(AGENPARL) - Roma, 4 Novembre 2025(AGENPARL) – Tue 04 November 2025 Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui
Comunicato Stampa
4 novembre 2025
Save the Children, 1 minore su 5 al mondo vive in zone di conflitto, per un totale di oltre 520 milioni. Le gravi violazioni contro bambini e adolescenti accertate in queste aree sono aumentate del 30%, oltre metà di esse sono avvenute nel Territorio palestinese occupato, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria e Somalia.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione, ‘Stop the war on children: Security for Whom?’ si registra il maggior numero di conflitti tra Stati dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Organizzazione invita gli Stati a rispettare il diritto internazionale umanitario, a garantire un accesso umanitario sicuro, ad aumentare i finanziamenti mirati per i bambini nelle emergenze
Nel 2024 è stato registrato un numero record di 520 milioni di bambini e adolescenti presenti in zone di conflitto attivo, ovvero oltre uno su cinque a livello globale. Lo stesso anno ha registrato il maggior numero di conflitti tra Stati dalla fine della Seconda Guerra Mondiale[1] e un aumento del 30% delle gravi violazioni contro i minori nei conflitti accertate, con numeri record di uccisioni, mutilazioni, aggressioni sessuali e rapimenti. È quanto emerge dal nuovo rapporto ‘Stop the war on children: Security for Whom?’ di Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro.
Il rapporto ha evidenziato un numero senza precedenti di gravi violazioni contro bambini e adolescenti nei conflitti lo scorso anno, pari a 41.763, un aumento del 30% rispetto al 2023 – che già rappresentava l’anno record da quando sono iniziate le rilevazioni – e circa il 70% in più rispetto al 2022[2].
Oltre la metà delle violazioni si è verificata in quattro luoghi: Territorio palestinese occupato, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria e Somalia.
Questa impennata di violazioni si sta verificando in un contesto di esposizione ai conflitti senza precedenti: il numero di minori che vivono in zone di conflitto, infatti, è cresciuto del 60% dal 2010, mentre quello delle gravi violazioni accertate è aumentato del 373%. Un dato quest’ultimo che dimostra come i conflitti non solo sono più frequenti, ma sono anche molto più letali e brutali per i più piccoli.
Il rapporto mette in discussione l’approccio mondiale alla sicurezza, evidenziando come meno del 2% della spesa globale in questo ambito sia destinato al peacebuilding o al peacekeeping, nonostante i budget militari da record. Ma i dati schiaccianti del rapporto di Save the Children dimostrano che l’attenzione globale alla sicurezza militare e statale non è riuscita a proteggere i bambini dai danni più gravi.
Nel 2024 oltre l’11% della superficie terrestre si trovava entro un raggio di 50 km da un evento di conflitto – la percentuale più alta mai registrata – e il numero di eventi legati ai conflitti registrati a livello globale è passato a quasi 27.000 dai 24.000 del 2023. L’Africa ora ha sia il numero che la percentuale più elevati di minori che vivono in zone di conflitto, 218 milioni colpiti – il 32,6% della popolazione infantile del continente – una percentuale che supera quella del Medio Oriente per la prima volta dal 2007[3].
In media, 78 bambini al giorno nelle zone di conflitto hanno subito gravi violazioni – ovvero più di sette squadre di calcio – oltre all’esposizione ad attacchi a scuole e ospedali e al blocco degli aiuti umanitari da parte di gruppi e forze armate[4].
Il rapporto “Stop the War on Children: Security for Whom?” ha analizzato il numero di gravi violazioni contro i minori accertate nei conflitti da quando è iniziato il rilevamento, includendo crimini come uccisioni e mutilazioni, rapimenti, violenza sessuale, reclutamento e uso in gruppi e forze armate, attacchi a scuole e ospedali e negazione dell’accesso umanitario ai più piccoli. Dall’inizio della rilevazione nel 2005, sono state accertate oltre 400.000 gravi violazioni contro i minori nei conflitti in 33 Paesi nel mondo, quasi 160.000 minori uccisi o mutilati e oltre 100.000 reclutati e impiegati da forze e gruppi armati.
“Questo rapporto non si limita a snocciolare dati e percentuali: racconta storie di vite spezzate. Parla di Ali, costretto a fuggire dal nord di Gaza con i suoi sette fratelli, così gravemente malnutrito da aver sviluppato l’osteomalacia – la “malattia delle ossa molli” – e ora non può più camminare. Parla di Bahati, 12 anni, la cui scuola nell’est della Repubblica Democratica del Congo è stata attaccata, e che ha dovuto camminare per due giorni sotto il fuoco incrociato. Parla di milioni di bambini e bambine nel mondo che vivono immersi nel terrore, nel dolore, nel lutto, nella fame e nella sofferenza.”, ha dichiarato Inger Ashing, Direttrice Generale di Save the Children International. “Il mondo è a un bivio. I conflitti armati aumentano, le gravi violazioni contro i minori raggiungono livelli record, mentre il sistema umanitario e le Nazioni Unite vacillano. In questo scenario incerto, un principio deve guidare ogni trasformazione: i bambini devono essere al centro. La vera sicurezza non si misura in armi o muri, ma nella possibilità per ogni bambino di vivere libero dalla paura, di andare a scuola, di crescere protetto. Gli Stati devono agire con decisione per prevenire i conflitti, promuovere la pace, proteggere l’infanzia, garantire giustizia, coinvolgere ed ascoltare davvero bambini e adolescenti.”
“Le nostre stime mostrano che il numero di minori che vivono in zone di conflitto ha raggiunto un livello record lo scorso anno: 520 milioni, più di uno su cinque in tutto il mondo. Con un numero senza precedenti di bambini e adolescenti a rischio e con i bilanci degli aiuti sotto forte pressione, la necessità di proteggere i minori coinvolti nei conflitti non è mai stata così urgente. Dietro ogni numero c’è un bambino la cui sicurezza, istruzione e futuro sono a rischio. L’Africa è oggi il continente con il numero e la percentuale più elevati di minori che vivono in zone di conflitto. Dobbiamo garantire che ogni bambino, ovunque sia nato, sia protetto dagli impatti devastanti della guerra” ha detto Gudrun Østby, Professoressa di Ricerca presso il Peace Research Institute di Oslo.
Save the Children invita gli Stati a rispettare il diritto internazionale umanitario, a garantire un accesso umanitario sicuro, ad aumentare i finanziamenti mirati per i bambini nelle emergenze e ad approvare e attuare trattati e dichiarazioni chiave che tutelino i minori e l’istruzione nelle zone di guerra.
È fondamentale sviluppare strategie nazionali per la pace, integrare l’educazione alla pace nei sistemi scolastici e affrontare le cause profonde dei conflitti. Serve un’azione urgente per garantire l’accertamento delle responsabilità in caso di violazioni contro i minori, rafforzando i meccanismi di giustizia a livello internazionale e nazionale, sostenendo l’agenda delle Nazioni Unite sui Bambini e i Conflitti Armati (CAAC) e promuovendo un elenco imparziale dei responsabili. Infine, le voci dei bambini e degli adolescenti devono essere ascoltate e valorizzate nei forum globali, regionali e nazionali sulle questioni che affrontano le questioni cruciali per il loro futuro.
Il Governo italiano, nel suo ruolo in seno al Consiglio Diritti Umani, può e deve continuare a porre l’attenzione sui diritti dei bambini e delle bambine nei conflitti armati. Le istituzioni multilaterali sono il luogo nel quale i diritti dell’infanzia devono tornare a essere tutelati e difesi.
Qui si può scaricare il rapporto: https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/stop-war-children-security-whom
Link alla pagina web interattiva: https://data.stopwaronchildren.org/
[1]Analisi aggiornata sul numero e sulla percentuale di minori che vivono in zone di conflitto condotta dal Peace Research Institute Oslo (PRIO). Il set di dati principale utilizzato per mappare i modelli di conflitto in questo rapporto è il Georeferenced Event Data Set (UCDP GED) dell’Uppsala Conflict Data Program fino al 2024. Per stimare il numero di bambini e adolescenti che vivono in aree di conflitto e, più in generale, la popolazione, il PRIO ha incrociato i dati sul conflitto con i dati sulla popolazione del Gridded Population of the World (GPW) e delle UN World Population Prospects. Il PRIO utilizza la definizione di conflitto armato dell’UCDP: “forza armata usata da un attore organizzato contro un altro attore organizzato, o contro civili, che provoca almeno 25 morti legate alla battaglia in un anno solare”.
[2] Analisi del rapporto annuale ONU 2025 del Segretario Generale su minori e conflitti armati (CAAC), basato sui dati riportati e verificati nel 2024. L’analisi si basa anche sulla precedente mappatura di Save the Children del numero di gravi violazioni nei rapporti CAAC 2005-2024. Il rapporto CAAC monitora l’uso militare di scuole e ospedali, ma non lo registra come gravi violazioni. In questo rapporto, anche l’uso militare di scuole e ospedali è considerato una grave violazione. Gli episodi di utilizzo verificati vengono quindi aggiunti alla categoria di gravi violazioni “attacchi a scuole e ospedali”. Questa metodologia è stata scelta per fornire un quadro più completo dei danni subiti dai minori in ciascun contesto nazionale.
[3] Una “zona di conflitto” è definita come un’area entro 50 km dal luogo in cui si verificano uno o più incidenti di conflitto in un dato anno, all’interno dei confini di un Paese.
[4] Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha individuato sei gravi violazioni contro i bambini in situazioni di conflitto armato: uccisione e mutilazione di minori; reclutamento o utilizzo di minori da parte di forze e gruppi armati; violenza sessuale contro minori; rapimento di minori; attacchi contro scuole e ospedali; e diniego di accesso umanitario per i minori. Queste gravi violazioni sono state definite sulla base della loro natura eclatante e del loro grave impatto sul benessere di bambini e adolescenti. Oltre alle sei violazioni, il Relatore speciale delle Nazioni Unite sui minori e i conflitti armati ha verificato i casi di detenzione di bambini dal 2012 e li ha presentati nel suo rapporto annuale.
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