
(AGENPARL) – Tue 30 September 2025 Un popolo oppresso dalle tasse? Non esattamente…
Il 43,15% degli italiani non ha redditi e vive “a carico” di qualcuno
Dall’ultimo Osservatorio sulle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF realizzato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali con il sostegno di CIDA emergono alcune verità scomode e controcorrente: il 72,59% degli italiani dichiara redditi fino a 29mila euro, corrispondendo solo il 23,13% di tutta l’IRPEF, un’imposta neppure sufficiente a coprire le prime tre funzioni di welfare (sanità, assistenza sociale e istruzione). La fotografia di un Paese in cui in realtà sono pochi a pagare per tutti
Roma, 30 settembre 2025 – Non siamo un Paese “strozzato” dalle tasse, ma un Paese in cui il peso del fisco è concentrato su una minoranza di contribuenti. È la fotografia che emerge dalla dodicesima edizione dell’Osservatorio sulle entrate fiscali, a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presentata questo pomeriggio alla Camera dei Deputati insieme a CIDA – Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità, sostenitrice della ricerca, in occasione del convegno “Il difficile finanziamento del welfare italiano”.
«Si dice spesso che l’Italia sia un Paese oppresso dalle tasse. Ma è davvero così? I numeri dicono di no. Il problema non è che tutti paghino troppo, ma che pochi paghino per tutti. Quasi un cittadino su due non versa nemmeno un euro di IRPEF, e così poco più di un quarto dei contribuenti si fa carico da solo di quasi l’80% dell’imposta. È come in una squadra di calcio: se solo tre giocatori corrono e gli altri otto guardano, non si vince nessuna partita. Questo squilibrio logora il ceto medio, scoraggia i giovani e mette a rischio il futuro del Paese. Per questo, alla vigilia della legge di bilancio, chiediamo alla politica scelte coraggiose: meno evasione, più equità, investimenti veri su lavoro e salari», dichiara Stefano Cuzzilla, Presidente CIDA.
Figura 1 – Percentuale di imposte pagate per i 2 principali raggruppamenti di reddito
Fonte: Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 2025, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
Redditi dichiarati, tipologie di contribuenti e consumi: un Paese di “poveri” benestanti?
Altrettanti rilevante, e meritevoli di una riflessione su equità ed efficienza del nostro sistema fiscale, anche i profili di distribuzione dei contribuenti che, sulla base di quanto dichiarato nel 2024, hanno corrisposto almeno 1 euro di IRPEF nel 2023.
Figura 2 – Dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF relative a tutti i contribuenti
Dichiarazioni redditi ai fini IRPEF 2024 relative a TUTTI I CONTRIBUENTI, anno di imposta 2023
Classi di reddito complessivo in euro Numero contribuenti Dettagli media in € per cittadino
Volendo esemplificare la poco efficace progressività nella ripartizione del carico fiscale, basti fare un esempio: considerando l’effetto TIR: al 2023 le imposte pagate da un lavoratore dipendente con un reddito tra 35 e 55mila euro sono 34 volte quelle di un reddito tra 7.500 e 15mila euro, mentre tra 100.000 – che valgono al netto delle tasse circa 52mila euro – e 200.000 euro sono pari a 149 volte; con oltre 300mila euro di reddito, l’imposta equivale a 814 lavoratori tra 7.500 e 15mila euro (133 con redditi tra 15 e 20mila).
«Basta guardare questi numeri per capire dove sta la verità: meno di un terzo dei contribuenti sostiene da solo oltre tre quarti dell’IRPEF. È una sproporzione che non possiamo ignorare. Non è un sistema progressivo, ma un meccanismo che concentra il peso fiscale su una minoranza e lascia il resto del Paese sulle spalle di pochi. Chi guadagna dai 60mila euro in su, di fatto, finisce sempre per pagare per due: per sé e per chi resta totalmente a carico della collettività. È la trappola del ceto medio: molti ricevono senza dare, pochi danno senza ricevere. Ed è su questi pochi che regge l’intero welfare italiano» puntualizza Stefano Cuzzilla.
La redistribuzione della ricchezza e il difficile finanziamento del welfare italiano
Come garantire innanzitutto la sostenibilità del nostro sistema di protezione sociale ma, più in generale, produttività e sviluppo del Paese se il grosso del carico fiscale grava su una ristretta minoranza? Questo il secondo grande paradosso su cui invita a riflettere l’Osservatorio, che realizza con cadenza annuale un’analisi delle dichiarazioni individuali dei redditi IRPEF e delle altre principali imposte dirette e indirette (tra cui IRAP, IRES, ISOST e gettito IVA), con l’obiettivo di ottenere indicatori utili a comprendere l’effettiva situazione socio-economica del Paese e a verificare la tenuta del suo sistema di protezione sociale.
Solo per pagare la spesa sanitaria, per i primi 3 scaglioni con redditi da negativi/zero fino a 20mila euro, la differenza tra l’IRPEF versata e il costo della sanità (2.222 il valore pro capite) supera i 56 miliardi. Considerando anche l’istruzione e la spesa assistenziale e welfare degli enti locali, la redistribuzione totale supera i 233 miliardi (1,13 volte l’importo dell’intera IRPEF) su circa 675 di entrate, al netto dei contributi sociali. In pratica, viene redistribuito l’80,56% di tutte le imposte dirette, principalmente a beneficio soprattutto del 72,59% dei contribuenti con redditi fino a 29mila euro. Un costante trasferimento di ricchezza, sotto forma di servizi gratuiti di cui quest’enorme platea di beneficiari spesso non si rende neppure conto, in parte anche a causa delle ripetute promesse di nuove elargizioni da parte della politica che tende viceversa a trascurare i percettori di redditi medio-alti, spesso esclusi da bonus e altri benefici malgrado il forte contributo fornito al sistema. «Da troppo tempo lo Stato italiano pare poggiarsi sul pericoloso binomio “meno dichiari e più avrai dallo Stato” che, in assenza di controlli e combinato a un eccesso di assistenzialismo, incoraggia elusione e lavoro nero. Giusto aiutare chi ha bisogno, così come garantire a tutti diritti primari, come ad esempio quello alla salute – la puntualizzazione di Brambilla – ma, al tempo stesso, non si può trascurare quanto queste cifre siano verosimilmente “gonfiate” da
economia sommersa ed evasione fiscale per le quali primeggiamo in Europa: è davvero credibile che quasi la metà degli italiani viva con circa di 10mila euro lordi l’anno».
E con queste prospettive come mantenere, infine, il nostro generoso welfare state? Solo nel 2023 sono statati necessari 131,119 miliardi per la spesa sanitaria, oltre 164 per l’assistenza sociale e altri circa 13,4 miliardi per il welfare degli enti locali: un conto totale da oltre 300 miliardi che, in assenza di tasse di scopo (come, ad esempio, accade per le pensioni che sono in attivo al netto dell’IRPEF), viene finanziato attingendo fiscalità generale: a queste sole 3 voci di spesa sono state dunque destinate nell’ultimo anno di rilevazione pressoché tutte le imposte dirette IRPEF, addizionali, IRES, IRAP e ISOST e anche 32,8 miliardi di imposte indirette, in primis l’IVA. Negli ultimi 16 anni i redditi dichiarati sono aumentati del 28,46%, mentre la spesa per il welfare è cresciuta del 45%, trainata soprattutto da quella assistenziale, il cui valore tende ormai ad avvicinarsi pericolosamente al gettito dell’IRPEF ordinaria. Basta questo semplice confronto per capire come si sia davanti a un onere, già oggi e ancora di più in futuro, molto gravoso da sostenere e che lascia ad altre funzioni statali, indispensabili allo sviluppo del Paese (come infrastrutture, investimenti in capitale e così via), solo le residuali imposte indirette, le accise e la strada del debito. «Debito che – puntualizza Brambilla – ogni anno aumenta spaventosamente nell’indifferenza generale e, infatti, siamo il fanalino di coda in Europa per occupazione e produttività. D’altra parte, siamo tra i pochi Paesi che non hanno un’anagrafe e una banca dati dell’assistenza: lo Stato fa sconti, bonus, decontribuzioni ma non sa quanto pagano comuni, province, regioni, comunità montane e così via, con il risultato che in questi ultimi 16 anni sono esplose agevolazioni e misure assistenziali che, se da una parte si sono stratificati, complicando e rendendo meno equo il sistema fiscale, dall’altro hanno finito con l’incentivare implicitamente lavoro irregolare e fenomeni di sotto-dichiarazione».
“Oggi il vero banco di prova è la legge di bilancio – dichiara Cuzzilla – quella stessa manovra che, come ha detto la premier Meloni, intende concentrarsi sul ceto medio. Non ci aspettiamo miracoli, sappiamo che le risorse sono poche. Ma è proprio nei momenti di scarsità che si misura il coraggio della politica. Serve un cambio di paradigma: smettere di disperdere energie in bonus effimeri e iniziare a costruire scelte di lungo respiro. Se il ceto medio è davvero al centro, allora bisogna crederci fino in fondo. Perché non stiamo parlando di una parte qualsiasi della società, ma della spina dorsale del Paese. Donne e uomini che hanno sempre fatto la loro parte, che non si sono mai tirati indietro, e che oggi sono pronti a dare forza a una nuova stagione. A condizione che la politica decida finalmente di investire su di loro. Il futuro dell’Italia- conclude Cuzzilla -si gioca qui: nella fiducia restituita al ceto medio, nelle opportunità offerte ai giovani, in un fisco che non sia più una ferita, ma un patto di equità e di fiducia. Solo così il fisco potrà diventare ciò che deve essere: l’alleato della crescita e della coesione sociale”.
La pubblicazione, realizzata con il sostegno di CIDA-Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità, sarà disponibile per il download sul sito Itinerari Previdenziali (www.itinerariprevidenziali.it)