
L’ombra di una possibile Terza Guerra Mondiale, scongiurata dalla lucidità e dal coraggio di un singolo comandante, aleggia ancora sulla storia di pace dei Balcani. Oggi, a oltre due decenni da quegli eventi seminali, la missione KFOR (Kosovo Force) si erge come l’argine irrinunciabile contro il ritorno delle tensioni, guidata dalla mano ferma e imparziale dell’Italia.
Abbiamo l’onore di accogliere il Generale di divisione Enrico Barduani, il 14° Comandante italiano al timone di questa operazione NATO, la più longeva dell’Alleanza. In un momento in cui la stabilità del Kosovo è messa alla prova da rinnovati focolai di crisi e strumentalizzazioni politiche, il Generale Barduani ci offre una testimonianza diretta e potente.
Questa non è solo un’intervista; è un viaggio nella storia viva della stabilizzazione. Ripercorreremo la gigantesca figura del Generale Sir Michael David Jackson — la cui intitolazione di una piazza è un monito per le sfide future — e analizzeremo il cruciale rafforzamento della presenza NATO in risposta agli scontri del 2023. Il Generale Barduani svelerà come la sinergia tra KFOR, Polizia del Kosovo ed EULEX stia costruendo le fondamenta di un futuro autonomo per la sicurezza del Kosovo, sottolineando al contempo come l’impegno militare resti un complemento indispensabile a un dialogo politico che non può e non deve fallire. Preparatevi ad ascoltare la voce autorevole di chi sta plasmando attivamente la pace in una delle aree più complesse e cruciali d’Europa.
Domanda. Generale Barduani, cosa rappresenta per lei personalmente l’intitolazione di una piazza al Generale Sir Michael David Jackson e in che modo il suo esempio continua a influenzare la missione KFOR oggi?
Generale Barduani. Il Generale Jackson ha servito come primo Comandante della KFOR dal 10 giugno all’8 ottobre 1999, svolgendo un ruolo chiave nei giorni in cui la NATO faceva ingresso in Kosovo. La sua personalitá e carisma sono stati fondamentali per evitare ulteriori tensioni e promuovere la stabilità fin dagli albori del delicato periodo post-conflitto. A riprova del “calibro” del personaggio, mi piace richiamare quanto il Generale Jackson rispose al Generale Wesley Clark, allora Comandante in Capo delle Forze Alleate, che gli imponeva di affrontare le unità russe che, negli stessi giorni in cui le forze della NATO entravano in Kosovo, avevano già preso possesso dell’aeroporto di Pristina: “non intendo scatenare la terza guerra mondiale per lei”. Soltanto un soldato eccezionale come il Generale Jackson avrebbe potuto pronunciare una frase del genere, rifiutandosi di attuare un ordine dalle conseguenze imprevedibili. Le assicuro che questo è soltanto uno dei tanti episodi che puntellano la storia professionale di quest’uomo ed evidenziano la grandezza della sua leadership e come questa abbia marcato in maniera indelebile la strada verso la pace e la stabilizzazione del Kosovo.
Intitolargli l’area più importante all’interno del comprensorio del Quartier Generale della KFOR era il minimo che potessimo fare, a sua perenne memoria, ma soprattutto a beneficio dei soldati di oggi e di domani, quale esortazione ad affrontare ogni sfida con coraggio, personalità e risolutezza.
Domanda. A distanza di oltre vent’anni dall’avvio della missione, quali sono i principali progressi raggiunti da KFOR in termini di stabilità e sicurezza in Kosovo?
Generale Barduani. KFOR è in Kosovo dal 12 giugno 1999 e abbiamo da poco commemorato il nostro 26º anniversario di presenza in questa parte dei Balcani. Parliamo di un arco temporale che, oltre a rendere KFOR la missione più longeva della NATO, ha permesso di assurgere a un ruolo fondamentale nel costruire e mantenere sicurezza e stabilità, garantendo al contempo quelle condizioni necessarie alla prosperità e allo sviluppo socio-economico.
In questi anni la situazione è notevolmente migliorata, tanto da indurre l’Alleanza Atlantica a rimodulare progressivamente la missione, dai 50.000 soldati inizialmente schierati agli attuali circa 5.000. Questo processo è stato accompagnato da un graduale trasferimento di responsabilità, in materia di sicurezza, alla Polizia del Kosovo, costituita anche grazie al supporto di KFOR, oltre che a quello di UNMIK, la missione delle Nazioni Unite.
È innegabile che un Kosovo più sicuro rappresenti un terreno fertile anche per progressi in altri settori. Per fare un esempio, il sistema scolastico locale, in particolare quello universitario, è migliorato notevolmente rispetto ai primi anni 2000 e l’ho potuto personalmente apprezzare nel corso di alcune visite istituzionali e conferenze alle quali sono stato invitato durante il mio mandato.
Un altro settore fondamentale che ritengo vada assolutamente menzionato, è sicuramente quello della giustizia. In tale ambito, desidero sottolineare il contributo significativo offerto dall’European Rule of Law Mission in Kosovo (EULEX), la missione dell’Unione Europea, che ha come obiettivo principale quello di rafforzare il sistema giuridico locale, con riferimento anche all’istituzione della Kosovo Police. In tale ambito, KFOR, in aderenza ai rispettivi ruoli di “security responders”, supporta EULEX e si coordina costantemente con essa, per favorire la sicurezza della popolazione locale.
Anche il contesto religioso testimonia importanti segnali distensivi e di pacifica convivenza. In Kosovo coesistono più etnie e, di conseguenza, una pluralità di culti religiosi che convivono nel rispetto e nella reciproca tolleranza. In questo ambito, KFOR contribuisce attivamente al dialogo inter-religioso, favorendo il confronto tra le diverse confessioni attraverso incontri regolari e strutturati. Posso affermare con convinzione che la religione rappresenta, in molti casi, una delle realtà più efficaci per promuovere un messaggio autentico di pacifica convivenza.
Sebbene il bilancio sia sicuramente positivo, dobbiamo comunuqe riconoscere, in tutta onestà, che in Kosovo il contesto continua a essere profondamente delicato. Permangono, infatti, elementi di fragilità e instabilità in un territorio esposto a potenziali escalation di tensioni. La popolazione resta etnicamente divisa e il conflitto identitario è ancora oggetto di strumentalizzazione politica da parte sia di Pristina sia di Belgrado, oltre che di attori esterni alla regione. La fragilità di questa situazione si riflette anche sul terreno, come testimoniano le violenze perpetrate a Zveczan e Banjska nel 2023 e l’attentato all’infrastruttura strategica del canale idrico di Ibar Lepenac lo scorso novembre. Questi episodi di violenza hanno reso necessario un incremento della presenza militare attraverso il dispiegamento di ulteriori 1.000 soldati che hanno permesso di rafforzare la postura della NATO, in particolare nelle aree settentrionali del Kosovo, a maggioranza etnica serbo-kosovara, e lungo la linea di demarcazione amministrativa con la Serbia. Si è trattato del più consistente rafforzamento della missione KFOR nell’ultimo decennio, che ha permesso di disporre di forze e capacità aggiuntive necessarie per continuare a svolgere efficacemente e con assoluta imparzialità il mandato.
KFOR continua a essere un punto di riferimento imprescindibile per la sicurezza e la stabilità di questa parte dei Balcani, ed è auspicabile che riprenda il cosiddetto “Dialogo Belgrado-Pristina” – guidato dall’Unione Europea – per il più completo concretizzarsi degli effetti della missione.
Domanda. Quali sfide operative e politiche affronta attualmente KFOR per garantire un ambiente sicuro e la libertà di movimento per tutte le comunità?
Generale Barduani. Come già evidenziato, la situazione, pur essendo sotto controllo, rimane fragile e volatile. In questo contesto, KFOR, operando con imparzialità e assicurando un costante coordinamento tra gli attori internazionali presenti in Kosovo e le Istituzioni locali, esercita un ruolo fondamentale nel mantenimento delle condizioni di sicurezza. Al riguardo, i miei costanti ingaggi con le Autorità politiche e militari delle parti in causa sono essenziali per risolvere incomprensioni e cercare di facilitare il dialogo. Il ruolo che esercita KFOR é, pertanto, funzionale e complementare alla volontà politica dei “contendenti” di progredire nel processo di stabilizzazione e normalizzazione.
In questo contesto, i circa 4.600 soldati di KFOR, resi disponibili da ben 33 Nazioni, Paesi membri e partner dell’Alleanza, sono impegnati quotidianamente in attività operative in tutto il territorio del Kosovo, con l’obiettivo di essere pronti ad affrontare qualsiasi sfida alla sicurezza e alla pacifica convivenza, mantenendo al contempo un’elevata capacità di risposta, a garanzia di un ambiente sicuro per tutte le comunità. I risultati operativi sono conseguiti sia attraverso la condotta di operazioni cinetiche e non cinetiche sia cooperando con le altre organizzazioni di sicurezza, locali e internazionali, presenti nell’area.
KFOR, nel pieno rispetto del mandato conferito dalle Nazioni Unite, crea le condizioni necessarie allo sviluppo di un dialogo costruttivo tra le parti e certamente la presenza militare è fondamentale, ma – affinché il processo di pace sia efficace – è imprescindibile un dialogo autentico tra le parti, sostenuto con decisione e determinazione dai principali attori internazionali, in primis l’Unione Europea. Certamente auspicabile, in questo complesso contesto, la nomina del nuovo Governo.
Inoltre bisogna considerare un ulteriore elemento di criticità: la presenza di importanti organizzazioni criminali che, pur non identificandosi in un particolare gruppo etnico, operano nel contesto sociale per perseguire i propri obiettivi.
Come detto precedentemente, KFOR continua a garantire un ambiente stabile e sicuro, favorendo la normalizzazione tra le parti, in collaborazione con la politica, la diplomazia e le organizzazioni internazionali.
Domanda. Come si sviluppa la collaborazione quotidiana tra KFOR, la Polizia del Kosovo ed EULEX, e quali risultati concreti sta producendo questa sinergia?
Generale Barduani. KFOR coopera con varie organizzazioni di sicurezza presenti in Kosovo e, in particolare, con la missione EULEX, ben nota per il suo contributo nel settore della giustizia e nel rafforzamento delle capacità della Kosovo Police, attore imprescindibile per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica. Ciascuno, nel rispetto del proprio mandato, contribuisce concretamente alla stabilizzazione del Kosovo.
Nello specifico, per quanto riguarda la polizia kosovara, è in atto da anni un graduale processo di transizione delle responsabilità da KFOR a quest’ultima. Tale processo è testimonianza dei progressi compiuti dalla polizia del Kosovo in molti settori.
Per fare un esempio, nel corso degli anni KFOR ha trasferito alla Kosovo Police la responsabilità del presidio di numerosi luoghi religiosi e infrastrutture critiche. Attualmente, sotto la tutela diretta di KFOR resta solo il sito di Visoki Dečani, forse il più importante monastero per la chiesa serbo-ortodossa, per il quale permane una particolare attenzione in termini di protezione fisica. Tale Monastero, tra l’altro, è riconosciuto quale Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO per la sua eredità storico-culturale.
In sintesi, l’obiettivo finale, certamente auspicabile, è che le Istituzioni del Kosovo siano in grado di gestire la sicurezza in piena autonomia su tutto il territorio. Tuttavia, è importante precisare che non è possibile stabilire in anticipo quando ciò potrà del tutto avvenire. La nostra missione non è legata, infatti, a scadenze temporali, bensì alla realizzazione di determinate condizioni sul piano tattico e soprattutto su quello politico.
Domanda. Guardando al futuro, quali sono le priorità strategiche di KFOR per consolidare una pace duratura nella regione, alla luce delle tensioni ancora presenti?
Generale Barduani. Il futuro di KFOR e le sue priorità strategiche restano strettamente legati al mandato conferito dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In questo alveo, KFOR continuerà ad adempiere al proprio mandato, garantendo un ambiente sicuro e la libertà di movimento, in maniera imparziale e a sostegno della più ampia stabilità della regione.
Fatta questa premessa, lo strumento militare resta in ogni caso complementare a quello politico. L’implementazione degli accordi di Bruxelles del 2013 e quelli di Orhid del 2023, nell’ambito del dialogo mediato dall’Unione Europea, sono le basi da cui ripartire per completare il processo di normalizzazione. In questo senso, la priorità strategica per KFOR resta quella di continuare a garantire le condizioni di sicurezza affinché il dialogo possa riprendere.
Inoltre, la presenza di KFOR continua a essere essenziale per contrastare eventuali interferenze di attori esterni che potrebbero innescare situazioni di crisi, come confermato anche dal Segretario Generale della NATO Mark Rutte, che l’11 marzo di quest’anno, nel corso della sua visita a KFOR congiuntamente ai membri permanenti del North Atlantic Council, ha confermato il fermo impegno della NATO nella Regione Balcanica, con l’obiettivo di continuare a garantire stabilità, integrità e sicurezza.
L’intervista al Generale di Divisione Enrico Barduani, Comandante della KFOR, ci offre un quadro chiaro e realistico dell’impegno NATO in Kosovo. A 26 anni dal suo avvio, la missione si conferma un pilastro di stabilità in una regione che, pur avendo compiuto progressi significativi (dalla riduzione delle truppe al rafforzamento della Polizia del Kosovo e del sistema giudiziario con EULEX), resta strutturalmente fragile.









