
(AGENPARL) – Tue 07 October 2025 Nota per la stampa
AUDIZIONE DEL PRESIDENTE BRUNETTA SU DPFP
Si è svolta oggi l’audizione del presidente del CNEL Renato Brunetta presso le Commissioni Bilancio congiunte della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del Documento programmatico di finanza pubblica 2025 (DPFP). Di seguito i principali punti dell’intervento.
DPFP: BRUNETTA, UN CONTESTO DI INCERTEZZA GEOPOLITICA GLOBALE
“Il DPFP, il nuovo documento di finanza pubblica – nuovo nel nome e nella sostanza – si inquadra in un contesto macroeconomico interno e internazionale denso di incognite, all’insegna dell’incertezza. È un’incertezza che affligge grandemente anche l’Europa. La Francia sta attraversando una fase di grave crisi istituzionale. La Germania fatica a fronteggiare le divisioni interne. Questa situazione incide negativamente sulla governance dell’Unione europea, rischiando di ostacolare la capacità di risposta alle sfide globali quali la sicurezza, l’energia e le migrazioni. Si è comunque manifestata un’inaspettata resilienza dell’economia mondiale, europea e italiana”. È quanto ha dichiarato il presidente del CNEL Renato Brunetta IN audizione presso le Commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato, nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del Documento programmatico di finanza pubblica 2025 (DPFP).
DPFP ALL’INSEGNA DI UNA RIGOROSA CONDOTTA DEI CONTI
“Il DPFP – ha proseguito Brunetta – è all’insegna di una prudente disciplina di bilancio improntata su una rigorosa condotta dei conti. In questo quadro magmatico, quindi, emerge come un faro di stabilità il percorso di risanamento e di ricomposizione della finanza pubblica italiana perseguito dal Governo. È un percorso improntato alla prudenza e al controllo dei conti pubblici, che ha già registrato un elevato apprezzamento da parte dei mercati finanziari e delle agenzie di rating. Il faro di stabilità nella condotta della politica di bilancio aiuta i consumi e gli investimenti delle famiglie e delle imprese, fornendo un quadro normativo certo in materia fiscale e in materia di incentivi, abbassando il costo dei finanziamenti a lungo termine”.
BENE VOLER PROSEGUIRE IL PERCORSO DI ADEGUAMENTO INFRASTRUTTURALE DEL PAESE
“In questi anni – ha aggiunto il presidente del CNEL – le risorse del PNRR dedicate agli investimenti hanno assunto un ruolo importante nel sostegno alla domanda, fungendo anche da volano al settore delle costruzioni, settore tipicamente ciclico. Il fatto che il Governo intenda evitare la caduta degli investimenti pubblici dopo la fine del PNRR, indica l’attenzione a proseguire il percorso di adeguamento infrastrutturale del Paese, ma anche la volontà di evitare una contrazione della domanda interna, al termine della spinta proveniente dalle risorse comunitarie”.
UN NUOVO RUOLO PER LA DOMANDA INTERNA
“In un quadro di grande confusione a livello globale, sono però scaturiti – ha sottolineato Brunetta – anche alcuni elementi estremamente positivi. Innanzitutto, il nuovo ruolo assegnato alla domanda interna. È quel che il CNEL sostiene da tempo: passare dall’austerità e dall’eccesso di surplus nel commercio con l’estero a politiche di rafforzamento degli investimenti e dei consumi delle famiglie. Questo vale per l’Europa e soprattutto per l’Italia. In tale ottica, gli elementi di novità dello scenario sono fondamentalmente due, entrambi frutto dal neo-isolazionismo degli USA: da una parte lo spostamento del baricentro del motore della crescita dalla domanda estera alla domanda interna e dall’altra l’assunzione di nuove responsabilità dell’Unione europea sullo scacchiere globale”.
RAFFORZARE IL BILANCIO COMUNITARIO E MIGLIORARE IL COORDINAMENTO DELLE POLITICHE FISCALI NAZIONALI
“Lo spostamento del baricentro del motore della crescita verso la domanda interna rappresenta una vera rivoluzione copernicana nella gestione della politica economica europea. Ma questa rivoluzione, per essere pienamente compiuta, necessita di due condizioni nella nuova governance economica europea: rafforzare il bilancio comunitario e migliorare il coordinamento delle politiche fiscali nazionali”.
DOPO IL PNRR SERVE UN PIANO EUROPEO DI RILANCIO
“Il PNRR italiano è stato un importante banco di prova per l’ulteriore sviluppo delle politiche europee. L’esito di questo test – ha affermato Brunetta – si sta rivelando molto positivo. Assieme anche agli altri Piani nazionali ispirati e sostenuti da NextGEU, l’esito favorevole del PNRR apre la strada a un ‘PER’, un Piano Europeo di Rilancio, che rappresenterebbe un controaltare di crescita keynesiana basato sulla domanda e sul rafforzamento della competitività, in contrapposizione al rigore dei conti pubblici”.
FONDAMENTALE COMPIERE BENE ‘L’ULTIMO MIGLIO’ DEL PNRR
“Un piano di rilancio europeo è indispensabile anche per realizzare la grande aspirazione dell’Unione europea di essere, finalmente, un credibile e autorevole soggetto politico nello scenario internazionale. Un’aspirazione necessaria se l’UE si vuole confrontare con i giganti USA, Cina e sullo sfondo India. Infatti, senza la possibilità di indirizzare risorse alle priorità strategiche europee, tale aspirazione sarebbe acefala. E lo sarebbe anche se l’Europa dovesse continuare ad affidarsi alle capacità difensive altrui, per tutelare i propri confini. L’aggressione russa all’Ucraina e la guerra ibrida, fatta di violazioni territoriali e attacchi cibernetici contro tutta l’Europa, dimostrano che senza una propria robusta capacità difensiva si rimane soggetti alle priorità e alle decisioni altrui, oltre che minacciati nella propria esistenza. È quindi fondamentale compiere bene ‘l’ultimo miglio’ del PNRR, la sua parte finale. Oltre, naturalmente, a sfruttare appieno questa grande occasione di ammodernamento del Paese”.
UN DPFP IN CHIAVE EUROPEA
“Il DPFP crea le basi per realizzare gli obiettivi prioritari dell’UE. L’Italia sta già facendo la propria parte. Innanzitutto, perché mantiene pienamente gli impegni assunti con la nuova governance europea, che incentiva la ricomposizione della spesa pubblica a favore degli investimenti. Certamente siamo solo all’inizio del percorso e a un anno dall’avvio del nuovo Patto di Stabilità e Crescita. Tuttavia, il DPFP si ispira a nuove regole fiscali imperniate sull’andamento della spesa netta, utilizzata come benchmark di riferimento”.
UNA CULTURA DELLA VALUTAZIONE DEGLI IMPATTI DELLE POLITICHE PUBBLICHE
“La nuova governance economica europea richiede il superamento della logica della spesa storica, che cristallizza inefficienze, e l’introduzione di una cultura della valutazione degli impatti delle politiche pubbliche, valorizzando anche le esperienze di monitoraggio e di rendicontazione promosse con il PNRR. Serve restituire centralità al Parlamento, investito dell’onere di valutare le policy in essere, e operare scelte politiche in merito al riorientamento degli obiettivi e all’allocazione delle risorse disponibili”.
IL RISANAMENTO DEL BILANCIO PUBBLICO SI TRAGUARDA PERFINO CON UN LEGGERO ANTICIPO
“Con il DPFP il rispetto degli impegni di risanamento del bilancio pubblico assunti dall’Italia si traguarda perfino con un leggero anticipo con riguardo alle scadenze indicate nel cronoprogramma. Già nel marzo del 2026 l’Italia potrebbe uscire dalla procedura per deficit eccessivo, grazie alla sua riduzione al 3% del PIL o sotto. Tale scenario consentirebbe – ed è un’altra ragione per cui l’Italia sta facendo la propria parte – di attivare la clausola di salvaguardia nazionale relativa all’aumento della spesa per difesa e sicurezza. Questi investimenti potrebbero rappresentare un enorme volano per l’industria domestica, l’occupazione, la riconversione di alcuni settori attualmente in crisi come l’automotive, e lo sviluppo di nuove tecnologie, soprattutto quelle di tipo dual use”.
BENE PROMUOVERE LA SPESA IN DIFESA E SICUREZZA ALIMENTANDO LE FILIERE PRODUTTIVE INTERNE
“L’impostazione che il Governo ha enunciato nel DPFP è assolutamente condivisibile: promuovere la spesa in difesa e sicurezza alimentando le filiere produttive interne, affinché i 12 miliardi aggiuntivi indicati come impegno italiano sostengano il reddito, l’occupazione, l’innovazione tecnologica, le competenze e la riconversione industriale dei settori italiani. Si tratta, comunque, di un impegno inferiore ai margini concessi dalla Commissione europea. Rimane, infatti, prioritario l’obiettivo di mantenere il deficit sotto la soglia del 3% per rispettare il rientro dell’alto debito pubblico. Nel DPFP si annuncia, inoltre, che una parte delle risorse derivanti dal miglior andamento dei conti pubblici e dalla ricomposizione di entrate e uscite, vadano a sostegno della crescita, nonostante il sentiero di riduzione del disavanzo e di ripiegamento del debito pubblico rimangano restrittivi sino al 2028, come dimostra la stima del saldo strutturale indicata nel DPFP. La manovra netta è, in ogni caso, di dimensioni contenute: 2,6 miliardi nel 2026 e 4,6 nel 2027 e nel 2028”.
TRASFORMARE LA STABILITÀ IN VERA CRESCITA STRUTTURALE
“L’esaurimento della spesa in conto capitale, finanziata dal PNRR, avverrà più gradualmente di quanto fosse stato inizialmente definito. Ciò vuol dire che sarà meno forte la spinta nel 2026, ma anche meno brusca la frenata nel 2027. Si evita, così, un congestionamento nel 2026 difficile da gestire, oltre al tanto temuto effetto ‘fiscal cliff’. Il DPFP tenta, quindi, di stabilizzare più che rilanciare. Senza un nuovo PNRR europeo, e una mobilitazione di capitale privato, sarà difficile trasformare questa stabilità in vera crescita strutturale. D’altra parte, stando alle cifre del DPFP, l’anno prossimo sarebbero dovuti arrivare dal PNRR sostegni aggiuntivi alla spesa pubblica, corrente e in conto capitale, pari all’1,1% del PIL. Finito lo stimolo alla domanda, garantito dai fondi PNRR, sarà decisiva la capacità di consolidare gli effetti sulla crescita e sulla produttività legati alle riforme, anche mediante una maggiore complementarità con le risorse della politica di coesione 2021-2027. Tanto più che, come è noto, gli investimenti hanno un moltiplicatore molto più elevato di quello della spesa corrente, soprattutto quando questa è fatta di trasferimenti”.
NON PUÒ ESSERCI INDUSTRIA EFFICIENTE E INNOVATIVA SENZA IL SUPPORTO DI SERVIZI ALTRETTANTO EFFICIENTI E INNOVATIVI
“Non può esserci un’industria efficiente e innovativa senza il supporto di servizi altrettanto efficienti e innovativi, quelli che – in gergo – gli economisti chiamano KIBS (Knowledge Intensive Business Services), ovvero servizi di consulenza, ricerca, logistica e finanza. Il Made in Italy fa leva proprio su questi servizi e il brand “Italia”, unico al mondo, si nutre di tale connubio vincente. Inoltre, i turisti che ogni anno affollano le nostre città, le nostre spiagge e montagne riportano a casa non solo prodotti acquistati nel nostro Paese, ma soprattutto un’esperienza che li induce a cercare altri prodotti italiani, alimentando così l’export. In questo modo, con il turismo, si esporta due volte: servizi turistici prima e manufatti dopo”.
MAGGIORI RETRIBUZIONI REALI SONO UN INCENTIVO A INNOVAZIONE E PRODUTTIVITÀ
“Maggiori retribuzioni reali sono un potente incentivo per le imprese a innovare e, quindi, a migliorare la produttività, anche con investimenti immateriali, quali ricerca e sviluppo, software, capitale organizzativo, che sono ancora scarsi in Italia. Mentre gli investimenti in beni immateriali sono cresciuti a un ritmo tre volte superiore rispetto a quelli tangibili nella maggior parte delle economie avanzate dal 2014 ad oggi, in Italia si è avuta una dinamica opposta, evidenziando la difficoltà del nostro Paese nel tenere il passo con la frontiera dell’innovazione. Naturalmente, la dinamica delle retribuzioni è prerogativa delle parti sociali, che vanno indotte a muoversi verso un nuovo sentiero negoziale. La legge delega sulla contrattazione collettiva offre al Governo l’opportunità di indirizzarle in tale senso e il CNEL è pronto a dare tutto il supporto necessario, sia tecnico-scientifico sia di creazione di consenso tra le parti sociali. Inoltre, la politica di bilancio può premiare quei settori e quelle imprese che si attivano, attraverso la contrattazione collettiva e gli strumenti di governance e organizzazione, per una maggiore remunerazione del lavoro e per una premialità fondata sul merito anziché sull’anzianità”.
LA VARIABILE DEMOGRAFICA STA CAMBIANDO IL VOLTO DELLA POPOLAZIONE ITALIANA
“Le variabili demografiche stanno rapidamente cambiando il volto della popolazione italiana, e non solo italiana, con una velocità che – a molti – era sfuggita e che non assomiglia affatto a una tranquilla transizione. Le dinamiche demografiche sono la vera esogena dello scenario macroeconomico. Occorre quindi mutare lessico e parlare apertamente di ‘glaciazione demografica’. Il progressivo invecchiamento della popolazione, dovuto al calo della natalità e all’aumento della longevità, sta riducendo il numero di persone in età lavorativa, con effetti destinati a diventare sempre più significativi per lo sviluppo economico e il benessere del Paese. La glaciazione demografica avrà effetti pervasivi anche sul livello e sulla composizione della domanda. Occorre evitare che la mancanza di persone penalizzi l’economia, sia dal lato della domanda (famiglie consumatrici) sia dal lato dell’offerta (lavoratori)”.
PER AFFRONTARE LA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA PUNTARE SU OCCUPAZIONE DONNE E GIOVANI
“Per affrontare la glaciazione demografica si può agire in vari modi: con l’attrattività dell’Italia per i giovani, con la piena partecipazione delle donne e con l’estensione della vita lavorativa. La leva dell’innalzamento dell’occupazione femminile e dei giovani può fare molto per compensare gli effetti della glaciazione demografica sull’occupazione e, quindi, sulla crescita economica e il benessere. Per le donne si devono creare le condizioni, come si dirà più avanti, per un’occupazione che non sia marginale e a bassa remunerazione e che si concili con l’obiettivo del rilancio della natalità. Per i giovani è cruciale, anzitutto, proseguire nella riduzione dell’area dei NEET. Negli ultimi anni l’andamento dell’occupazione in Italia ha seguito la dinamica della domanda e dell’invecchiamento della popolazione. Per i lavoratori anziani si tratta del prolungamento della vita lavorativa; quindi, non si dovrebbe parlare di creazione di nuova occupazione ma di mantenimento dell’occupazione esistente”.
UTILIZZARE L’IMMIGRAZIONE COSTRUENDO PERCORSI E CONDIZIONI DI ARRIVO E DI INTEGRAZIONE
“Sulla neutralizzazione delle ricadute negative della glaciazione demografica sulla domanda si può agire con l’immigrazione regolare, costruendo percorsi e condizioni di arrivo e di integrazione. Vale la pena ricordare che nell’ultimo quarto di secolo sono arrivate in Italia 6,5 milioni di persone straniere (saldo migratorio, quindi al netto di quante sono andate via), e di queste 2,4 milioni hanno acquisito la cittadinanza italiana. Senza questo afflusso la popolazione del nostro Paese sarebbe stata di altrettanto più bassa e le conseguenze sulla vita civile, familiare ed economica sarebbero state catastrofiche”.
IMPORTANTI LE MISURE A FAVORE DELLA NATALITÀ E DELL’AUSILIO ALLE FAMIGLIE
“Per contrastare la glaciazione demografica sono importanti le misure a favore della natalità e dell’ausilio alle famiglie nell’accudimento dei bambini, a cominciare dal potenziamento nell’accesso e nella qualità dei servizi pubblici. Non può sfuggire, tuttavia, che la denatalità non è derivata solo dall’arretratezza dell’Italia nelle politiche per il sostegno alle nascite e alla crescita dei bambini, ma anche e soprattutto da una scelta culturale che è riscontrabile e che ha effetti simili o peggiori al nostro, sempre più diffusi in tutto il mondo. Basti pensare che in Corea del Sud il tasso di fecondità (in Italia: 1,18), è di appena 0,75%. La nostra tendenza va in tale direzione. E non può neppure sfuggire la tensione tra due obiettivi solo apparentemente contrastanti: l’aumento della natalità e la piena partecipazione femminile al mondo del lavoro, necessaria non solo per ammortizzare le ricadute occupazionali della glaciazione demografica, ma anche e soprattutto per promuovere lo sviluppo civile e sociale dell’Italia”.
AFFRONTARE LA QUESTIONE GIOVANILE
“Nei quattordici anni 2011-2024 se ne sono andati via 640mila giovani italiani, 441mila al netto di quanti sono entrati. Il numero di giovani 18-34enni è sceso da 15,2 milioni nel 1994 – massimo storico -, a 10,4 milioni nel 2024, nonostante il forte afflusso di cittadini dai paesi a più basso reddito, soprattutto extra-europei. Nel 2024, 1,34 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi formativi (NEET), con un’incidenza nel Mezzogiorno più che doppia rispetto al Nord. Il risultato è una perdita di capitale umano che indebolisce il potenziale di crescita, penalizza la domanda delle imprese ad alta intensità di conoscenza, con ricadute sulla produttività, sulla sostenibilità del nostro sistema di welfare e sui conti pubblici. In questo quadro, la crescita del nostro Paese richiede non solo incentivi per trattenere e attrarre talenti, ma politiche che avvicinino il sistema dell’istruzione e della formazione tecnico-scientifica alle competenze richieste dalle imprese, ma anche politiche volte a migliorare i redditi reali delle coorti più giovani e a ridurre le disuguaglianze intergenerazionali. Ci sono stati, indubbiamente, progressi. La loro incidenza tra i giovani è passata dal 23,5% di cinque anni fa al 15,2% attuale. Nonostante i progressi, la quota resta significativamente più alta rispetto al 6% dei Paesi nordici e al 9% della Germania. Ridurla della metà significherebbe oltre 600.000 occupati aggiuntivi”.
FONDAMENTALE SOSTENERE INNOVAZIONE E PRODUTTIVITÀ
“È fondamentale sostenere nei modi più opportuni l’innovazione così da aiutare il sistema produttivo a vincere questa sfida. Oltre alla dotazione di capitale tecnologico, anche il capitale umano è fondamentale per la produttività. L’Italia soffre di un ritardo strutturale nelle competenze digitali della manodopera: solo il 16% dei lavoratori ha competenze ICT elevate, contro il 30% circa in Germania e Francia; solo il 15% dei laureati lo è in discipline STEM, a fronte di una media europea del 26%. Questo frena l’adozione di tecnologie digitali nel nostro Paese, con ricadute sulla produttività. La produttività è legata anche alla dimensione aziendale, a sua volta correlata con tre fattori chiave: propensione all’export, digitalizzazione e innovazione. Le grandi imprese sono oltre il 70% più produttive delle medie e, nei servizi ad alta intensità di conoscenza – come le attività professionali, scientifiche e tecniche – il divario è ancora più marcato, a testimonianza della complementarità tra dimensione aziendale e capitale intangibile. È necessario, quindi, un approccio sistemico e coordinato a diversi livelli di governo per trasformare la produttività in una leva stabile di crescita inclusiva e sostenibile per l’economia del Paese”.
SUPERARE I TOTEM DELL’AVANZO COMMERCIALE E DEI PRIMATI DELL’EXPORT