
(AGENPARL) – mar 25 ottobre 2022 00 25 ottobre 2022 OTTOBRE 2022
LIVELLI DI ISTRUZIONE E RITORNI OCCUPAZIONALI | ANNO 2021
Nel Mezzogiorno occupazione più bassa anche tra i laureati, soprattutto se hanno meno di 35 anni.
In Italia, nel 2021, il tasso di occupazione dei laureati 25-64enni è all’82,1%, 4,3 punti più basso di quello medio europeo; il gap sale al 6,8% tra i 30-34enni (81,1%) mentre è di 17,4 punti tra gli under 35 che hanno conseguito la laurea da uno a tre anni prima (67,5%).
Ampia la distanza Ue27-Italia per la quota di 30-34enni laureati: 41,6% contro 26,8%. Al Nord e al Centro la quota raggiunge il 30%, mentre nel Mezzogiorno si ferma al 20,7%.
Marcato il gap di genere: nonostante i livelli di istruzione tra le donne siano più elevati, i tassi di occupazione femminile sono decisamente più bassi (55,7% contro 75,8% degli uomini).
Ancora molto forte l’influenza dell’appartenenza familiare sull’abbandono scolastico e sul raggiungimento di un titolo terziario.
23,1%
Quota di donne
25-64enni laureate
(16,8% tra gli uomini)
33,3% tra le 30-34enni (20,4% tra gli uomini). 66,0%
Tasso di occupazione
dei 30-34enni laureati
nel Mezzogiorno (89,0% nel Nord)
33,5%
Tasso di occupazione
dei 18-24enni
che abbandonano precocemente gli studi
49,5% per chi lascia gli studi solamente dopo il diploma.
Il diploma è considerato il livello di formazione indispensabile per una partecipazione al mercato del lavoro che abbia potenziale di crescita. La quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore è, quindi, il principale indicatore del livello di istruzione di un Paese.
Nel 2021, il 62,7% dei 25-64enni ha almeno un titolo di studio secondario superiore in Italia, contro il 79,3% della media Ue27, l’84,8% della Germania e l’82,2% della Francia.
Nella stessa fascia di età, anche la percentuale di chi ha un titolo di studio terziario (20,0%) è più bassa della media europea (33,4%) ed è circa la metà di quella registrata in Francia e Spagna (40,7% in entrambi i Paesi).
In crescita il vantaggio della laurea rispetto al diploma
Nella popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 anni il tasso di occupazione aumenta tra il 2020 e il 2021 (65,6%, +0,8 punti). Il miglioramento è più accentuato per chi ha un titolo terziario (+1,7 punti contro +0,5 dei livelli di istruzione medio-bassi). Da notare che, nel corso del 2020, l’occupazione dei laureati ha subito l’impatto più contenuto della pandemia; il titolo di studio più elevato ha avuto infatti un ruolo protettivo durante la crisi e ha facilitato la ripresa occupazionale successiva.
Nel 2021, cresce ulteriormente il già marcato “premio” occupazionale dell’istruzione (l’aumento della probabilità di essere occupati al crescere del titolo di studio conseguito). Il tasso di occupazione di quanti hanno conseguito un titolo secondario superiore è, infatti, 18,9 punti più alto rispetto a coloro che hanno un titolo secondario inferiore (70,3% contro 51,4%). Inoltre, il tasso di occupazione di chi può vantare un titolo terziario supera di 11,8 punti quello dei diplomati (82,1% e 70,3%).
Nonostante ciò, nel nostro Paese le opportunità occupazionali sono decisamente più basse di quelle medie europee anche per i laureati: la differenza rispetto alla media dell’Ue27 supera i quattro punti.
LIVELLI DI ISTRUZIONE E RITORNI OCCUPAZIONALI: I NUMERI CHIAVE. Anni 2018, 2019, 2020 e 2021, valori percentuali
Quota di 25-64enni con almeno un titolo secondario superiore 61,8 62,3 62,6 62,7 79,3
Quota di 25-64enni con un titolo terziario 19,4 19,7 20,0 20,0 33,4
30-34enni con istruzione universitaria 28,0 27,8 27,8 26,8 41,6
Giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione 14,3 13,3 14,2 12,7 9,7
Effetti dell’istruzione sull’occupazione Differenziale nel tasso di occupazione dei 25-64enni con titolo terziario e con titolo secondario superiore 10,3 10,1 10,6 11,8 10,3
Quota di 15-29enni né occupati né in formazione (NEET) 23,2 22,1 23,7 23,1 13,1
Tasso di occupazione dei 18-24enni che hanno abbandonato precocemente gli studi (ELET) 33,6 35,2 32,9 33,5 42,3
Tasso di occupazione dei 20-34enni che hanno conseguito il titolo secondario superiore da uno a tre anni prima e non più in istruzione e formazione 50,3 52,9 49,7 49,9 73,1
Tasso di occupazione dei 20-34enni che hanno conseguito il titolo terziario da uno a tre anni prima e non più in istruzione e formazione 62,9 65,1 63,8 67,5 84,9
Donne più istruite e meno occupate: i divari si riducono al crescere del titolo
Le donne in Italia sono più istruite degli uomini: il 65,3% ha almeno un diploma (60,1% tra gli uomini) e le laureate arrivano al 23,1% (16,8% tra gli uomini), differenze ben più marcate di quelle osservate nella media Ue27.
Il vantaggio femminile nell’istruzione non si traduce però in un vantaggio in ambito lavorativo. Il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (55,7% contro 75,8%), ma il divario di genere si riduce al crescere del livello di istruzione (31,7 punti per i titoli bassi, 20,3 per i medi e 7,3 punti per gli alti). All’aumentare dei livelli di istruzione, i tassi di occupazione femminili crescono più marcatamente di quelli maschili: 19 punti tra laureate e diplomate (6 punti tra gli uomini) e 25,5 punti tra diplomate e donne con al massimo la licenza media inferiore (14,1 tra gli uomini).
Mezzogiorno e Centro-nord: ancora profondo il gap di istruzione e occupazione
La popolazione (25-64 anni) residente nel Mezzogiorno è meno istruita rispetto a quella del Centro-nord: il 38,1% ha il diploma di scuola secondaria superiore e solo il 16,4% ha raggiunto un titolo terziario; nel Nord e nel Centro circa il 45% è diplomato e più di uno su cinque è laureato (21,1% e 23,7% rispettivamente). Il divario territoriale nei livelli di istruzione riguarda uomini e donne, sebbene sia più marcato per la componente femminile.
Nel Mezzogiorno il tasso di occupazione è molto più basso che nel resto del Paese e quello di disoccupazione molto più alto anche tra chi ha un titolo di studio elevato: il tasso di occupazione dei laureati è pari al 73,5% (13 punti inferiore a quello del Nord) e quello di disoccupazione è 8,2% (superiore di cinque punti). Nel Mezzogiorno, tuttavia, i vantaggi occupazionali dell’istruzione sono superiori rispetto al Centro-nord, in particolare tra le donne che raggiungono un titolo terziario.
L’istruzione premia meno gli stranieri degli italiani
Nel 2021, la quota di popolazione con almeno un titolo secondario superiore è pari al 64,4% tra i cittadini italiani, scende al 48,2% tra gli stranieri; la quota di laureati è rispettivamente pari a 21,0% e 11,1%. La distanza nei livelli di istruzione è più limitata se si considera soltanto la popolazione femminile.
In Italia, i premi occupazionali dell’istruzione tra i cittadini stranieri sono molto bassi, decisamente inferiori a quelli degli italiani e a quelli osservati in altri Paesi europei. Il vantaggio degli stranieri laureati rispetto ai diplomati è nullo e il tasso di occupazione degli stranieri laureati è inferiore di 20 punti a quello degli italiani (13,8 punti nella media Ue). Questo svantaggio occupazionale degli stranieri più istruiti sta peraltro crescendo nel tempo.
FIGURA 1. POPOLAZIONE DI 25-64 ANNI CON ALMENO UN TITOLO SECONDARIO SUPERIORE E RELATIVO TASSO DI OCCUPAZIONE PER TITOLO DI STUDIO, GENERE, RIPARTIZIONE GEOGRAFICA E CITTADINANZA.
Anno 2021, valori percentuali
LINK Excel.Sheet.12 “D:ISTATStatistica report _Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2021_Figure_Statistica report.xlsx!Figura 2 ![Figure_Statistica report.xlsx]Figura 2 Grafico 3” “” a p
Decisamente ampio il gap con l’Europa per i 30-34enni laureati
In Italia, nel 2021, la quota di 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario (obiettivo fondamentale per una “società della conoscenza”) è del 26,8%. Il valore italiano resta lontano dal benchmark europeo stabilito dalla Strategia Europa 2020 (40%) e ridefinito per il 2030 dal Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione (è 45% il valore benchmark nella classe 25-34 anni). Il gap da colmare, anche rispetto alla media europea (41,6% nell’Ue27) e con gli altri grandi paesi dell’Unione (49,5% Francia, 46,7% Spagna e 37,8% Germania) è davvero molto ampio, e negli ultimi anni è rimasto invariato.
Questo fenomeno è legato anche alla limitata disponibilità, in Italia, di corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti, erogati dagli Istituti Tecnici Superiori che invece in alcuni Paesi europei forniscono una quota importante dei titoli terziari conseguiti: in Francia e in Spagna sono quasi un terzo del totale dei titoli terziari (29,7% e 28,1% rispettivamente), oltre un decimo (l’11,8%) nella media dei 22 paesi europei membri OCSE e il 16,1% nella media dei paesi OCSE.
In Italia, una giovane su tre (33,3%) e solo un giovane su cinque (20,4%) possiede un titolo terziario, ne deriva che il divario con l’Europa è maggiore per gli uomini (le medie Ue sono pari al 47,0% e 36,3% rispettivamente). Il divario diventa ancora più marcato tra i giovani adulti di cittadinanza straniera: la quota di laureati è pari all’11,0% in Italia e al 36,8% nella media Ue. Anche il divario territoriale a sfavore del Mezzogiorno è molto marcato: è laureato un giovane su cinque (20,7%), contro tre giovani su dieci nel Centro e nel Nord (30,0% e 30,4%).
Il background familiare condiziona fortemente la possibilità che un giovane raggiunga un titolo terziario. Nelle famiglie con almeno un genitore laureato, la quota di figli 30-34enni che hanno conseguito un titolo terziario è pari al 70,1%, se almeno un genitore è diplomato cala al 39,3% e scende all’11,4% quando i genitori possiedono al più un titolo secondario inferiore. L’associazione tra contesto familiare e titolo di studio è meno stretta per le giovani donne; la quota delle figlie con titolo terziario nelle famiglie con elevato livello di istruzione è infatti cinque volte superiore a quella registrata nelle famiglie con bassi livelli di istruzione, mentre tra i loro coetanei la differenza sale a circa nove volte.
FIGURA 2. GIOVANI 30-34ENNI CON TITOLO DI STUDIO TERZIARIO IN ITALIA, NELLA UE27, NEI PIÙ GRANDI PAESI DELL’UNIONE E NELLE RIPARTIZIONI GEOGRAFICHE PER GENERE. Anno 2021, valori percentuali
LINK Excel.Sheet.12 “D:ISTATStatistica report _Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2021_Figure_Statistica report.xlsx!Figura 3 ![Figure_Statistica report.xlsx]Figura 3 Grafico 1” “” a p
Divario con l’Europa anche nel mercato del lavoro
I laureati italiani hanno meno prospettive occupazionali rispetto al resto agli altri paesi europei. Nel 2021, il tasso di occupazione dei 30-34enni laureati è pari all’81,1% contro un valore medio Ue27 dell’87,9%; la differenza è di circa sette punti che si riducono a quattro per i laureati della fascia di età compresa tra i 25 e i 64 anni. Il divario con l’Europa si accentua per i 30-34enni diplomati: il tasso di occupazione è pari a 68,4% in Italia e a 79,8% nella media Ue, con una differenza che supera dunque gli 11 punti (circa sei punti nella popolazione diplomata di età 25-64 anni). Il mercato del lavoro italiano sembra assorbire con difficoltà e lentezza il capitale umano, anche quello rappresentato dai giovani adulti in possesso di una qualifica o un diploma secondario superiore.
Vantaggio occupazionale della laurea evidente anche tra i giovani
Il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma è molto evidente: tra i 30-34enni laureati il tasso di occupazione è di oltre 12 punti più elevato rispetto a quello dei diplomati.
Tra le giovani il tasso di occupazione delle laureate resta significativamente inferiore a quello maschile (78,3% contro 85,7% dei laureati), sebbene il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma per le giovani adulte sia più elevato di quello delle donne più mature.
Nel Mezzogiorno, è la ridotta domanda di lavoro anche dei livelli di istruzione più elevati a determinare il divario territoriale osservato nella quota di laureati occupati, amplificandosi ulteriormente tra i più giovani. Nel 2021, la differenza tra Nord e Mezzogiorno nei tassi di occupazione dei 30-34enni laureati è di 23 punti (13 punti nella popolazione 25-64 anni).
Nel 2021, il tasso di occupazione dei 30-34enni laureati, dopo il calo del 2020, ha registrato una crescita di 3,4 punti; l’incremento maggiore si osserva tra le donne (3,8 verso 2,8 punti), che erano state le più penalizzate dalla pandemia.
L’impatto della pandemia sull’occupazione ha investito soprattutto i residenti del Nord e del Centro, ma la crescita della quota di occupati nel 2021 si è registrata in tutte le tre ripartizioni geografiche.
FIGURA 3. TASSO DI OCCUPAZIONE DEI 30-34ENNI IN ITALIA E NELLA UE27 PER TITOLO DI STUDIO E GENERE. Anno 2021, valori percentuali
LINK Excel.Sheet.12 “D:ISTATStatistica report _Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2021_Figure_Statistica report.xlsx!Figura 4 ![Figure_Statistica report.xlsx]Figura 4 Grafico 1” “” a p
La quota di lauree STEM tra le laureate è la metà di quella tra i laureati
Nel 2021, il 24,0% dei giovani adulti (25-34enni) con un titolo terziario ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche, le cosiddette lauree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La quota sale al 33,7% tra gli uomini (un laureato su tre) e scende al 17,6% tra le donne (una laureata su sei), evidenziando un importante divario di genere. Differenze territoriali per i laureati in discipline STEM sono evidenti per la componente maschile: la quota varia dal 30,8% del Mezzogiorno al 36,4% del Nord.
L’indirizzo di studio universitario sembra determinare importanti differenze nei tassi di occupazione dei laureati. Nel 2021, il tasso di occupazione tra i 25-64enni laureati nell’area Umanistica e dei servizi è pari al 75,9%, sale all’81,7% per i laureati in area Socio-economica e giuridica, si attesta all’85,3% per le STEM e raggiunge il massimo valore (88,5%) tra i laureati nell’area Medico-sanitaria e farmaceutica.
Divari occupazionali di genere più forti in alcune aree disciplinari di laurea
Lo svantaggio delle donne rispetto agli uomini nei ritorni occupazionali è più ampio nelle discipline Socio-economiche e giuridiche e raggiunge il massimo nelle lauree STEM. Tale risultato non dipende dalla bassa quota di donne laureate nelle aree disciplinari STEM a maggiore occupabilità (informatica, ingegneria e architettura). Il forte divario si osserva infatti anche a parità di macro area STEM: il tasso di occupazione femminile nell’area “scienze e matematica” è inferiore a quello maschile di otto punti e nell’area “informatica, ingegneria e architettura” si arriva a circa nove punti.
Queste differenze si riducono leggermente tra i più giovani, di 25-44 anni (sei e sette punti rispettivamente). Ciò conferma come le disuguaglianze di genere (e gli stereotipi) debbano essere combattute sia nelle scelte degli indirizzi di studio, sia nel mercato del lavoro.
Le opportunità occupazionali risentono del tessuto produttivo che caratterizza l’area geografica di residenza. La bassa concentrazione industriale e di impresa del Mezzogiorno determina una bassa domanda di lavoro verso skills economici, tecnici e scientifici. Le differenze territoriali nei tassi di occupazione dei laureati si riducono solo per le lauree medico-farmaceutiche.
FIGURA 4. TASSO DI OCCUPAZIONE DEI LAUREATI DI 25-64 ANNI PER AREA DISCIPLINARE E GENERE. Anno 2021, valori percentuali
LINK Excel.Sheet.12 “D:ISTATStatistica report _Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2021_Figure_Statistica report.xlsx!Figura 5 ![Figure_Statistica report.xlsx]Figura 5 Grafico 2” “” a p
Ancora alta la quota di giovani che abbandonano gli studi
Una delle priorità dell’Unione europea nel campo dell’istruzione e della formazione è la riduzione dell’abbandono scolastico, che ha gravi ripercussioni sulla vita dei giovani e sulla società in generale.
Il fenomeno è monitorato a livello europeo attraverso la quota di 18-24enni che, in possesso al massimo di un titolo secondario inferiore, sono fuori dal sistema di istruzione e formazione (Early Leavers from Education and Training, ELET). Questo indicatore è stato uno dei benchmark della Strategia Europa 2020 che ne fissava il valore target europeo al 10%, abbassato al 9% per il 2030 nel nuovo Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione.
In Italia, nel 2021 la quota di 18-24enni con al più un titolo secondario inferiore e non più inseriti in un percorso di istruzione o formazione è stimata al 12,7% (517mila giovani). Nonostante l’Italia abbia registrato notevoli progressi sul fronte degli abbandoni scolastici, la quota di ELET resta tra le più alte dell’Ue (9,7%), inferiore solo a Spagna (13,3%) e Romania (15,3%); scende al 7,8% in Francia e all’11,8% in Germania. Abbandonano la scuola più i ragazzi (14,8%) delle ragazze (10,5%) (Figura 6).
I divari territoriali restano ampi: nel 2021, l’abbandono degli studi prima del completamento del sistema secondario superiore o della formazione professionale riguarda il 16,6% dei 18-24enni nel Mezzogiorno, il 10,7% al Nord e il 9,8% nel Centro.
Tra i giovani con cittadinanza non italiana, il tasso di abbandono precoce degli studi è oltre tre volte quello degli italiani: 32,5% contro 10,9%. L’incidenza di abbandoni precoci tra gli stranieri nati all’estero varia molto a seconda dell’età di arrivo in Italia. Per chi è entrato in Italia quando aveva tra i 16 e i 24 anni la quota raggiunge il 55,9%, tra i 10 e i 15 anni il 37,0%, tra quelli arrivati entro i nove anni di età la quota, pur restando elevata, scende al 21,8%.
L’appartenenza familiare influenza anche l’abbandono scolastico
Così come il raggiungimento di un titolo terziario, anche la dispersione scolastica è fortemente condizionata dalle caratteristiche socio-economiche della famiglia di origine. Se il livello di istruzione è basso, si riscontrano incidenze di abbandoni precoci molto elevate.
L’abbandono degli studi prima del diploma riguarda il 25,8% dei giovani con genitori aventi al massimo la licenza media, scende al 6,2% se i genitori hanno un titolo secondario superiore e al 2,7% se almeno un genitore è laureato.
FIGURA 5. GIOVANI 18-24ENNI CHE HANNO ABBANDONATO PRECOCEMENTE GLI STUDI PER GENERE, RIPARTIZIONE GEOGRAFICA, LIVELLO DI ISTRUZIONE DEI GENITORI, CITTADINANZA ED ETÀ DI ARRIVO IN ITALIA DEGLI STRANIERI NATI ALL’ESTERO. Anno 2021, valori percentuali
LINK Excel.Sheet.12 “D:ISTATStatistica report _Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2021_Figure_Statistica report.xlsx!Figura 6 ![Figure_Statistica report.xlsx]Figura 6 Grafico 3” “” a p
Più difficile trovare occupazione per chi abbandona gli studi
Nel 2021, il tasso di occupazione dei giovani che abbandonano gli studi è pari al 33,5%. Dopo il calo molto sostenuto registrato durante la crisi economica del 2008, non ha registrato alcuna significativa ripresa, evidenziando una condizione occupazionale particolarmente critica.
Anche nella media Ue27 il tasso di occupazione degli ELET è piuttosto contenuto (42,3%), sebbene di nove punti superiore a quello italiano. Il differenziale Italia-Europa si osserva anche nella quota di questi giovani che vorrebbero lavorare (12,5 punti): in Italia poco meno di uno su due a fronte di uno su tre in Europa.
Tra le giovani che hanno abbandonato gli studi il tasso di occupazione è molto più basso di quello dei coetanei maschi (20,8% contro 41,9%). Nel 2021, il divario di genere sale a 21,1 punti (da 14,3 nel 2018), a causa della più marcata riduzione del tasso di occupazione delle ELET durante la pandemia e della mancata ripresa nel 2021. Il vantaggio femminile osservato rispetto agli abbandoni scolastici precoci si annulla, dunque, per effetto della maggiore difficoltà delle donne a inserirsi nel mondo del lavoro e si traduce spesso in forme di esclusione sociale.
Nel Mezzogiorno, alla più elevata incidenza di giovani che abbandonano precocemente gli studi si associa un più basso tasso di occupazione (27,3%, contro 37,4% del Centro e 40% del Nord); il divario a sfavore del Mezzogiorno è dunque molto ampio, nonostante nell’ultimo biennio si sia ridotto.
Il tasso di occupazione degli ELET con cittadinanza straniera è 10 punti superiore a quello degli italiani (41,1% e 31,4%, rispettivamente).
La mancanza di opportunità educative implica una maggiore difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro. I 18-24enni usciti dal sistema educativo dopo il conseguimento di una qualifica o di un diploma mostrano un tasso di occupazione di 16 punti superiore a quello degli ELET (49,5% contro 33,5%) e il tasso di mancata partecipazione, cioè la quota di non occupati tra quanti sono disponibili a lavorare, è significativamente maggiore tra gli ELET (56,0%) rispetto ai diplomati (40,9%).
FIGURA 6. TASSI DI OCCUPAZIONE DEI 18-24ENNI NON PIÙ IN ISTRUZIONE/FORMAZIONE (ELET E DIPLOMATI) PER GENERE, RIPARTIZIONE GEOGRAFICA E CITTADINANZA. Anno 2021, valori percentuali
LINK Excel.Sheet.12 “D:ISTATStatistica report _Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2021_Figure_Statistica report.xlsx!Figura 7![Figure_Statistica report.xlsx]Figura 7 Grafico 1” “” a p
In leggero calo la quota di NEET
I giovani non più inseriti in un percorso scolastico/formativo e non impegnati in un’attività lavorativa, i cosiddetti NEET (Neither in Employment nor in Education and Training), presentano caratteristiche e motivazioni di base eterogenee ma hanno in comune una condizione che, se protratta a lungo, può comportare il rischio di concrete difficoltà di inclusione nel mondo del lavoro. L’attenzione a questo collettivo di giovani è molto alta a livello europeo e una recente raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea – COM(2020) 277 – ha ridefinito i contorni del fenomeno, le forti criticità e le possibili azioni di intervento.
Nel 2021, in Italia, la percentuale di NEET sul totale dei 15-29enni è pari al 23,1%, in leggero calo rispetto alla crescita registrata nel 2020 per l’impatto della pandemia sull’occupazione, ed è 10 punti percentuali superiore a quella europea (13,1%). L’Italia continua a registrare la più alta quota di NEET nella Ue27, decisamente più elevata di quella osservata in Spagna (14,1%), Francia (12,8%) e Germania (9,2%). La differenza con l’Europa è massima per i diplomati (11,8 punti); scende a 8,1 per i titoli terziari e a 7,5 punti per chi ha al più un titolo secondario inferiore.
Il calo dei NEET sull’anno precedente è stato molto marcato tra i giovani con titolo di studio terziario (-3,6 punti) e ha più che compensato la crescita registrata a causa della pandemia; stabile invece la quota di NEET tra chi ha un basso livello di istruzione.
Nel 2021, l’incidenza dei NEET è pari al 23,0% tra i giovani con al più un titolo secondario inferiore, al 24,9% tra chi ha un titolo secondario superiore e al 17,3% per coloro che hanno conseguito un titolo terziario. Le quote di NEET osservate derivano anche dal numero dei giovani che continuano a studiare: se l’indicatore viene calcolato escludendo dal denominatore i giovani ancora in istruzione o formazione, in altre parole se si calcola la quota di chi non lavora tra chi non studia più, si passa dal 63,9% per chi ha al massimo un titolo di studio secondario inferiore al 42,4% per chi ha un titolo secondario superiore, confermando l’indubbio vantaggio occupazionale di possedere almeno un diploma.
Nel 2021, la quota di NEET è diminuita tra i giovani, uomini e donne; resta dunque invariata la differenza di genere, con un’incidenza di NEET maggiore tra le seconde (21,2% e 25,0% rispettivamente).
Nel Mezzogiorno la quota di NEET è pari al 32,2% (17,0% e 19,6% nel Nord e nel Centro) e sale al 33,3% tra gli stranieri (21,9% tra gli italiani), con una forte differenza di genere: 42,0% è la quota di NEET tra le straniere e 23,0% tra le italiane (24,2% e 20,9% le rispettive quote degli uomini).
FIGURA 7. GIOVANI DI 15-29 ANNI IN BASE ALLA CONDIZIONE RISPETTO AL SISTEMA DI ISTRUZIONE/FORMAZIONE E ALL’OCCUPAZIONE PER TITOLO DI STUDIO. Anno 2021, composizioni percentuali
LINK Excel.Sheet.12 “D:ISTATStatistica report _Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2021_Figure_Statistica report.xlsx!Figura 8 ![Figure_Statistica report.xlsx]Figura 8 Grafico 1” “” a p
Tra i NEET disoccupati uno su due alla ricerca di lavoro da almeno un anno
Nel 2021, con la ripresa del mercato del lavoro diminuiscono i NEET disoccupati e quelli appartenenti alle forze di lavoro potenziali. Aumenta dunque tra i NEET la quota degli inattivi che non cercano un impiego e non sarebbero disponibili a lavorare (35,9%, +2,7 punti), più frequentemente di genere femminile, con responsabilità familiari di cura e assistenza a bambini o adulti non autosufficienti.
La percentuale maggiore di inattivi si rileva tra i giovani NEET con al più un titolo secondario inferiore (45,1%), soprattutto se donne (56,8%). L’inattività è minima tra i NEET del Mezzogiorno, tra i quali ben il 71,0% (53,3% nel Nord e 64,1% nel Centro) si dichiara interessato al lavoro (disoccupati o forze di lavoro potenziali), a indicare come in quest’area del Paese le minori opportunità lavorative pesino di più sulla condizione di NEET. Infine, anche sulla maggiore inattività dei NEET stranieri rispetto agli italiani incide la componente femminile.
Nel 2021, il 51,6% dei NEET disoccupati è alla ricerca attiva di lavoro da almeno 12 mesi, una quota più alta di quella del 2020 (44,9%).
I NEET disoccupati (cioè alla ricerca attiva di un lavoro) sono quelli più attenti alle dinamiche del mercato del lavoro e dunque più facilmente integrabili; tuttavia, se la ricerca di un’occupazione si prolunga nel tempo cresce il rischio di transito all’area dell’inattività. I NEET disoccupati da 12 mesi o più sono 350mila e risiedono prevalentemente nelle regioni meridionali, dove rappresentano il 61,0% dei NEET disoccupati (46,3% nel Centro e 39,4% nel Nord).
FIGURA 8. NEET DI 15-29 ANNI DISOCCUPATI E INATTIVI PER TIPOLOGIA DELL’INATTIVITÀ, GENERE, RIPARTIZIONE GEOGRAFICA E TITOLO DI STUDIO. Anno 2021, composizioni percentuali
LINK Excel.Sheet.12 “D:ISTATStatistica report _Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2021_Figure_Statistica report.xlsx!Figura 9 ![Figure_Statistica report.xlsx]Figura 9 Grafico 1” “” a p
Transizione scuola-lavoro di diplomati e laureati: Italia lontana dall’Ue
I tassi di occupazione, di disoccupazione e di mancata partecipazione – calcolati sul collettivo dei 20-34enni diplomati e laureati, non più inseriti in un percorso di istruzione o formazione e che hanno conseguito il titolo di studio (secondario superiore o terziario) da un anno a non più di tre anni – sono gli indicatori utilizzati per monitorare la transizione scuola-lavoro.
Nel 2021, in Italia, il tasso di occupazione dei giovani in transizione dalla scuola al lavoro è stimato al 49,9% tra i diplomati e al 67,5% tra i laureati, valori inferiori a quelli medi Ue di 23,2 punti e di 17,4 punti rispettivamente. D’altra parte, i tassi di disoccupazione si attestano al 28,7% tra i diplomati e al 15,6% tra i laureati, risultando superiori di 14,0 e 6,8 punti, rispettivamente, a quelli medi europei. I divari con l’Europa aumentano per la componente femminile e diventano massimi per le giovani donne diplomate, a conferma delle ridotte prospettive occupazionali dei giovani in Italia all’uscita dal ciclo di studi.
Se si calcola il tasso di mancata partecipazione, che oltre ai disoccupati tiene conto anche delle persone che non hanno cercato lavoro nelle ultime quattro settimane ma sarebbero disponibili a lavorare, le quote salgono al 41,6% tra i diplomati e al 24,9% tra i laureati.
In miglioramento la transizione dei laureati nella ripresa post-pandemia
Dopo il gravissimo deterioramento del quadro occupazionale giovanile negli anni della crisi 2008-2014, la sostenuta crescita osservata dal 2015 e il successivo impatto della crisi pandemica, nel 2021 la ripresa coinvolge anche i giovani in transizione dalla scuola al lavoro. Il miglioramento è però significativo solo per i laureati, si osserva tra uomini e donne ed è più marcato nel Centro e nel Mezzogiorno. Per i laureati, infatti, il tasso di occupazione aumenta di 3,7 punti, il tasso di disoccupazione scende di 2,4 e quello di mancata partecipazione di 2,8 punti.
Tra i diplomati – che durante la pandemia avevano registrato la diminuzione più marcata delle opportunità di transizione dalla scuola al lavoro – soltanto i residenti nel Centro mostrano un apprezzabile aumento del tasso di occupazione.
FIGURA 9. TASSO DI OCCUPAZIONE E DI DISOCCUPAZIONE DEI 20-34ENNI CON TITOLO DI STUDIO SECONDARIO SUPERIORE E TERZIARIO CONSEGUITO 1-3 ANNI PRIMA E NON PIÙ IN ISTRUZIONE IN ITALIA, NELLA UE27 E NEI PIÙ GRANDI PAESI UE (a). Anno 2021, valori percentuali
LINK Excel.Sheet.12 “D:ISTATStatistica report _Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2021_Figure_Statistica report.xlsx!Figura 10 ![Figure_Statistica report.xlsx]Figura 10 Grafico 2” “” a p
Tasso di disoccupazione del Terziario della Germania n.d.
In aumento la partecipazione degli adulti a corsi e attività formative
La formazione del capitale umano di un individuo passa attraverso i percorsi educativi formali (scuola, università) e l’apprendimento permanente durante tutto l’arco della vita (lifelong learning). Alla luce dei cambiamenti nel mercato del lavoro, della mobilità lavorativa e dell’innovazione tecnologica, la partecipazione alle attività formative durante tutto l’arco della vita favorisce l’occupazione, in termini quantitativi e qualitativi, ma anche la vita sociale, la cittadinanza attiva e la coesione sociale.
Nel 2021, il 9,9% della popolazione tra i 25 e i 64 anni partecipa ad attività formative (il 9,8% della componente maschile e il 10% di quella femminile), quota che – dopo una stazionarietà protrattasi per diversi anni e dopo il significativo calo rilevato del 2020 – ha registrato un importante aumento (2,8 punti). Tale recupero ha ridotto il divario dell’Italia rispetto alla media europea (10,8%) e alla Francia (11,0%) e posiziona l’Italia sopra la Germania (7,7%).
La ripresa nella partecipazione alle attività formative post Covid-19 ha coinvolto entrambe le componenti di genere e, sebbene con alcune differenze, tutte le classi di età e le ripartizioni geografiche.
Tra i fattori che più influenzano la partecipazione degli adulti alla formazione continua vi è il livello di istruzione posseduto: nel 2021, l’incidenza del lifelong learning raggiunge il 23,4% tra chi ha un titolo terziario (superando il valore medio europeo del 18,6%), è pari al 10,1% tra i diplomati (8,2% nell’Ue) ed è solo del 2,4% tra chi ha un basso titolo di studio. Quest’ultimo valore è ancora inferiore a quello medio europeo (4,3%).
Eppure, gli individui con una scarsa istruzione (per i quali la formazione continua potrebbe più efficacemente supplire alla scarsa istruzione formale ricevuta, permettendo una crescita personale e una maggiore partecipazione alla vita sociale) dovrebbero rappresentare un target prioritario alla luce delle maggiori difficoltà a tenere il passo dell’innovazione tecnologica e delle trasformazioni da questa indotte.
Ampio il divario con l’Europa nella formazione continua dei disoccupati
Le differenze con l’Europa sulla partecipazione al lifelong learning si osservano soprattutto per i disoccupati (la quota di chi è in formazione è 6,8% contro 12,7% media Ue) che dovrebbero rappresentare i principali destinatari delle azioni di riqualificazione e aggiornamento delle competenze per riallocarsi nel mondo del lavoro.
In linea con la media europea è invece la quota di occupati che ha partecipato ad attività formative (nel 2021 11,4%). Tra questi, l’87% lo ha fatto per ragioni professionali e nell’84,2% dei casi un ruolo importante è stato giocato dal datore di lavoro.
FIGURA 10. PARTECIPAZIONE ALLA FORMAZIONE CONTINUA DELLA POPOLAZIONE TRA I 25 E I 64 ANNI IN ITALIA E NELLA UE27 PER TITOLO DI STUDIO E CONDIZIONE OCCUPAZIONALE. Anno 2021, valori percentuali
LINK Excel.Sheet.12 “D:ISTATStatistica report _Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – Anno 2021_Figure_Statistica report.xlsx!Figura 11 ![Figure_Statistica report.xlsx]Figura 11 Grafico 3” “” a p
Glossario
Disoccupati (o in cerca di occupazione): comprendono le persone non occupate tra i 15 e i 74 anni che:
hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane che precedono la settimana di riferimento e sono disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive;
oppure, inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla settimana di riferimento e sarebbero disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive, qualora fosse possibile anticipare l’inizio del lavoro.
Early leavers from education and training – ELET: giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato studio e formazione con al massimo un titolo di studio secondario inferiore (nella Classificazione internazionale sui livelli di istruzione corrisponde fino al 2013 ai livelli 0-3C short della ISCED1997 e dal 2014 ai livelli 0-2 della ISCED2011).
Partecipazione alla formazione continua: la partecipazione all’istruzione o alla formazione (formale o non formale) nelle quattro settimane precedenti l’indagine. Fonte: Rilevazione ISTAT sulle forze di lavoro.
Forze lavoro: comprendono le persone occupate e quelle disoccupate.
Forze lavoro potenziali: gli inattivi (vedi definizione) tra 15 e 74 anni che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche:
non hanno cercato un lavoro nelle ultime quattro settimane, ma sono disponibili a iniziare un lavoro entro due settimane dall’intervista;
hanno cercato un lavoro nelle ultime quattro settimane, ma non sono disponibili a iniziare un lavoro entro due settimane dall’intervista.
Inattivi (o non forze di lavoro): comprendono le persone che non fanno parte delle forze di lavoro, ovvero quelle non classificate come occupate o disoccupate.
Not in Education, Employment or Training, NEET: giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione.
Occupati: comprendono le persone tra 15 e 89 anni che nella settimana di riferimento:
hanno svolto almeno un’ora di lavoro a fini di retribuzione o di profitto, compresi i coadiuvanti familiari non retribuiti;
sono temporaneamente assenti dal lavoro perché in ferie, con orario flessibile (part time verticale, recupero ore, etc.), in malattia, in maternità/paternità obbligatoria, in formazione professionale retribuita dal datore di lavoro;
sono in congedo parentale e ricevono e/o hanno diritto a un reddito o a prestazioni legate al lavoro,
indipendentemente dalla durata dell’assenza;
sono assenti in quanto lavoratori stagionali ma continuano a svolgere regolarmente mansioni e compiti necessari al proseguimento dell’attività (da tali mansioni e compiti va escluso l’adempimento di obblighi legali o amministrativi);
sono temporaneamente assenti per altri motivi e la durata prevista dell’assenza è pari o inferiore a tre mesi.
Ripartizioni geografiche: Nord: Piemonte, Valle d’Aosta- Vallée d’Aoste, Lombardia, Liguria, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna. Centro: Toscana, Umbria, Marche, Lazio. Mezzogiorno: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna.
Tasso di occupazione: rapporto percentuale tra gli occupati di una determinata classe di età e la popolazione residente totale di quella determinata classe di età.
Tasso di disoccupazione: rapporto percentuale tra i disoccupati di una determinata classe di età e l’insieme di occupati e disoccupati (la cui somma costituisce le forze di lavoro) della stessa classe di età.
Tasso di inattività: rapporto percentuale tra le persone non appartenenti alle forze di lavoro in una determinata classe di età e la popolazione residente totale di quella determinata classe di età.
Tasso di mancata partecipazione: rapporto percentuale tra le persone in cerca di occupazione più gli inattivi subito disponibili a lavorare (parte delle forze di lavoro potenziali) e le corrispondenti forze di lavoro più gli inattivi subito disponibili a lavorare.
Titolo di studio al più secondario inferiore: comprende i titoli di istruzione fino alla scuola secondaria inferiore (diploma di scuola secondaria di I grado). Sono inclusi in questo gruppo anche coloro che, in possesso del diploma di scuola secondaria di I grado, hanno conseguito una qualifica professionale regionale di primo livello con durata inferiore ai due anni.
Titolo di studio secondario superiore: comprende i titoli di istruzione secondaria superiore e post secondaria non terziaria. Per il sistema di istruzione italiano sono i seguenti (alcuni non più a regime): diploma di qualifica professionale di scuola secondaria superiore di 2-3 anni, diploma di maturità/diploma di istruzione secondaria superiore (di II grado) che permette l’iscrizione all’Università; attestato IeFP di qualifica professionale (operatore)/diploma professionale IFP di tecnico; qualifica professionale regionale di primo livello con durata di almeno due anni; qualifica professionale regionale post qualifica/post diploma di durata uguale o superiore alle 600 ore; certificato di specializzazione tecnica superiore (IFTS).
Titolo di studio terziario: comprende i titoli Universitari, Accademici (AFAM), i Diplomi di tecnico superiore ITS e altri titoli terziari non universitari. Sono inclusi i titoli post-laurea o post-AFAM.
Nota metodologica
La rilevazione sulle forze di lavoro è una indagine campionaria condotta mediante interviste alle famiglie, il cui obiettivo primario è la stima dei principali aggregati dell’offerta di lavoro, occupati e disoccupati.
Le principali caratteristiche della rilevazione, dagli aspetti metodologici alle definizioni delle variabili e degli indicatori,
sono armonizzate a livello europeo, coerentemente con gli standard internazionali definiti dall’ILO. La rilevazione è regolata da specifici atti del Consiglio della Commissione europea, il principale dei quali è il Regolamento (UE) 2019/1700 del Parlamento europeo e del Consiglio, che si applica dal 1° gennaio 2021 (per approfondimenti sul regolamento quadro e gli atti delegati e di esecuzione, si veda https://www.istat.it/it/archivio/253081).
L’indagine è inserita nel Piano Statistico Nazionale (edizione in vigore: Psn 2017-2019. Aggiornamento 2019) pubblicato sul S.O. n. 8 alla Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 35 del 11 febbraio 2021.La popolazione di riferimento è costituita da tutti i componenti delle famiglie residenti in Italia, anche se temporaneamente all’estero. Dalla popolazione di riferimento sono quindi esclusi i membri permanenti delle convivenze: ospizi, brefotrofi, istituti religiosi, caserme, ecc.
L’unità di rilevazione è la famiglia di fatto, definita come insieme di persone legate o meno da vincoli di parentela o affettivi, dimoranti abitualmente nella stessa abitazione e che condividono il reddito (contribuendo al reddito e/o beneficiandone) e/o le spese familiari. L’unità di analisi nel presente report è l’individuo.
Il disegno campionario è a due stadi, rispettivamente comuni e famiglie, con stratificazione delle unità di primo stadio.
Tutti i comuni con popolazione superiore ad una soglia prefissata per ciascuna provincia, detti autorappresentativi, sono presenti nel campione con probabilità pari a uno. I comuni la cui popolazione è al di sotto delle suddette soglie, detti non autorappresentativi, sono raggruppati in strati. Essi entrano nel campione attraverso un meccanismo di selezione casuale che prevede l’estrazione di un comune non autorappresentativo da ciascuno strato. Per ciascun comune campione viene estratto dalla lista anagrafica un campione casuale semplice di famiglie.
Da gennaio 2004 la rilevazione è continua, cioè le informazioni sono rilevate con riferimento a tutte le settimane di ciascun trimestre.
L’intervista alla famiglia viene effettuata mediante tecnica mista Capi (Computer assisted personal interview) e Cati (Computer assisted telephone interview). La prima intervista a ciascuna famiglia viene condotta con tecnica Capi, le interviste successive vengono condotte con tecnica Cati (ad eccezione delle famiglie senza telefono o con capofamiglia straniero). Nella maggior parte dei casi l’intervista viene condotta nella settimana successiva a quella di riferimento e solo raramente entro le tre settimane successive.
Ulteriori informazioni sulla Rilevazione sulle forze di lavoro e il questionario utilizzato per la raccolta dei dati sono disponibili al seguente link: http://www.istat.it/it/archivio/8263La precisione delle stime
Al fine di valutare l’accuratezza delle stime prodotte da un’indagine campionaria è necessario tenere conto dell’errore campionario che deriva dall’aver osservato la variabile di interesse solo su una parte (campione) della popolazione. Tale errore può essere espresso in termini di errore assoluto (standard error) o di errore relativo (cioè l’errore assoluto diviso per la stima, che prende il nome di coefficiente di variazione, CV). A partire da questi è possibile costruire l’intervallo di confidenza che, con un prefissato livello di fiducia, contiene al suo interno il valore vero, ma ignoto, del parametro oggetto di stima. L’intervallo di confidenza è calcolato aggiungendo e sottraendo alla stima puntuale il suo errore campionario assoluto, moltiplicato per un coefficiente che dipende dal livello di fiducia; considerando il tradizionale livello di fiducia del 95%, il coefficiente corrispondente è 1,96.
Nel prospetto A, per alcuni degli indicatori presenti in questo report, sono riportate le stime puntuali e gli errori relativi ad esse associati.
PROSPETTO A. ERRORI RELATIVI DELLE STIME DEI PRINCIPALI INDICATORI. Anno 2021
Stima puntuale Errore relativo (CV)
Popolazione 25-64 anni con almeno un titolo di studio secondario superiore (valore percentuale) 62,7 0,00158
Giovani 18-24 anni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione (migliaia di unità) 517 0,01808
Giovani di 30-34 anni con titolo di studio terziario (valore percentuale) 26,8
0,01193
Tasso di occupazione dei 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione (valore percentuale) 33,5 0,02724
Tasso di occupazione dei 30-34enni con un titolo terziario (valore percentuale) 81,1 0,00690
Giovani 15-29enni né in istruzione/formazione né occupati (migliaia di unità) 2.032 0,00861
Tasso di occupazione dei giovani 20-34enni non più in istruzione e formazione che hanno conseguito il titolo secondario superiore o terziario da 1 a 3 anni prima (valore percentuale) 57,9 0,01108
Attraverso semplici calcoli, è possibile ricavare gli intervalli di confidenza con livello di fiducia pari al 95% (=0,05). Tali intervalli comprendono pertanto i parametri ignoti della popolazione con probabilità pari a 0,95. Nel prospetto B sono illustrati i calcoli per la costruzione dell’intervallo di confidenza di una delle stime in valore assoluto e di uno degli indicatori percentuali.
PROSPETTO B. CALCOLO ESEMPLIFICATIVO DELL’INTERVALLO DI CONFIDENZA. Anno 2021
Giovani 15-29enni né in istruzione/formazione né occupati (migliaia di unità) Giovani di 30-34 anni con titolo di studio terziario (%)
Stima puntuale: 2032 26,8
Errore relativo (CV) 0,00861 0,01193
Stima intervallare
Semi ampiezza dell’intervallo: (2032 x 0,00861) x 1,96 = 34,29 (26,8 x 0,01193) x 1,96 = 0,63
Limite inferiore dell’intervallo di confidenza: 2032 – 34,29 = 1997,71 26,8 – 0,63 = 26,2
Limite superiore dell’intervallo di confidenza: 2032 + 34,29 = 2066,29 26,8 + 0,63 = 27,4
La diffusione dei risultati
I microdati ad uso pubblico sono disponibili al link https://www.istat.it/it/archivio/127792Ricercatori e studiosi possono inoltre accedere al Laboratorio di Analisi dei Dati Elementari (ADELE) per effettuare le proprie analisi statistiche sui microdati della Rilevazione sulle forze di lavoro, nel rispetto delle norme sulla riservatezza dei dati personali.