(AGENPARL) - Roma, 6 Novembre 2025(AGENPARL) – Thu 06 November 2025 LIBERTÀ – Ritratto di un quartiere
Libertà è un mosaico di volti, storie, accenti e sguardi che vengono da lontano e che, qui, si intrecciano. Libertà è
confusione e vitalità, ferite e rinascite. È degrado e poesia, violenza e abbracci, domande aperte e risposte in attesa,
bellezza decadente.
È un quartiere ai margini, dove le vetrine vuote e i negozi sbarrati restituiscono malinconia. Ma è anche un luogo di
resistenza silenziosa, dove piccole realtà coraggiose continuano a respirare, a sognare, a costruire. Dove cittadini e
cittadine, lontani dai riflettori, si organizzano, lottano, tengono insieme i pezzi e immaginano un domani possible.
Francesca Palumbo
Due importanti landmark segnano lo skyline del
quartiere Libertà: uno visibile da via Crisanzio uno da
via Garruba; il campanile del Redentore e la
ciminiera della Manifattura. Ma dove inizia quella che
in un seminale libro di Uliano Lucas viene definita “La
città all’ovest”? e dove finisce?
“In via Manzoni è il confine. Talvolta si sposta in via
Quintino Sella la linea di demarcazione, per certe
faccende di cosa pubblica. Numeri pari e numeri dispari.
Di qui Murat, di là Libertà. Ma in certi giorni è via Sagarriga
Visconti il fronte mobile, la trincea che passa di mano.
Dall’altra parte, il margine ha già scavalcato via Brigata
Regina e circonda il cimitero in un largo abbraccio. A sud
ci sono i binari … e la ferrovia sopraelevata s’infila a
mezz’aria prima della curva. Il più lungo viadotto
d’Europa, nel 1915. Un chilometro di Metropolis teso
dall’ing. Porcheddu … A nord il mare nascosto, chiuso a
chiave dietro la cancellata.” (tratto da Bari-Libertà: una
metafora. Nicola Signorile in La città all’ovest di Uliano
Lucas – Edizioni Recherche, 2007).
All’interno di questo perimetro convivono circa
40.000 persone (anche se stime più recenti parlano
di 65.000), con una densità abitativa 10 volte
maggiore di quella media della città di Bari. Questa
convivenza stretta e in qualche modo forzata, che ha
portato negli ultimi decenni a vivere fianco a fianco,
autoctoni e persone delle più disparate etnie,
occupando tutti gli spazi di un’edilizia sempre più
fatiscente, ha reso il quartiere Libertà quello che, con
estrema superficialità, viene generalmente definito
“un quartiere difficile”. Ma proprio per questa sua
complessità, non solo il quartiere Libertà merita di
essere raccontato, ma diventa sempre più
indispensabile farlo. Come scelta etica e politica.
La gente che anima il quartiere ha il viso segnato.
Non è solo la fatica dei volti a colpire. Le espressioni
facciali sono autostrade verso una meta, una
possibilità di riscatto, o difesa. Segni, rughe,
tatuaggi, sguardi fieri o persi, testimonianze di
resistenza in un presente che non promette velleità
o una qualche forma di futuro, se non la propria
incondizionata determinazione a resistere, con
poche risorse, e una marginalità esistenziale che si
fa cifra individuale, persistente e a tratti
dignitosamente disperante. Schiva ed essenziale la
comunicazione, quasi telegrafica, si poggia su un
linguaggio cifrato, quasi criptico, che odora di sudore
e di sforzo, di complicità tra pari, un codice interno
