
Il salario minimo legale rappresenta uno dei temi più divisivi del dibattito politico ed economico italiano. Se da un lato i sostenitori lo considerano uno strumento di giustizia sociale, dall’altro vi sono timori concreti riguardo agli effetti che una soglia fissata per legge potrebbe produrre sul sistema delle imprese e sulla contrattazione collettiva.
In Italia, infatti, la determinazione dei minimi retributivi è tradizionalmente affidata ai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), in attuazione del principio di autonomia sindacale sancito dalla Costituzione. L’introduzione di un salario minimo per legge, fissato a 9 euro l’ora, rischierebbe non solo di incidere sul già elevato cuneo fiscale e contributivo, ma anche di ridimensionare il ruolo dei sindacati, ponendo interrogativi di rilievo giuridico e sistemico.
Per approfondire i nodi critici e le possibili alternative, abbiamo intervistato l’avvocato Marco Proietti, specialista in diritto del lavoro e relazioni industriali, che ci ha illustrato i rischi e le conseguenze di un’applicazione “orizzontale” del salario minimo nel contesto italiano, nonché le prospettive di riforma legate alla contrattazione collettiva e alla rappresentanza sindacale.
Domanda. Avvocato, lei sostiene che il salario minimo legale non sia applicabile in Italia a causa dell’elevato cuneo fiscale e contributivo. Quali sarebbero, nel concreto, gli effetti di un salario minimo fissato a 9 euro l’ora sulle piccole e medie imprese italiane, in termini di sostenibilità economica e occupazione?
Marco Proietti: Il nostro sistema economico si basa su un delicato equilibrio garantito dalla contrattazione collettiva. Applicare in linea orizzontale il salario minimo su base legale, anche se plasmato sui contratti collettivi (come indicato di recente dalla CGIL), avrebbe come unico impatto una vera e propria fuga dalla regolarizzazione dei rapporti di lavoro. Il costo del lavoro, infatti, in molti settori è già poco sostenibile per le aziende e dunque l’innalzamento improvviso e obbligatorio delle retribuzioni, senza considerare le peculiarità dei singoli comparti, comporterebbe una spinta verso il lavoro sommerso.
Questo non per una particolare inclinazione delle aziende all’elusione delle norme sul lavoro, ma per un problema di sostenibilità occupazionale. Il salario minimo, dunque, rischierebbe di avere un impatto negativo sull’occupazione.
Domanda. Lei ha sollevato la preoccupazione che il salario minimo legale possa “scavalcare i sindacati” e annullare il ruolo della contrattazione. Può spiegarci in che modo l’introduzione di un salario minimo legale minerebbe l’autonomia e la funzione delle organizzazioni sindacali e quali sarebbero le conseguenze per i lavoratori?
Marco Proietti: Una percentuale considerevole dei contenziosi del lavoro in Italia è rappresentata da controversie sulle differenze retributive: diverso contratto collettivo, orario errato, straordinari non pagati, mancata erogazione del TFR o di indennità varie.
Immaginiamo allora una legge che stabilisca per tutti un salario minimo di 9 euro l’ora. In questo scenario, un’azienda, pur di evitare questioni legate alla retribuzione, potrebbe limitarsi a rispettare la tariffa oraria prevista dalla legge, senza alcun vincolo ad adottare un determinato contratto collettivo. Potrebbe così gestire il rapporto direttamente con il singolo dipendente, garantendo le tutele costituzionali (ferie, TFR, malattia), ma bypassando completamente il sindacato.
Il salario minimo toglierebbe ai sindacati il principale terreno di confronto – la trattativa sulla retribuzione – riducendone drasticamente il ruolo, che rischierebbe di restare solo simbolico.
Domanda. Dato che il salario minimo legale potrebbe livellare le retribuzioni, un’alternativa è proprio il rafforzamento della contrattazione collettiva. Come si potrebbe intervenire per garantire che i Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro forniscano una retribuzione equa a tutti i lavoratori, evitando l’uso dei cosiddetti “contratti pirata”?
Marco Proietti: Sul punto vi è già un ampio dibattito. Un primo elemento è rappresentato dal riferimento alle tabelle retributive dell’INPS, che garantiscono un adeguamento retributivo calcolato anche sul costo della vita nei vari settori.
Il secondo elemento è l’introduzione di una legge sulla rappresentanza sindacale, che restituisca validità erga omnes ai CCNL dei singoli settori.
Domanda. Lei propone una legge sulla rappresentanza come soluzione per eliminare i contratti pirata e rafforzare le relazioni sindacali. Quali dovrebbero essere i pilastri di una tale legge per renderla efficace e per far sì che garantisca una rappresentanza autentica e tuteli i diritti dei lavoratori?
Marco Proietti: Una legge sulla rappresentanza dovrebbe garantire la trasparenza sulla dimensione delle sigle sindacali e sui relativi bilanci. In questo modo si risolverebbero i problemi interpretativi legati alla “maggiore rappresentatività”, che ci trasciniamo dal 1949 a causa della mancata attuazione dei commi 3 e 4 dell’art. 39 della Costituzione.
L’assenza di regole chiare ha portato al proliferare di sigle sindacali e di contratti collettivi: oggi sono oltre 1.000 quelli depositati al CNEL. Una legge ben strutturata aiuterebbe a identificare l’interlocutore legittimo, anche in sede di contrattazione di secondo livello.
Domanda. In molti Paesi europei il salario minimo legale è una realtà consolidata. Quali sono le principali differenze tra il sistema economico e del lavoro italiano e quello di questi Paesi che, a suo avviso, rendono il modello del salario minimo inapplicabile in Italia?
Marco Proietti: In Italia non mancano minimi retributivi: essi sono già fissati dalla contrattazione collettiva. La differenza rispetto ad altri Paesi riguarda soprattutto il cuneo fiscale e le forme di previdenza garantite.
Da noi, per ogni lavoratore assunto a tempo pieno, il datore di lavoro sostiene un costo quasi doppio rispetto al salario netto percepito. Questo rende molto più difficile applicare un modello di salario minimo legale senza rischiare effetti distorsivi su occupazione e competitività.
L’intervento dell’avv. Marco Proietti evidenzia come il dibattito sul salario minimo non possa prescindere dalle peculiarità del sistema italiano, fondato sulla contrattazione collettiva e gravato da un pesante cuneo fiscale. Secondo l’avvocato, l’introduzione di una soglia legale rischierebbe di ridurre il ruolo dei sindacati, spingere le imprese verso l’irregolarità e compromettere la sostenibilità occupazionale, soprattutto nelle piccole e medie imprese.
Le alternative proposte guardano invece al rafforzamento della contrattazione collettiva, alla legge sulla rappresentanza sindacale e all’utilizzo di strumenti statistici e previdenziali per garantire retribuzioni eque.
In un Paese caratterizzato da forti squilibri settoriali e da un tessuto produttivo frammentato, la sfida sembra dunque quella di coniugare tutela del lavoro e sostenibilità economica, senza snaturare il ruolo delle parti sociali né aggravare ulteriormente il costo del lavoro.
