indicazione del POS.
In questo quadro occorre rilevare che in data 18 agosto 2019 la Spagna aveva fornito un POS alla nave Open Arms, dopo che era stato raggiunto l’accordo per la redistribuzione tra Paesi europei dei migranti a bordo.
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3. L’inconfigurabilità del reato di sequestro di persona.
1) L’inconsistenza dell’ipotesi di reato è stata già evidenziata in punto di insussistenza in capo all’Italia dell’obbligo di fornire un “luogo sicuro” secondo le citate norme internazionali e, quindi, di inesistenza di una posizione di garanzia in capo al Ministro dell’interno.
2) Inoltre, i migranti si trovavano su una imbarcazione privata che avrebbe potuto in qualunque momento disancorarsi, mettendosi in navigazione verso qualsiasi altra destinazione.
Al riguardo, giova rilevare che alla Open Arms era stato interdetto l’accesso nel solo porto di Lampedusa, ma non anche la navigazione verso destinazioni diverse.
Dunque, la libertà di movimento dei migranti a bordo della Open Arms non è stata mai limitata per effetto di condotte riferibili al Ministero dell’interno o ad altre autorità italiane, avendo la nave possibilità di navigare verso altre destinazioni.
Analoghe conclusioni sono state raggiunte dal Tribunale di Catania, Collegio per i Reati Ministeriali, nel procedimento “Sea Watch 3”.
3) l’imputazione fonda sull’erroneo assunto che sussisterebbe in capo ai migranti irregolari un diritto a fare libero ingresso, senza limitazioni, nel territorio dello Stato.
Di contro, nei confronti dei migranti, non potrebbe esservi stata alcuna privazione illegittima della libertà personale, considerato che la libertà di circolazione sul territorio è già limitata e che l’espletamento delle necessarie procedure propedeutiche allo sbarco (compresa quella di redistribuzione in sede europea) non può comportare alcuna lesione di diritti fondamentali (cfr. CEDU, art. 5, comma 1, lett. f).
Infine, è evidente che l’esponente ha agito consapevole del fatto che l’Italia non fosse lo Stato competente per l’indicazione del place of safety, attesa la mancanza di qualunque contatto con gli eventi avvenuti i giorni 1, 2 e 10 agosto 2019, legati al fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare, come emerge dalla direttiva per il coordinamento dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime del 18 marzo 2019 e dalla nota del 19 agosto 2019 a firma del Vice Capo di Gabinetto del Ministero dell’Interno.
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4. L’infondatezza dell’ipotesi di rifiuto di atti d’ufficio ex art. 328, comma 1, c.p.
Tale ipotesi di reato origina da plurimi errori.
1) Errata attribuzione all’Italia della competenza ad indicare alla Open Arms il place of safety,
che spettava invece ad altri Stati, secondo quanto già rilevato.
2) Impropria attribuzione al Ministero dell’interno della competenza ad adottare i provvedimenti resi urgenti da ragioni di igiene e sanità, che è invece attribuita dalla legge al Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo (IMRCC), articolazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. In questi casi, non è necessario alcun previo assenso del Ministero dell’interno allo sbarco, né questo può essere impedito da un parere contrario dell’Autorità nazionale di pubblica sicurezza.
Ed infatti, dagli atti relativi alle evacuazioni mediche risulta che il Ministero dell’interno era destinatario di mere informative, successive al completamento delle operazioni.
3) Il mancato sbarco per ragioni sanitarie dei migranti presenti sulla Open Arms non dipese certamente da un rifiuto delle autorità marittime italiane. Ed invero, nonostante le richieste trasmesse da IMRCC sin dal 16 agosto 2019 (reiterate, da ultimo, con e-mail del 19 agosto 2019, ore 15:35), Open Arms non fornì mai i report medici individuali sulle condizioni dei singoli migranti che le erano stati richiesti, impedendo alle Autorità preposte (IMRCC e CIRM) di valutare la situazione a bordo e considerare l’adozione degli opportuni provvedimenti.
4) il 21 agosto 2019 l’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo inviò alla Questura di Agrigento – Hotspot di Lampedusa, la certificazione medica relativa al «triage in banchina sui migranti sbarcati dalla Open Arms». In tale documento si rappresenta: «il Personale di questo presidio ha effettuato triage in banchina sui migranti sbarcati dalla Open Arms complessivamente per 149 persone, di cui 7 prima del 15 agosto e 142 dopo il 15 agosto. Su 149 complessivamente visitate 10 sono stati avviati al PTE [Punto Territoriale di Emergenza, n.d.r.] per controlli e successivamente inviate al centro Accoglienza».
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5) Erronea riconduzione dei tentativi dei migranti di raggiungere a nuoto la costa dell’isola di Lampedusa alle «ragioni di ordine e sicurezza pubblica», laddove costituivano un’ulteriore estrinsecazione delle già considerate «ragioni di igiene e sanità». Infatti, l’esigenza di ordine pubblico e di sicurezza pubblica che determinò l’organizzazione della riunione tecnica del 15 agosto 2019 fu quella di evitare ingressi illegali nel territorio dello Stato.
A tale rischio fu posto immediato ed adeguato rimedio mediante attività di pattugliamento marittimo in zona, affidate alle due forze di polizia competenti per la vigilanza marittima (Guardia costiera e Guardia di finanza), che si rivelarono efficaci.
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5. La corretta procedura di sbarco dei minori stranieri a bordo della “Open Arms”.
Anzitutto, la ricostruzione accusatoria è del tutto erronea quanto alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del “respingimento”, così come definito dalla normativa europea e interna sul controllo delle frontiere.
Il respingimento configura, secondo il diritto europeo, una procedura articolata in due momenti distinti: prima, il blocco dello straniero alla frontiera per l’accertamento del diritto all’ingresso nel territorio; poi, il successivo trasferimento in altro paese terzo (id est, non appartenente all’Unione europea).
L’Italia non ha mai ordinato alla nave Open Arms di dirigersi verso il Paese non europeo di provenienza dei migranti (la Libia) ovvero verso altri Paesi non appartenenti all’Unione europea, né sono stati impartiti ordini o adottate misure coattive a tale scopo.
Quanto, inoltre, alla supposta posizione di garanzia che lo scrivente avrebbe assunto, nella qualità di Ministro, nei confronti dei minori, l’editto accusatorio è infondato.
Alcuna disposizione prevede una previa autorizzazione (e nemmeno un assenso) da parte del Ministro dell’interno alla conduzione dei minori stranieri non accompagnati presso le strutture preposte, come anche riconosciuto dal Tribunale di Catania nell’ambito del procedimento “Sea Watch 3”: «in primo luogo […] si pone un problema di configurabilità di un obbligo giuridico a provvedere sui minori in capo al Ministro dell’Interno, trattandosi invero di materia devoluta ad autorità preposte (quale l’Ufficio Immigrazione della Questura)»
In merito allo scambio di note tra l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, prof. avv. Giuseppe Conte, e l’esponente, va rilevato che tale interlocuzione deve essere letta alla luce del contesto politico dell’epoca, caratterizzato dalle forti tensioni derivanti dalla ormai definitiva crisi di Governo, come emerge chiaramente anche dalla “lettera aperta” indirizzata al sottoscritto dal Presidente Conte tramite i suoi canali sui social network in data 15 agosto 2019 («Siamo ormai agli sgoccioli di questa nostra esperienza di governo»).
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Queste note, quindi, costituiscono una interlocuzione fortemente dialettica tra due membri del Governo e, quindi, tra due soggetti politici, che si confrontano in modo anche aspro sul piano dell’indirizzo politico in materia di flussi migratori.
L’iniziativa dell’allora Presidente del Consiglio di scrivere all’esponente già in data 14 agosto 2019 era manifestamente pretestuosa, come fu rilevato nella risposta del 15 agosto , non essendovi alcun motivo di interessare lo scrivente della questione, che era di esclusiva competenza della Spagna.
Tanto l’esponente rappresentò nella risposta, richiamando altresì l’attenzione su alcune questioni giuridiche, evidentemente essenziali nel caso di specie, del tutto ignorate dalla nota dell’allora Presidente del Consiglio.
Inoltre, non va trascurato che proprio la Spagna, a cui il comandante dell’imbarcazione aveva richiesto l’asilo per i minori ritenuti non accompagnati presenti a bordo, aveva opposto un «secco “no”» a tale istanza.
È evidente che questa nota, in un contesto normativo in cui alcuna posizione di garanzia è attribuita al Ministro dell’interno, costituiva l’espressione di un punto di vista politico, fondato anche su ragioni di diritto.
Espressa tale posizione, l’esponente chiarì che il Presidente del Consiglio, ove di diverso avviso, avrebbe potuto «valutare di assumere le iniziative che [gli] competono».
Dunque, cogliendo lo spirito provocatorio delle note del Presidente del Consiglio, l’esponente, tanto nella risposta del 15 agosto quanto in quella del 17 agosto, rimetteva al Capo del Governo ogni iniziativa al riguardo.
L’esponente non aveva mai posto alcun ostacolo allo sbarco, che avvenne in tempi rapidi e previa nomina dei tutori.
Inoltre, sulla scorta di quanto affermato nel decreto di archiviazione del Tribunale di Catania nel caso della nave Sea Watch 3, si osserva che «ardua sarebbe la configurabilità pratica della violazione prevista dalla norma in capo ad un soggetto dotato di potestà esercitabile in via discrezionale ed in termini di opportunità politica».
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Infine, la legge n. 47/2017 (c.d. Legge Zampa) non impone alcun obbligo di disporre immediatamente lo sbarco dei minorenni stranieri non accompagnati entro un lasso di tempo determinato, e nel caso della nave Open Arms le procedure di accoglienza furono attuate in modo tempestivo.
Sul punto, è utile nuovamente richiamare le conclusioni del decreto di archiviazione pronunciato dal Tribunale di Catania in punto di insussistenza del reato ex art. 328, comma 1, c.p. Secondo la decisione:
«di difficile individuazione appare il “precetto” cui collegare l’atto “dovuto” del Ministro, atteso che la Legge Zampa statuisce un principio generale di non respingimento dei minori non accompagnati, che è cosa diversa dall’obbligo di autorizzare lo sbarco in un tempo determinato».
In forza di tali principi, il Tribunale di Catania ha escluso la sussistenza di un ritardo nel disporre l’accoglienza dei minori nel caso della “Sea Watch 3”, con argomenti che, attesa la congruenza tra i due episodi, risultano validi anche per il caso “Open Arms”:
«Ebbene, nel caso di specie, […] solo con la nota del 28.01.2019 della Procura la richiesta di procedere all’identificazione ed allo sbarco dei minori non accompagnati sembra avere assunto carattere cogente ma, fermo restando che non può identificarsi il Ministro dell’Interno nel destinatario di tale precetto, l’istruttoria espletata ha consentito di accertare come tra il 28 ed il 30 gennaio, ovvero nell’arco di sole 48 ore, vi sia stata una fattiva collaborazione tra le autorità impegnate sul campo (soprattutto Prefettura e Ufficio Immigrazione della Questura) e la Procura per i minorenni e solo la sopravvenuta indicazione del POS ha impedito che l’identificazione e lo sbarco dei minori non accompagnati avesse luogo il pomeriggio del 30.01.2019.
Pertanto, […] ritiene questo Tribunale in concreto insussistente il presupposto integrante il reato della concreta messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma, da riconnettersi, ovviamente, alla valutazione della dizione “senza ritardo”, punto nevralgico dell’interpretazione dell’art. 328, comma 1, c.p.
[…]
Specie nelle ipotesi in cui la normativa extrapenale non prevede un termine per il compimento dell’atto, occorre in altri termini valutare sino a quando l’omesso compimento dell’atto dovuto si mantenga nell’area del penalmente irrilevante (potendo
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comunque essere utilmente compiuto e produrre gli effetti suoi tipici) e quando invece superi la soglia della rilevanza penale, ovvero allorché la situazione di pericolo assuma il carattere della concretezza e l’atto doveroso non possa più essere efficacemente compiuto».
Come detto, nel caso Open Arms, la nave giunse in prossimità di Lampedusa il 15 agosto; il 16 agosto furono nominati i tutori da parte del Tribunale per i Minorenni e il 17 agosto vi fu lo sbarco.
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6. L’insindacabilità dell’azione di Governo in relazione al “caso Open Arms”.
A ben vedere, l’oggetto della contestazione investe il complesso della politica adottata dal Governo c.d. Conte I e dal Governo c.d. Conte II in materia di gestione dei flussi migratori. In questo quadro, la linea assunta dallo scrivente, quale Ministro dell’interno, non si è estrinsecata essenzialmente in una gestione “casistica” del singolo episodio, quanto nella definizione di un nuovo approccio agli sbarchi conforme ad un preciso indirizzo di governo. Tale approccio afferisce a temi di primario interesse nazionale, che riguardano altresì i rapporti con l’Unione europea e con gli altri Stati membri, e costituisce la concretizzazione di un atto politico, per ciò solo insindacabile in sede giurisdizionale.
È l’attuazione di questo distinto indirizzo politico – condiviso anche in sede europea – che ha comportato un nuovo approccio alla gestione degli sbarchi nel nostro Paese, secondo una duplice prospettiva:
a) il Governo ha scelto, ferma restando l’imprescindibile salvaguardia della vita in mare, di non assumere volontariamente la responsabilità per eventi in relazione ai quali la normativa internazionale non ponesse specifici obblighi;
b) il Governo ha introdotto la procedura della richiesta di redistribuzione prima dell’autorizzazione allo sbarco.
Queste decisioni – adottate in conformità alla normativa internazionale in materia di ricerca e salvataggio in mare, secondo quanto già specificato nei precedenti paragrafi – costituiscono scelte politiche di governo e sono, pertanto, insindacabili.
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7. L’adempimento del dovere di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica.
La condotta ascritta all’esponente risulterebbe in ogni caso giustificata ai sensi dell’art. 51 c.p., in quanto realizzata nell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica. Come noto, infatti, al Ministero dell’interno «sono attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di […] tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica» (art. 14, comma 1, d.lgs. n. 300/1999).
A tal riguardo, occorre considerare come l’attività di accoglimento dei migranti, una volta che questi sono approdati sulle coste italiane, si inserisca in un procedimento amministrativo che implica stringenti obblighi a carico del Paese di primo approdo, secondo la normativa eurounitaria, nonché profili di rischio per l’ordine e la sicurezza pubblica che fisiologicamente si accompagnano a fenomeni migratori irregolari.
In questo contesto, non può negarsi che tanto il diniego opposto alla assunzione di responsabilità per fenomeni di immigrazione irregolare da cui non derivavano obblighi in capo alle Autorità italiane (che, si ribadisce, non hanno mai assunto alcun ruolo di coordinamento), quanto la redistribuzione verso altri Stati membri dell’Unione europea, consentono di ridurre l’impatto del fenomeno migratorio sul Paese, soprattutto in termini di ordine e sicurezza pubblica.
Inoltre, l’immigrazione incontrollata è una fonte di notevoli rischi per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, come evidenziato:
? dal Direttore generale del Dipartimento informazioni per la sicurezza nell’ambito della
riunione del Comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica del 13 giugno
2018;
? dalla audizione (21 novembre 2018) avanti al Comitato parlamentare per la sicurezza
della Repubblica, nel corso della quale sono state illustrate le attività finalizzate a porre in essere misure di contrasto e prevenzione dei fenomeni di terrorismo proprio attraverso il controllo dei flussi di migranti; controllo che, evidentemente, non può essere attivato solo in presenza di mirate segnalazioni ma, coerentemente con le modalità di prevenzione poste in essere dalla Polizia delle Frontiere, si sviluppa in un’ottica proattiva volta a intercettare ogni criticità potenziale;
? dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, nella sua informativa al Senato del 12 settembre 2018 sull’analogo caso della nave “Diciotti”;
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? dalla Corte Costituzionale, che ha affermato come «l’ordinata gestione dei flussi migratori si presenta, in specie, come un bene giuridico “strumentale”, attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata», ovvero proprio l’ordine e la sicurezza pubblica.
Dunque, atteso che agli eventi di immigrazione irregolare è connesso un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, il Ministro dell’interno ha l’obbligo di ridurre tale rischio, anche cooperando con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e gli altri Ministeri competenti al fine di ottenere una redistribuzione in sede europea, secondo il principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri (art. 80 T.F.U.E.)