
Un nuovo documento di lavoro del National Bureau of Economic Research (NBER) suggerisce che il calcolo fatto per decenni dalle aziende americane – scambiare tecnologia con i partner cinesi in cambio di accesso al mercato e manodopera a basso costo – è stato un errore collettivo a livello nazionale. Secondo lo studio, questa strategia ha danneggiato i lavoratori americani, le piccole imprese e l’economia statunitense nel suo complesso, favorendo l’ascesa accelerata della Cina.
Per anni, giganti come General Motors e Intel hanno formato joint venture in Cina, aumentando i propri profitti ma, di fatto, trasferendo tecniche di produzione avanzate, progettazione di chip e pratiche di gestione.
I ricercatori (Jaedo Choi, George Cui, Younghun Shim e Yongseok Shin) sostengono che l’errore non è stato commesso dalle singole aziende, che agivano nel proprio interesse (minori costi e accesso ai clienti), ma è stato un fallimento a livello nazionale. Nessuna azienda ha considerato l’effetto cumulativo e trasversale: come i loro accordi avrebbero rafforzato i concorrenti cinesi che competevano con altre aziende americane, inclusi migliaia di piccoli fornitori.
Analizzando il periodo dal 1999 al 2012 – un’epoca di rapida proliferazione delle joint venture – lo studio ha evidenziato un modello chiaro:
- Aziende cinesi: Le aziende che hanno costituito joint venture hanno sperimentato una crescita rapida, con un aumento delle vendite del 27% in quattro anni. Anche i concorrenti cinesi non direttamente partner ne hanno beneficiato.
- Aziende statunitensi: Nei settori con maggiori joint venture in Cina, le aziende USA hanno registrato un calo di vendite, occupazione, investimenti e innovazione.
Utilizzando un modello economico, i ricercatori hanno stimato che, se gli Stati Uniti avessero vietato le joint venture a partire dal 1999, il welfare americano sarebbe oggi più elevato dell’1,2% – l’equivalente di centinaia di miliardi di dollari. La Cina avrebbe subito una riduzione del welfare molto più pesante, pari al 10,3%.
L’analisi indica che i benefici di un divieto non sarebbero stati distribuiti equamente: le grandi aziende che hanno formato joint venture avrebbero perso profitti, ma i lavoratori americani avrebbero guadagnato salari reali quasi il 3% in più, poiché le aziende avrebbero mantenuto una maggiore produzione in patria. Anche i concorrenti più piccoli avrebbero tratto vantaggio.
Il danno si è manifestato gradualmente ed è stato difficile da individuare finché non era troppo tardi per intervenire efficacemente. Il danno maggiore è stato fatto all’inizio, quando il divario tecnologico era più ampio (attorno al 1999), un periodo in cui l’ottimismo sulla Cina era al suo apice e gli avvertimenti di figure come Patrick J. Buchanan sono rimasti in gran parte inascoltati.
La svolta e l’avvertimento per il futuro
Questa logica economica è alla base della recente svolta bipartisan di Washington verso la limitazione degli investimenti americani nella tecnologia cinese (ad esempio, il CHIPS Act del 2022).
Tuttavia, la ricerca contiene un avvertimento cruciale: la finestra temporale per utilizzare le restrizioni agli investimenti per mantenere la leadership tecnologica americana potrebbe chiudersi. Tali politiche avrebbero avuto un impatto massimo due decenni fa; la loro attuazione odierna offre benefici molto minori e, se sbagliata, potrebbe persino rivelarsi controproducente. La questione centrale è che l’azione collettiva – in questo caso, la limitazione degli investimenti – è un problema che i mercati da soli non risolvono.