(AGENPARL) - Roma, 26 Novembre 2025«La genesi del secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana costituisce una delle più alte espressioni della cultura giuridica del Novecento e, al tempo stesso, uno dei luoghi simbolici in cui la riflessione personalista, in particolare nella declinazione mirabilmente elaborata da Aldo Moro, trovò la sua più compiuta traduzione normativa. Nel dibattito dell’11 settembre 1946 della Prima Sottocommissione dell’Assemblea Costituente emerge infatti, con limpida intensità, la tensione tra concezioni differenti del costituzionalismo e della funzione dello Stato, tra l’eredità dello Stato liberale ottocentesco e la nuova esigenza di un ordinamento che, pur radicato nel riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, li inscrivesse in un quadro relazionale e comunitario in cui la dignità della persona fosse realmente promossa attraverso la rimozione degli ostacoli che ne impediscono l’effettivo sviluppo. Le discussioni, testualmente riportate nel resoconto ufficiale, si aprono con l’esigenza di determinare l’architrave valoriale dell’ordinamento repubblicano, bilanciando il tradizionale riconoscimento dei diritti civili e politici con l’affermazione di doveri inderogabili di solidarietà, come richiesto da Dossetti nelle prime battute della seduta. In questo scenario si colloca l’intervento moroteo che, pur non essendo il più esteso, è certamente quello che imprime alla discussione una profondità teorica capace di orientare in modo decisivo la futura formulazione del principio. Moro, con la sua consueta capacità di coniugare rigore giuridico e sensibilità umanistica, invita i colleghi costituenti a riconoscere che il “pieno sviluppo della persona umana” non è una formula retorica, ma l’asse portante dell’intero edificio costituzionale. L’uomo, nella prospettiva morotea, è persona nella misura in cui è inserito in una trama relazionale che ne alimenta la libertà, l’autonomia e la responsabilità; persona che non si esaurisce nella dimensione dell’individuo isolato, ma che si radica nella comunità politica, della quale è insieme fondamento e fine.
Proprio questa interpretazione consente di leggere la previsione costituzionale non come un impegno astratto, bensì come un obbligo giuridico che vincola la Repubblica a intervenire per eliminare le condizioni materiali che rendono la libertà puramente nominale e la partecipazione un privilegio riservato a pochi. Le discussioni riportate nel Resoconto sommario della seduta di mercoledì 11 settembre 1946, in cui Moro precisa il nesso inscindibile tra sviluppo personale e partecipazione politica, economica e sociale, mostrano con chiarezza questa prospettiva: il pieno sviluppo non è concepibile senza la possibilità di concorrere responsabilmente alla vita della comunità, e la partecipazione non può essere esercitata in assenza di condizioni materiali adeguate. Il principio di rimozione degli ostacoli si configura così come un dispositivo normativo essenziale per dare concretezza al personalismo costituzionale: lo Stato non è più soltanto garante di libertà negative, ma si fa promotore di condizioni reali di esistenza, orientando la propria azione alla costruzione di uno spazio pubblico in cui la dignità possa tradursi in effettiva possibilità di scelta, relazione e progetto. Nelle pagine centrali della seduta emergono in modo particolarmente significativo le discussioni sulla natura degli “ostacoli”: essi non sono più, come nell’impianto liberale, meri impedimenti giuridici, ma diventano fattori economici, sociali e culturali che “limitano di fatto” la libertà dei cittadini. L’introduzione dell’espressione “di fatto”, come testimonia il resoconto, rappresenta una svolta concettuale di assoluta originalità, poiché estende la sfera dell’azione costituzionale all’ambito delle condizioni materiali della vita umana, riconoscendo implicitamente che la libertà giuridica non è sufficiente se non è accompagnata da strumenti idonei a renderla effettiva. Tale espansione semantica coincide perfettamente con il pensiero di Moro, per il quale l’uomo non può essere considerato libero se è oppresso dalla miseria, dall’esclusione o dall’ignoranza: ostacoli invisibili ma potentissimi, che privano la persona della capacità di esercitare realmente quei diritti che l’ordinamento le riconosce formalmente. L’intervento moroteo illumina un tratto essenziale della futura architettura costituzionale: la dignità, per essere riconosciuta, deve essere resa possibile; e per essere possibile, deve essere sostenuta da un insieme di strutture istituzionali che promuovono la persona non dall’esterno, ma dal suo interno, accompagnandone l’autonomia e la responsabilità.
La solidarietà, di cui si discute ampiamente nella Prima Sottocommissione, viene così reinterpretata non come un generico principio etico, ma come il fondamento operativo dell’eguaglianza sostanziale: essa consente di superare tanto l’individualismo atomistico quanto ogni forma di comunitarismo livellante, ponendo al centro dell’ordinamento la persona nella sua duplice dimensione di libertà e legame sociale. In questo senso il pensiero moroteo offre una chiave di lettura rigorosa e profondamente innovativa del principio di eguaglianza. Egli non concepisce l’eguaglianza come uniformità né come sottrazione delle differenze, ma come capacità dell’ordinamento di produrre le condizioni affinché ogni persona possa realizzarsi secondo la propria vocazione, contribuendo al bene comune in una prospettiva di reciproco riconoscimento. La diversità, dunque, non è un ostacolo da rimuovere, ma un valore da tutelare; e la rimozione degli ostacoli non è uno strumento di livellamento sociale, bensì un mezzo per rendere ciascuno davvero libero di partecipare alla vita della comunità. L’elaborazione della norma non fu tuttavia priva di difficoltà e resistenze. Le ultime pagine della seduta testimoniano le preoccupazioni di alcuni membri della Sottocommissione, in particolare Lucifero, circa il rischio di un’eccessiva programmaticità della disposizione, che avrebbe potuto trasformare la Costituzione in un manifesto politico anziché in un testo normativo. Tali perplessità, pur legittime, vengono superate grazie a un equilibrio che riflette ancora una volta la visione morotea del diritto: una Costituzione “aperta”, capace di orientare la legislazione senza soffocare l’iniziativa democratica; un testo che non imponga strumenti dettagliati ma indichi un orizzonte teleologico vincolante, lasciando al legislatore la responsabilità di tradurlo in politiche adeguate. Il secondo comma dell’art. 3 diviene così una norma fondamentale dell’ordinamento, non una enunciazione meramente programmatica ma un vero e proprio criterio di valutazione della legittimità dell’azione legislativa, come la successiva giurisprudenza costituzionale confermerà con chiarezza. Ciò che rende il contributo moroteo unico e decisivo è la sua capacità di interpretare la Costituzione come atto di nascita di una comunità politica fondata sulla dignità della persona e orientata verso la sua piena realizzazione. La rimozione degli ostacoli non è dunque un obiettivo amministrativo, ma un dovere repubblicano che discende direttamente dalla centralità della persona.
Nella visione di Moro, la Repubblica è custode della libertà, ma anche promotrice della responsabilità; è garante dei diritti, ma anche artefice delle condizioni che li rendono reali; è ordinamento giuridico, ma anche comunità di persone che concorrono al bene comune attraverso la partecipazione, la solidarietà e il rispetto reciproco. L’articolo 3, comma 2, è così la sintesi perfetta della sua visione: una norma che riassume la funzione più alta dello Stato democratico, che non consiste nel dirigere la vita delle persone, ma nel liberarli da ciò che ne impedisce la piena umanità. La Costituzione italiana, grazie all’apporto intellettuale e umano di Aldo Moro, assume così il volto di una Repubblica che riconosce la persona non come un individuo isolato ma come un essere in relazione, chiamato a costruire insieme agli altri un ordine politico giusto, inclusivo e orientato alla dignità di tutti.»
Paolo Cancelli, Ministro Integrazione Culturale Nazionale e Internazionale MI