
(AGENPARL) – Sun 19 October 2025 La consulenza patrimoniale come professione del futuro.
IL SIGNIFICATO DELLA CONSULENZA FINANZIARIA IN UNA SOCIETA’ SOSTENIBILE
By manlio marucci*
Roma, 18 ottobre 2025 – In un quadro dinamico fortemente capeggiato da forti incertezze nei rapporti umani e sociali, in cui le decisioni degli orientamenti politici sono subordinati da logiche psicologiche e imprenditoriali al fine di ottenere la massimizzazione del maggior profitto; in cui gli attuali scenari hanno condizionato le basi di una società aperta ai valori del rispetto della persona umana; in cui la finanza sta imponendo il suo modus operandi in forma totalitaria sostituendosi ai tradizionali processi di sviluppo economico, sta emergendo nella società moderna una nuova figura professionale, “il Consulente Patrimoniale”. Figura che vuole coprire le lacune della consulenza finanziaria classica per soddisfare le esigenze del vasto patrimonio detenuto dalle famiglie italiane e non solo.
Soprattutto ne emerge la sua esigenza in questa recente fase di trasformazione che sta interessando tutto il settore del credito e dell’intero sistema bancario, assicurativo ed immobiliare nonché dell’applicazione avanzata delle nuove tecniche dell’AI al mondo della finanza.
Da oltre dieci anni, ed in particolar modo da quando gli effetti della crisi del 2008 hanno consolidato la sensazione di insufficiente efficacia della consulenza finanziaria rispetto ai bisogni della clientela variamente patrimonializzata, si è fatto strada il concetto di consulenza patrimoniale, inteso come attività professionale all’interno della quale la gestione del patrimonio mobiliare rappresenta solo una parte. Nel corso degli anni, poi, dalla semplice definizione concettuale si è passati all’attribuzione di un contenuto e delle caratteristiche di questa professione, sulla quale sussiste ancora un certo grado di indeterminatezza legato, più che mai, all’assenza di una specifica disciplina giuridica. Infatti, come è già successo nella seconda metà del secolo scorso per la nascente professione di consulente finanziario, anche quella del consulente patrimoniale viene di fatto già svolta e, in un certo modo, auto regolamentata prima ancora di una sua previsione nel nostro ordinamento, e questo la rende estremamente inclusiva ma piuttosto vulnerabile.
Già, negli anni ‘70-’80 i primi fondi comuni di investimento venivano distribuiti senza alcuna regolamentazione da reti di “consulenti-venditori”, e solo agli inizi degli anni ’90 il sistema venne disciplinato grazie all’istituzione delle SIM (società di intermediazione mobiliare) e dell’albo dei promotori finanziari. Prima di allora, chiunque poteva vendere fondi comuni, e chiunque si fregiava, solo per questo, del titolo di “consulente finanziario”. Stessa cosa sta accadendo adesso, e in assenza di una disciplina giuridica molte professioni stanno rivendicando, alcune impegnandosi lodevolmente in modo ordinato e trasparente, altre in modo disordinato, i contenuti di una nuova professionalità che “va oltre” quella del consulente finanziario, dell’avvocato, del notaio e del commercialista, solo a titolo di esempio. Il consulente patrimoniale, infatti, a differenza del consulente finanziario abilitato fuori sede, non affronterà solamente il tema della consulenza di investimento, ma dovrà occuparsi di questioni che “invadono” l’area di competenza tipica di altre professionalità e che richiedono la conoscenza di ogni dettaglio relativo alla famiglia, alla sua composizione (allargata agli ascendenti), ai risparmi, alla gestione delle entrate e delle uscite, alla previdenza, agli impegni finanziari, alla situazione debitoria, al patrimonio immobiliare ed ad altro ancora, fino ad arrivare ai problemi inerenti le crisi familiari e quelli della pianificazione successoria e del passaggio generazionale. A maggior ragione oggi nel settore del credito che con l’applicazione delle nuove tecnologie informatiche e dell’AI viene richiesta una professionalità ed una consulenza ad ampio spettro
Tutte competenze, pertanto, che richiedono una specifica formazione e che, per le loro caratteristiche, non potrebbero che essere di livello universitario. Questo basta per comprendere come non sia sufficiente, per alcune banche-reti, fregiare i propri consulenti finanziari del titolo di “consulente patrimoniale” solo in virtù della frequentazione di un corso di formazione di due o tre mesi e della consegna di un attestato. Ancora di più, è inopportuno attribuirsi da soli una simile qualifica, magari per via di un percorso di conoscenza personale, per potersi definire consulenti patrimoniali. Di certo, se volessimo individuare una formazione ed una esperienza fortemente “propedeutiche” a quella del consulente patrimoniale, il consulente finanziario sembra essere la figura più adatta per storia, prossimità alla famiglia-cliente e abilità nella gestione della relazione; essa però si scontra con innegabili (e del tutto logiche) carenze di preparazione difficilmente colmabili senza una preparazione universitaria almeno triennale o (almeno) di un master di pari livello. Pertanto, la scelta di limitare il contenuto della consulenza patrimoniale al rilascio di una semplice certificazione di basso valore pubblicistico oggi appare dettata dalla paura delle altre professioni di dover cedere una fetta di “sovranità culturale” e di mercato ad una nuova figura professionale che, sebbene limitatamente ad alcuni aspetti specifici, le comprende tutte.
In realtà, questa paura non ha alcuna ragione di esistere, poiché la previsione legislativa di un albo dei consulenti patrimoniali, cui accedere solo dopo aver superato uno specifico corso di laurea – o altri corsi equipollenti – ed un esame attitudinale, avrebbe il compito di disciplinare, oltre ai contenuti, la giungla di tariffe e parcelle che, al momento, domina confusamente il nuovo contesto. Inoltre, la sua previsione normativa attribuirebbe notorietà alla professione e assicurerebbe un percorso di crescita alle nuove generazioni di consulenti finanziari, avvocati, commercialisti (ecc.) all’interno di un nuovo mercato di sbocco, senza dover per questo “invadere” le aree di competenza delle altre professioni. Proprio la consulenza patrimoniale assicurerebbe alle categorie professionali unite in team un notevole aumento del fatturato e dell’indotto, che è impossibile non considerare.
Il lavoro in team con gli altri professionisti, infatti, è l’unica strada possibile, da percorrere sotto l’egida di un corpo di leggi e regolamenti che ne preveda la forma giuridica, il contenuto, il valore economico e il metodo di “ingaggio” consentito al consulente, il quale potrà far accedere i clienti alla consulenza patrimoniale – come “condizione di procedibilità” – solo dopo aver curato la redazione di un “questionario esteso” che la stessa ESMA-IOSCO-MEF ed Autority interessate per favorire quel processo integrato nella assistenza ai clienti e potenziali investitori. Non è neanche ipotizzabile, a mio avviso, un conflitto di interessi all’interno delle varie tipologie delle sezioni (offerta fuori sede, fee only e scf) disciplinate dall’OCF (Organismo dei consulenti finanziari) ma andrebbe a completare in modo omogeno la stessa attività di consulenza finanziaria al vasto popolo dei risparmiatori.
Il processo di consulenza patrimoniale, va sottolineato, è rivolto sia alle famiglie che alle imprese, e mette al centro di ogni progetto la persona (o la persona-imprenditore) osservando essenzialmente in modo più inclusivo quelle tipiche del processo di consulenza finanziaria.
Un percorso di legittimazione che non può essere visto che in un quadro nuovo legislativo che ne convalidi l’esigenza di questa figura professionale- oggi quanto mai necessaria e richiesta dalle condizioni oggettive del mercato finanziario – nell’interesse di tutta la comunità sociale.
*(presidente federpromm)
———————————— a cura della Redazione ——————————————
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