
Il summit di Sharm El Sheikh, con la firma del “Piano di Pace” del 13 ottobre, è stato celebrato come un passo verso la stabilità in Medio Oriente. Il rilascio dei 20 ostaggi israeliani ancora vivi da parte di Hamas, lo scambio con oltre 2.000 prigionieri palestinesi e la promessa di una ricostruzione da 53 miliardi di dollari, sotto la mediazione di Egitto, Qatar e Turchia, delineano una tregua fragile: cessate il fuoco, smilitarizzazione di Gaza e un governo transitorio palestinese. Trump lo chiama “l’alba di un nuovo Medio Oriente”, lodando la Premier Meloni per il ruolo dell’Italia nella “stabilità regionale”. Ma queste parole stridono con una realtà che definire distopica è un eufemismo.
L’Italia non ha ancora riconosciuto lo Stato palestinese, a differenza di Spagna, Francia, Regno Unito e Canada, che l’hanno fatto a settembre 2025. Una mozione parlamentare condizionale, approvata a ottobre, resta un rinvio mascherato, mentre il 65% degli italiani chiede un riconoscimento immediato e il 63% accusa Israele di genocidio a Gaza. Fino al 12 ottobre, vigilia della tregua, abbiamo esportato armi a Israele per 6,36 milioni di dollari nel 2024, con autorizzazioni per quasi 8 miliardi di euro, nonostante le smentite di Tajani e le ammissioni di Crosetto sulla prosecuzione delle forniture. La Rete Italiana Pace e Disarmo denuncia opacità e profitti. Sul piano economico, la dipendenza dal gas USA, per sostituire quello russo entro il 2025, ha gonfiato il debito pubblico al 138,2% del PIL nel 2026, mentre i dazi americani al 10-20% su auto, vino e formaggi italiani minacciano 7 miliardi di export, con un -0,5% sul PIL. Le nostre imprese soffrono, mentre si parla di pace.
Al centro di questa svolta, però, c’è la Freedom Flotilla Coalition. La loro Global Sumud Flotilla, partita dalla Spagna ad agosto 2025 con 40 navi e 500 attivisti, tra cui Greta Thunberg e parlamentari europei, ha sfidato l’assedio di Gaza con aiuti vitali: formula per bambini, farina, riso, kit medici e stampelle. Intercettata violentemente il 1° ottobre in acque internazionali, a 70 miglia da Gaza, ha scatenato proteste globali – da Turchia e Colombia a Francia e Italia – con accuse di “pirateria” da Erdoğan e un rapporto ONU che denuncia l’80% dei gazesi dipendenti dagli aiuti bloccati. È stata questa azione a spingere Trump a cambiare rotta: dal 29 settembre, al fianco di Netanyahu, ha proposto il piano USA, twittando il 4 ottobre di fermare i bombardamenti per una “pace duratura”. Senza la Flotilla, che ha denunciato il blocco come “crimine umanitario”, la tregua del 13 ottobre – con i sopravvissuti deportati e la Coalizione che monitora violazioni residue – non sarebbe mai arrivata. Oggi, la Flotilla è un osservatorio necessario per garantire che questa tregua non resti un miraggio, ma porti al riconoscimento dello Stato palestinese e a una pace vera per due Stati.
Per questo, sostengo con forza la petizione su Change.org – “Assegnazione del Premio Nobel per la Pace alla Freedom Flotilla” – che ha già raccolto centinaia di firme. Lanciata il 29 settembre, descrive la Flotilla come “simbolo di resistenza pacifica” contro l’oppressione. La candidatura per il 2026 sarà presentata a gennaio, dopo la chiusura delle nomination 2025. Invito tutti a firmare qui: https://www.change.org/assegnazionedelPremioNobelperlaPaceallaFreedomFlotilla. L’Italia non può continuare a parlare di pace mentre arma conflitti e si piega a dazi e debiti. La Freedom Flotilla è un faro di speranza e un osservatorio indispensabile per vigilare affinché la tregua si trasformi in giustizia, con il riconoscimento dello Stato palestinese.
Dichiarazione dell’On. Marinella Pacifico, già Senatrice della Repubblica.