(AGENPARL) - Roma, 9 Dicembre 2025Qui si vede dunque riapparire quella degradazione dell’intelligenza che consiste nell’identificarla al più ristretto e al più basso fra i suoi usi: l’azione sulla materia in vista della sola utilità pratica.
Ignitus Il mito del progresso (Diorama filosofico)
Lo ammetto, sento di essere tecnofobico. Sviluppo infatti un’ansia, che si traduce in una vera e propria avversione, verso la tecnologia e ogni oggetto tecnologicamente avanzato. Ma ritengo di avere i miei buoni motivi per esserlo.
I ‘transumanisti’ mi definirebbero anche un ‘bioconservatore’, che, come descrive il ‘guru’ del Movimento Transumanista Italiano Riccardo Campa, di fronte alla decisione se sia meglio ‘mutare’ o ‘perire’, al contrario del transumanista (convinto assertore della necessità di ‘mutare’) rimane invece sclerotizzato nella logica predarwiniana, che considera l’essenza umana come un dato fisso e immutabile, e, conseguentemente, preferisce ‘perire’.[1]
Ma chi sono gli alfieri della tecnologia avanzata, i cosiddetti ‘transumanisti’? E cosa ci propone di accattivante il ‘Transumanesimo’? E’ semplice: l’acquisizione di facoltà super-umane e, soprattutto, l’’Eternità’.
E vi pare poco? Ma, vi chiederete ovviamente, di quale eternità si sta parlando, e a quale prezzo?
Quando si parla di Transumanesimo e di Postumanesimo, e delle loro più evidenti manifestazioni ‘tecnologiche’ (in particolare l’intelligenza artificiale) il dibattito si concentra quasi sempre sugli aspetti ‘etici’ di tale fenomeno, problematiche che non tratterò in questa sede. Vorrei soffermarmi invece su un altro aspetto del problema largamente sottovalutato: la promessa di aumentare e migliorare enormemente le ‘capacità cognitive’ dell’uomo, ossia “svilupparci a livelli mentalmente superiori”[2], “aumentare le capacità intellettuali”[3], “migliorare le capacità fisiche e cognitive”[4]. Inizialmente la lettura di queste avvincenti prospettive mi ha arrecato un profondo interesse, ma è veramente così? Dalle evidenze che verranno menzionate in questo breve scritto sembra proprio di no. Anzi.
La tanto decantata rivoluzione cognitiva, permessa (o meglio, promessa) dall’attuale (e futura) tecnologia, sembra infatti portare le nostre capacità intellettive ad una drammatica e inesorabile degenerazione e regressione. Ma prima di iniziare le nostre valutazioni in merito vale la pena di descrivere brevemente il Transumanesimo.
Il biologo Julian Huxley viene considerato il creatore del termine Transumanesimo (o Transumanismo), ossia Transhumanism; esso è menzionato nel suo testo del 1957 In New Bottles for New Wine, in una forma alquanto generica, sostenendo che la razza umana in futuro ‘trascenderà’ sé stessa. Successivamente il termine ha subito diverse modifiche, allargando le sue prospettive e le sue progettualità. Già a partire dagli anni ottanta il termine fu poi utilizzato negli Stati Uniti d’America con un significato diverso, meno legato a traguardi sociali ed orientato a un maggiore individualismo, soprattutto ad opera di FM-2030 (Fereidoun M. Esfandiary) e di Natasha Vita More. Nel 1990 Max More, uno dei fondatori del movimento, ne dà la seguente definizione: “Il Transumanesimo è un tipo di filosofia della vita che cerca la continuazione e l’accelerazione della vita intelligente al di là delle forme e delle limitazioni umane tramite la scienza e la tecnologia, guidate da valori e principi che promuovono la vita”. Sulla stessa linea è il neuroscienziato svedese Anders Sandberg, che sottolinea come il Transumanesimo porterà a svilupparci a livelli, fisicamente, mentalmente e socialmente superiori, utilizzando metodi razionali.[5] Uno dei maggiori teorici del transumanismo, il filosofo Nick Bostrom, fondatore nel 1998 con David Pearce della World Transhumanist Association (WTA), sostiene che il Transumanesimo porterà a un miglioramento delle capacità fisiche e cognitive della specie umana, affinché si possano eliminare aspetti non desiderati e non necessari della condizione umana come la sofferenza, la malattia, l’invecchiamento, e persino, l’essere mortali.[6]
Al di là delle diverse definizioni, sulla scorta dell’impostazione originaria di Julian Huxley vi è comunque un generalizzato consenso nell’individuare, quale idea centrale del Transumanesimo, quella di “evoluzione autodiretta”, vale a dire pretendere che l’intelligenza umana possa sostituire la logica naturale. Per M. Esfandiary (FM – 2030) il ‘transumano’ sarà la prima manifestazione di un ‘essere nuovo’ nella scala evolutiva.[7] In sostanza, i sostenitori del Transumanesimo vogliono condurre l’uomo a diventare una ‘nuova specie’ che diverga dal modello darwiniano. Non si tratta di raggiungere un ulteriore stadio evolutivo ma di liberarsi dai tratti naturali della specie umana che hanno accompagnato l’uomo per tutto il corso della sua evoluzione.
In sostanza i transumanisti sono incrollabilmente convinti che la biologia evoluzionistica induca a ipotizzare che dopo l’evoluzione dai vari Homo habilis, Homo erectus, Homo neanderthaliensis, verrà superato anche l’Homo sapiens, e, probabilmente, i maschi saranno destinati a scomparire o a modificarsi radicalmente, ma, soprattutto i ‘modi di riproduzione’ subiranno radicali modifiche. Il transumanista Riccardo Campa, nel suo lessico emotivo, ci ricorda infatti perentoriamente che in natura (e percepisco qualcosa di pauroso e inquietante nel suo tono) “certi ruoli e funzioni sono provvisori”![8]
I transumanisti sono ovviamente a favore dell’utilizzo di tutte le tecnologie emergenti, incluse molte attualmente ritenute controverse, come l’ingegneria genetica sull’uomo, la crionica e gli usi avanzati dei computer e delle comunicazioni. Essi ritengono che l’intelligenza artificiale un giorno supererà quella umana, realizzando la singolarità tecnologica. (La singolarità rappresenta il momento in cui l’intelligenza delle macchine o degli ibridi uomo – macchina, supererà il livello dell’intelligenza umana). Inoltre, sempre Riccardo Campa ci tiene a sottolineare come i transumanisti, “con modestia e realismo”, semplicemente riconoscono i propri limiti fisici, e per questo vogliono potenziale le proprie funzioni anche “acquisendo nuovi sensi da altre specie viventi, come pipistrelli e delfini, o macchine come il sonar e il radar”. Ma con modestia…
La rapidità di crescita dello sviluppo tecnologico suggerisce progressi radicali ed importanti per i prossimi 50 anni, questo sviluppo per i transumanisti è desiderabile ed auspicabile; gli esseri umani possono e dovrebbero diventare “più che umani”, enormemente più intelligenti e performanti, attraverso l’applicazione di innovazioni tecnologiche come l’ingegneria genetica, la nanotecnologia, la neurofarmacologia, le protesi artificiali, e le interfacce tra la mente e le macchine.
Grazie alla tecnologia stiamo divenendo quindi più intelligenti? Non ci rimane che verificare l’impatto’ di alcuni oggetti di uso comune sui nostri sistemi cognitivi.
Nel 2012 lo psichiatra tedesco Manfred Spitzer ha pubblicato un saggio sull’uso massiccio di smartphone, internet, computer e sui danni prodotti da un loro utilizzo indiscriminato. Nel saggio, documentatissimo, Spitzer evidenzia in particolare i danni fisici (soprattutto cognitivi), l’indebolimento inesorabile e progressivo di corpo e mente, che tale utilizzo procura soprattutto negli adolescenti, l’indebolimento della loro capacità di socializzare con l’inevitabile nascita di gravi forme depressive. Vediamo alcune parti della documentazione proposte da Spitzer.
All’incirca 250.000 soggetti tra i 14 e i 24 anni soffrono di dipendenza da Internet, altri 1,4 milioni sono considerati internauti problematici. Questi sono i dati del rapporto annuale redatto da Mechthild Dyckmans, responsabile del dipartimento per le dipendenze patologiche del governo federale tedesco, pubblicato il 22 maggio 2012. Mentre il consumo di alcol, nicotina e persino droghe leggere e pesanti ha fatto registrare una diminuzione, la dipendenza da smartphone, computer e da Internet sta aumentando drammaticamente… Contemporaneamente, nell’arco di soli cinque anni, la dipendenza da videogiochi è triplicata, in particolar modo tra i giovani maschi disoccupati… Cinque anni fa i medici della Corea del Sud, una nazione ad alto sviluppo industriale con una tecnologia informatica avanzatissima, riscontrarono tra i giovani adulti un aumento di disturbi della memoria, dell’attenzione e della concentrazione, oltre ad appiattimento emotivo e generale ottusità. Tale quadro clinico è stato definito “demenza digitale”.[9]
Da tempo i sociologi sottolineano come maggiore è il tempo che si passa a comunicare online e a gestire incombenze quotidiane nel ciberspazio, minore è quello che si dedica alle interazioni nel mondo fisico. Il rischio è l’isolamento sociale con la riduzione del tempo passato con familiari e amici. Internet ed i social invadono la vita domestica obnubilando la distinzione tra “lavoro” e “casa”: in molti, terminata la giornata lavorativa, essa viene prolungata a casa, controllando e-mail o terminando lavori rimasti incompiuti, a scapito dei rapporti personali e indebolendo il tessuto della vita sociale.[10]
Nell’introduzione del saggio intitolata Google ci rende stupidi? Spitzer argomenta come l’apprendimento ottenuto esclusivamente attraverso il computer o lo smartphone non sia paragonabile all’apprendimento tradizionale; il giornalista Nicholas Carr così descrive la sua esperienza personale:
La rete sembra distruggere le mie capacità di concentrazione e contemplazione. La mia mente si aspetta di assorbire informazioni esattamente nel modo in cui vengono distribuite dalla rete: sotto forma di un flusso in rapido movimento di piccole particelle… I miei amici sostengono la stessa cosa: più utilizzano la rete, più devono faticare per concentrarsi nello scrivere brani più lunghi.[11]
Per spiegare da dove nascono queste difficoltà di concentrazione Spitzer analizza il fenomeno dal punto di vista della neurobiologia:
Nell’ambito della neurobiologia una delle scoperte più importanti è che il cervello si modifica in maniera permanente attraverso l’uso. Percepire, pensare, sperimentare, sentire e agire; tutte queste azioni lasciano tracce mnemoniche. Se fino agli anni Ottanta del secolo scorso si trattava ancora di costrutti ipotetici, oggi possiamo rendere visibili queste tracce: possiamo fotografare e persino filmare le sinapsi, i legami plastici tra i neuroni in cui scorrono i segnali elettrici su cui si basa il funzionamento del cervello. E’ quindi possibile osservare il cambiamento durante il processo di apprendimento. Grazie alle metodiche di neuroimaging è pure possibile rilevare le dimensioni e l’attività di intere regioni dell’encefalo, e quindi mostrare gli effetti neuronali dei processi cognitivi.
Poiché il cervello impara sempre anche il tempo trascorso con i media digitali lascia le sue tracce. In questo caso bisogna anche tenere presente che il nostro cervello è frutto dell’evoluzione, e che si è formato in un lungo arco di tempo adattandosi a condizioni ambientali del tutto estranee ai media digitali. Così come molte patologie delle società evolute sono considerate l’espressione di uno squilibrio tra il modello di vita del passato (caccia e raccolta, quindi attività fisiche e alimentazione ricca di fibre) e lo stile di vita attuale (scarsa attività fisica, alimentazione povera di fibre), da un punto di vista evolutivo e neurobiologico è possibile comprendere meglio gli effetti negativi dei media digitali sui processi mentali. I processi e i meccanismi che condizionano abilità cognitive come l’attenzione. l’evoluzione del linguaggio o dell’intelligenza, sono numerosi e diversificati.[12]
Una piccola, ma significativa ricerca del 2012, commissionata da AVG, celebre casa di software che realizza antivirus e altri programmi per la sicurezza del computer, ha portato alla luce che oltre il 50% dei bambini tra i 2 e i 5 anni di età, sa già come giocare con un gioco per tablet di livello base, mentre appena l’11% di loro capisce come allacciarsi le scarpe… Spitzer soprattutto sottolinea come soltanto l’utilizzo del cervello porta alla ‘crescita delle aree cerebrali’ responsabili di una determinata funzione, paragonando il cervello ad un muscolo che soltanto se utilizzato evita di atrofizzarsi, nonostante per molto tempo si è pensato che l’attività mentale non modificasse il cervello. Quindi il cervello si modifica in base all’utilizzo; conseguentemente, se il cervello non viene utilizzato, ‘l’hardware neuronale viene smantellato’. Spitzer spiega e descrive come l’attività cerebrale influenzi il lavoro delle sinapsi, ossia la struttura altamente specializzata che consente la comunicazione delle cellule del tessuto nervoso tra loro (neuroni) o con altre cellule (cellule muscolari, sensoriali o ghiandole endocrine). Le sinapsi, argomenta Spitzer, mutano in continuazione, a seconda che vengano utilizzate o meno, esse si definiscono quando vengono sollecitate e si atrofizzano fino a morire quando rimangono inutilizzate:
Ricerche effettuate di recente dimostrano come le sinapsi vengano costruite, modificate, smantellate, eliminate e nuovamente ricostruite senza interruzione. Il cervello non è dunque un organo statico, bensì una specie di cantiere infinito, dove si producono le risorse in grado di adattare la struttura del sistema di elaborazione di informazioni agli stimoli più diversi. Il cervello muta in continuazione grazie all’attività mentale.[13]
Spitzer conclude sostenendo che la demenza è una forma di declino mentale che, come ogni deterioramento, ha una durata diversa in base all’”altezza” da cui parte. A sua volta questa altezza, corrispondente alla capacità funzionale della mente, ossia dipende (come nei muscoli) dall’allenamento. Conseguentemente l’allenamento mentale, la dinamica dell’apprendimento, si esegue con lo sforzo mentale, e ciò significa interagire attivamente con l’ambiente. Tramite l’apprendimento le sinapsi, ossia i legami tra i neuroni, si modificano e le capacità del cervello di conseguenza aumentano. Inoltre, nell’ippocampo, ossia la zona del cervello preposta alla memorizzazione dei contenuti, crescono nuove cellule nervose che sopravvivono quando vengono stimolate nel modo adeguato. I media digitali ed Internet hanno un effetto deleterio sull’apprendimento in quanto permettono solo un approccio meramente superficiale del contenuto, attivando conseguentemente un numero enormemente inferiore di sinapsi.
La conclusione è che il dialogo e la discussione personale sono insostituibili, l’uomo è un essere ‘sociale’ e non può sostituire il contatto primario tra le persone con i social network, nei quali più le pagine sono chiassose e colorate meno nozioni si imprimeranno nella memoria rispetto a un contatto diretto. La giornalista Enrica Perucchietti nel suo Cyberuomo, L’alba del transumanesimo e il tramonto dell’umanità, sottolinea la nascita della categoria di ‘idioti tecnologici’, e, riguardo l’utilizzo di Internet e degli smarthphone, conferma le tesi di Spitzer sui danni alla neuroplasticità del cervello. Tra i fenomeni più inquietanti di tale deriva la Perucchietti illustra il fenomeno dei ‘ragazzi Hikikomori’ (dal giapponese “stare in disparte”):
Consiste nel chiudersi nella propria stanza, passando il tempo su internet o a giocare ai video-game, fuggendo quindi al mondo reale per quello virtuale. Gli Hikikomori, di età compresa tra i 12 e i 30 anni, non escono di casa, non sono in grado di gestire le emozioni e arrivano a vivere isolati nelle loro camere da letto per mesi o anni. Iniziano a sentirsi inadeguati verso la società, manifestano problemi di relazione e non si piacciono fisicamente. Poco alla volta i sintomi diventano psicosomatici. Anche in Italia il fenomeno è in aumento e secondo le stime sta avendo un vero e proprio boom con centomila casi registrati.[14]
La storia dell’umanità ci insegna che il principale strumento di comunicazione è stata la parola, e soprattutto, l’interazione faccia a faccia costituiva la norma. Nelle culture orali le informazioni, le idee e le conoscenze venivano trasmesse verbalmente, e personalmente, da generazione in generazione, ciò ha creato la nostra particolare struttura cognitiva.Alla fine del XX secolo la tecnologia ha prodotto nuovi media come il cellulare e lo smartphone, Internet, i videogiochi, la televisione digitale, una vera e propria “rivoluzione digitale” delle comunicazioni che ha impattato inevitabilmente proprio su questa struttura cognitiva.
Il consumo indiscriminato di media digitali è anche causa di depressione, insonnia e dipendenza, inoltre la riduzione dei contatti sociali e l’insorgenza di varie tipologie di fobie sono considerati spesso effetti concomitanti, dinamiche che portano a ulteriori disturbi fisici a carico del sistema cardiocircolatorio e dell’apparato motorio fino alla demenza, così Spitzer:
Con l’età le condizioni depressive sfociano tra l’altro in processi degenerativi demenziali: lo stress ulteriore causato dalla depressione e l’aumento di ormoni dello stress nel sangue (presenti all’incirca nel 60% di tutti i pazienti depressi) danneggia il cervello. Gli ormoni dello stress provocano la morte neuronale. L’obesità e il diabete causano sul lungo periodo disturbi del metabolismo, che a loro volta si ripercuotono sul cervello e possono condurre alla demenza… In sostanza, numerosi meccanismi concomitanti favoriscono l’insorgenza di una demenza di origine digitale, i cui effetti si sommano tra loro.[15]
Le teorie di Spitzer furono anticipate dagli studi di McLuhan, tra le tesi proposte dal sociologo canadese vi è infatti quella per cui ogni nuova tecnologia (comprese la ruota, il parlato, la stampa), e oggi i Social Network, esercita su di noi una lusinga molto potente, tramite la quale ci ipnotizza in uno stato di “narcisistico torpore”; una totale immersione nelle logiche mediali conduce l’uomo alla condizione di “idiota tecnologico”, ovvero una sorta di narcosi e intorpidimento in grado di far perdere di vista la realtà.
Se non abbiamo gli anticorpi intellettuali adatti questo capita appena ne veniamo in contatto, e ci porta ad accettare come assiomi assoluti le assunzioni non neutrali intrinseche in quella tecnologia. Se invece riusciamo a evitare di esserne fagocitati, possiamo guardare quella tecnologia dall’esterno, con distacco, e a quel punto riusciamo non solo a vedere con chiarezza i principi sottostanti e le linee di forza che esercita, ma anche i mutamenti sociali diventano per noi un libro aperto, siamo in grado di intuirli in anticipo e (in parte) di controllarli.[16]
Non vogliamo prolungare tediosamente le citazioni anche perché, se pure diverremo dementi digitali, rimane pur sempre la possibilità dell’immortalità!
L’ispiratore del Progetto 2045, il miliardario russo Dmitry Itskov, imprenditore nel campo delle telecomunicazioni (New Media Star) è un critico della filosofia consumistica occidentale tutta protesa verso l’oggi senza interessi per il futuro. Ispirandosi alle ultime frontiere della ricerca scientifica, in particolare neuroscientifica, robotica, e intelligenza artificiale, Itskov ha fondato un movimento “umanistico” che ha come scopo l’ultima evoluzione della specie umana: l’immortalità cibernetica. Nel febbraio 2011 Itskov lanciò il suo progetto, una sorta di movimento sociale e globale di aggregazione di scienziati che lavorano nell’ambito medico, neuroscientifico, robotico, tecnologico e di intelligenza artificiale, ma anche di filosofi, teologi, visionari, personaggi pubblici, e quant’altro, disposti a perseguire un obiettivo comune: raggiungere una qualità di vita non migliore, ma assolutamente diversa. In sostanza, l’obiettivo di Itskov, il fine di questo “nobile” processo, sarebbe la produzione di una nuova divinità, una super-mente-collettiva-comune che egli denomina “super-essere”.[17] In parole semplici è quello che si definisce il mind uploading, ossia il trasferimento di una mente umana in una macchina pensante, nel merito Riccardo Campa specifica in maniera entusiastica che se iniziassimo a considerarci esclusivamente ‘esseri senzienti’ (e non più come individui della specie umana) ciò che rimane è soprattutto “informazione cerebrale” (coscienza, identità, ricordi, personalità, ecc)… Il supporto materiale dell’informazione è meno importante”.[18] Per ‘supporto materiale dell’informazione’ Campa ed i suoi colleghi transumanisti temo si riferiscano al nostro fastidioso, ingombrante e (a questo punto) inutile corpo. Così la World Transhumanist Association caratterizza questa nuova ‘specie’, il ‘postumano’: “I postumani potrebbero essere completamente sintetici (fondati su intelligenze artificiali) o potrebbero essere il risultato di una serie di incrementi parziali effettuati su esseri umani biologici o su esseri transumani. Certi postumani potrebbero persino decidere di sbarazzarsi dei loro corpi e di vivere all’interno di un supercomputer, assumendo la forma di informazione pura”. Campa però ammette mestamente che questa è per ora solo una possibilità teorica, ma rimane viva la speranza che “l’intera coscienza possa un giorno essere “scaricata” dalla scatola cranica al computer. Una speranza è, pur tuttavia, solo una speranza”.[19]
In conclusione, per i transumanisti se una persona non crede nella vita ultraterrena prospettata dalle religioni o, pur credendoci, vuole restare più a lungo in questo mondo, potrebbe prendere in considerazione questa eventualità e preferire la vita digitale alla morte corporale.[20] Per lo scienziato e filosofo Alberto Carrara la conseguenza di questo progetto sarebbe la perdita dell’unicità e della singolarità di ciascun essere umano che, come una goccia d’acqua, si fonderebbe nell’oceano collettivo di una mente virtuale digitalizzata.[21] Ma tutto sommato sarebbe un piccolo prezzo da pagare per l’immortalità… l’immortalità di un computer…
Quindi, conclude Riccardo Campa: “Meglio perire, mutare? Aspettiamo al varco i nemici delle nuove tecnologie, per vedere se sono coerenti con i loro anatemi”. Informiamo Campa che, anche se certi di ‘perire’, continueremo ad essere presenti e coerenti, per contrastare il futuro sordido e tetro che i transumanisti, con la loro fisiologica inclinazione verso l’estinzione di Homo sapiens, auspicano.
[1] Riccardo Campa, Mutare o Perire, La sfida del Transumanesimo, Orbis Idearum Press, Cracow (Poland), 2024, pag. 23.
[2] Anders Sandberg, Agorà, 2024
[3] Manifesto Associazione Italiana Transumanisti, 1999.
[4] Nick Bostrom, Intensive Seminar or Transhumanism, Yale, University, 26 giugno 2003.
[5] Estropico.blogspot.it.
[6] Nick Bostrom, Intensive Seminar or Transhumanism, Yale, University, 26 giugno 2003.
[7] FM – 2030, Are you a Transhuman?, Warner Books, London, 1989.
[8] Riccardo Campa, op. cit., pag. 261.
[9] Manfred Spitzer, Demenza Digitale, Corbaccio, Milano, 2013, pagg. 5-6.
[10] A. Giddens – P.W. Sutton, Fondamenti di Sociologia, Il Mulino, Bologna, 2014, pag. 270.
[11] Nicholas Carr, The Shallows, Norton New York, 2020.
[12] Manfred Spitzer, op. cit., pagg.12-13.
[13] Manfred Spitzer, Ivi, pagg.42-43.
[14] Enrica Perucchietti, Cyberuomo, Arianna Editrice, Bologna, 2019, pagg. 79-82.
[15] Manfred Spitzer, op. cit., pag.235.
[16] Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967, pagg. 19-20.
[17] Alberto Carrara, Il Movimento Transumanista più rilevante: analisi neurobioetica del Progetto 2045, in Il Transumanesimo, Mimesis, (Milano-Udine), 2024, pagg. 86-91..
[18] Riccardo Campa, op. cit., pag. 74.
[19] Riccardo Campa, Ivi., pag. 75.
[20] Riccardo Campa, Ibidem.
[21] Alberto Carrara, Il Movimento Transumanista più rilevante: analisi neurobioetica del Progetto 2045, in Il Transumanesimo, Mimesis, (Milano-Udine), 2024, pag.100.
