(AGENPARL) - Roma, 27 Ottobre 2025(AGENPARL) – Mon 27 October 2025 COMUNICATO STAMPA
** La solitudine del lutto:
l’esperta spiega come affrontare la perdita quando il dolore torna a farsi vicino
————————————————————
Dalla festa di Halloween alle ricorrenze di Ognissanti e dei defunti, fino alle notizie di cronaca che riaccendono ricordi personali. L’esperta spiega come si attraversano – senza superarli – i momenti legati alla perdita di una persona cara, di un amico o di un animale
Milano, 27 ottobre 2025 – La scomparsa ravvicinata di tanti personaggi noti riporta la morte nelle nostre conversazioni, ma il vero tema va oltre la cronaca o ad Halloween.
Ogni notizia diventa un richiamo a qualcosa di più profondo. Sono i dolori personali che restano, quelli che non finiscono mai del tutto e che ognuno porta in silenzio.
“Il dolore della perdita non chiede di essere guarito, ma accolto. Ciò che ferisce – spiega Alessandra Bitelli, coach e autrice de “Il primo romanzo utile del coaching (https://dileandro.com/prodotto/il-primo-romanzo-utile-del-coaching-di-alessandra-bitelli/) ” – non è la morte in sé, ma la difficoltà di chi ci circonda a restare. La fuga degli altri, l’imbarazzo di chi non sa cosa dire o come comportarsi, finisce per rendere quel dolore ancora più silenzioso e profondo”.
Il lutto può avere molti volti, da quello della perdita di una persona, di un animale o di un legame che ha dato senso alla nostra vita. Alessandra Bitelli risponde alle domande più comuni su come si attraversa – anche se non si supera – un dolore che fa parte di tutti.
D: Perché la morte di VIP ci colpisce così tanto?
* Bitelli: “Perché anche se non li conosciamo, fanno parte del nostro paesaggio emotivo. Quando se ne vanno, ci ricordano che nessuno è al riparo. Ogni perdita pubblica risveglia un dolore privato, riporta in superficie le nostre assenze, quelle che credevamo sopite. È un effetto a catena: la morte di chi è “lontano” ci avvicina a chi non c’è più nella nostra vita, e a volte persino a noi stessi”.
D: Cosa si prova quando si perde qualcuno di importante nella nostra vita?
* Bitelli: “Quel posto non resta vuoto perché diventa immenso. Si percepisce una mancanza che non si limita al ricordo, ma invade i gesti quotidiani. Ogni oggetto, ogni suono, ogni abitudine diventa un rimando. Il lutto è un’altalena di emozioni che vanno dall’incredulità alla rabbia fino all’accettazione. E la rabbia serve spesso a spostare altrove il dolore, a trovare un colpevole che non sia noi stessi. È una forma di difesa temporanea, necessaria per sopravvivere a un senso di impotenza assoluto. Nella perdita c’è sempre un momento in cui si riavvolge il nastro e si pensa a tutto ciò che si sarebbe potuto fare diversamente. E quasi sempre arriva anche quella sensazione sottile di non aver fatto abbastanza, di non aver detto o dato tutto ciò che si poteva. È il modo in cui cerchiamo di dare un senso a qualcosa che non ne ha”.
D: Cosa rende il lutto così difficile da affrontare?
* Bitelli: “Il fatto che non preveda ritorno. In una società che corregge tutto, dalla pelle all’umore, la morte è l’unica cosa che non si può aggiustare. È l’irrevocabilità che spaventa, quel senso di “non reversibilità” che lascia disarmati. All’inizio il dolore è un colpo secco, acuto, che paralizza. Poi, con il tempo, si trasforma in un torpore, una malinconia silenziosa che prende spazio lentamente.
E quando il mondo smette di chiederti come stai, la solitudine del lutto entra con prepotenza. È lì che si capisce che il dolore non passa, semplicemente cambia forma”.
D: E’ vero che il tempo guarisce tutto?
* Bitelli: “No. Il tempo non guarisce. Copre, smussa, ma non cancella. È l’abitudine a fare il resto, quella capacità umana di continuare a vivere nonostante tutto. Ma proprio quando il dolore diventa più silenzioso arriva il paradosso, perché non è più concesso soffrire. Socialmente la tristezza ha una scadenza, come se esistesse un tempo massimo per il dolore. Dopo qualche mese, chi soffre deve reagire, tornare alla normalità, fingere che tutto vada meglio. È una pressione sotterranea che pesa quanto la perdita stessa”.
D: Come reagiscono gli altri davanti al dolore?
* : “Con imbarazzo. C’è chi cambia discorso, chi dice “so che non vuoi parlarne” quando in realtà è lui a non voler ascoltare. La sofferenza mette a disagio perché non si sa gestire. Eppure chi ha perso qualcuno ha spesso un bisogno vitale di parlarne, di far vivere ancora quella persona attraverso le parole. Si dice che gli amici si riconoscano nel momento del bisogno. Ecco, nel lutto questo bisogno si traduce in un desiderio disperato di conforto, di accoglienza, di poter nominare ciò che si è perso senza sentirsi un peso”.
D: Perché la morte ci coglie sempre impreparati?
* : “Perché la vita ci abitua a pensare che tutto sia risolvibile. E la morte è l’unica eccezione. Mio padre diceva che nonostante sia l’unica certezza che abbiamo nella nostra vita, quando accade non siamo pronti e ci sorprendiamo. Chi piange non lo fa solo per chi non c’è più, ma anche per sé, per il senso di impotenza, per la consapevolezza che nulla sarà più come prima. È un dolore che parla anche di noi, del nostro bisogno di controllo e della nostra paura di perderlo”.
D: Perché facciamo così fatica a convivere con l’idea della morte?
* Bitelli: “Viviamo in un mondo che rimuove ciò che non è produttivo, che non serve, che non si può ottimizzare. La morte non rientra in nessuna di queste categorie. È lenta, definitiva e inaccettabile per una cultura che corre e vuole dimenticare. Eppure è proprio in questa lentezza che il lutto insegna qualcosa: a fermarsi, a dare valore al silenzio, a comprendere che la vita non si misura in quanto dura, ma in quanto lascia”.
D: Quando finisce la “licenza” di soffrire?
* Bitelli: “Molto presto. Dopo poche settimane, a volte giorni, l’ambiente intorno smette di autorizzare la tristezza. Si teme il contagio emotivo, si pensa che parlare del dolore significhi non voler reagire. E allora chi soffre si chiude, finge, sorride per non turbare. Ma la sofferenza non si risolve distraendosi. Si attenua solo quando viene riconosciuta, accolta, ascoltata senza giudizio”.
D: Sembra che tu ne abbia esperienza…
* Bitelli: “Sì. Sono cresciuta in una una famiglia in lutto, e questo mi ha insegnato che l’amore non ha bisogno di parole, né di promesse, né di social. Serve presenza, anche silenziosa. Ho imparato a rispettare il dolore degli altri, a non riempirlo di frasi inutili. I miei genitori, anche inconsapevolmente, mi hanno insegnato a vedere oltre la mancanza fisica, a tendere una mano, a far sentire un po’ meno soli. L’amore, quello vero, non consola: accompagna”.
Rita Tosi
Business&PR
Giornalista, Manager della Comunicazione e Pubbliche Relazioni
ritatosi.it (https://ritatosi.it/)
linkedin.com/in/rita-tosi (https://www.linkedin.com/in/rita-tosi/)
facebook.com/rita.tosi
============================================================