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Comunicato Stampa
4 settembre 2025
Scuola: Save the Children, circa 1 studente su 8 non ha la cittadinanza italiana. Al via un nuovo anno segnato da profonde disuguaglianze che colpiscono i minori con background migratorio. Il riconoscimento della cittadinanza italiana agli studenti di seconda generazione può influenzare le scelte educative e, secondo un’analisi, potrebbe generare in un decennio benefici per lo Stato fino a 3 milioni di euro ogni 100 nuovi cittadini.
Il Rapporto “Chiamami col mio nome” – realizzato dal Polo Ricerche dell’Organizzazione in collaborazione con il Movimento Italiani senza cittadinanza, Fondazione Bruno Kesslere Think Tank Tortuga – evidenzia che, tra gli studenti con i rendimenti scolastici migliori alle scuole medie e uno status socioeconomico basso, solo il 52,7% di quelli di seconda generazione e il 48,7% di quelli di prima generazione ha scelto il liceo. Più di un quarto degli studenti con background migratorio è in ritardo scolastico (26,4%). A fare la differenza, oltre alla condizione di svantaggio socioeconomico, anche il mancato riconoscimento della cittadinanza e una penalizzazione nell’orientamento
La scuola italiana è segnata da profonde diseguaglianze nei percorsi educativi tra gli studenti senza e con background migratorio. Nonostante alcuni segnali incoraggianti, le ragazze e i ragazzi senza cittadinanza italiana spesso affrontano un percorso scolastico più accidentato, con una maggiore incidenza di ritardi scolastici, dispersione e abbandono, che compromettono le aspirazioni, il potenziale e il futuro di migliaia di bambini, bambine e adolescenti. Al di là delle difficoltà, l’istruzione è percepita dai giovani con background migratorio e dalle loro famiglie come un valore fondamentale e come uno strumento di realizzazione personale e sociale. Il riconoscimento della cittadinanza italiana influisce positivamente sui percorsi scolastici e sul futuro occupazionale dei giovani, contribuendo a ridurre le diseguaglianze e a rafforzare le opportunità di partecipazione alla società, con ritorni economici anche per lo Stato.
Nell’anno scolastico appena concluso, circa uno studente su 8 (12,2%, circa 865mila) non aveva la cittadinanza italiana[1], un valore quadruplicato rispetto a 20 anni fa (erano poco meno del 3% nell’a.s. 2002-03)[2], eppure, nonostante l’impegno, la scuola italiana fatica a rispondere alle sfide educative che la presenza di questi giovani impone. Secondo gli ultimi dati disponibili, più di 3 su 5 di loro (il 65,4%) sono nati nel nostro Paese[3]. In termini assoluti, la Lombardia, con più di 231 mila alunni – un quarto del totale – è la regione che registra la maggiore presenza, seguita da Emilia-Romagna e Veneto[4]. Dal punto di vista dell’incidenza percentuale sulla popolazione studentesca totale, la prima regione è l’Emilia-Romagna (18,4%), seguita da Lombardia (17,1%), Liguria (15,8%), Veneto (15,2%) e Toscana (15,1%), in coda – con meno del 4% di alunni senza cittadinanza italiana sul totale degli alunni – Molise, Puglia, Campania e Sardegna.
Sono alcuni dei dati presentati nel Rapporto “Chiamami col mio nome. Un’indagine sugli studenti con background migratorio nelle scuole italiane”, diffuso oggi da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine e garantire loro un futuro – in vista della riapertura delle scuole e dopo un anno in cui la tematica della cittadinanza è tornata al centro del dibattito pubblico: una fotografia delle diseguaglianze nei percorsi scolastici di bambine, bambini e adolescenti di origine straniera e delle strategie con cui si cercano di superare queste difficoltà, ma anche delle loro aspirazioni e potenziale.
Gli studenti con background migratorio ottengono punteggi più bassi degli studenti di origine italiana alle prove Invalsi di italiano e matematica, ma più alti in inglese. Mentre tra gli studenti con background migratorio di prima generazione la dispersione implicita raggiunge il 22,5%, molto distante rispetto all’11,6% dei coetanei di origine italiana, il dato migliora notevolmente tra gli studenti di seconda generazione (10,4%)[5]. Tuttavia, tra gli studenti senza cittadinanza più di un quarto non completa il percorso di istruzione secondaria di II grado[6].
Gli studenti con background migratorio evidenziano anche tassi più elevati di ritardo scolastico[7]: il 26,4% contro il 7,9% dei loro coetanei di origine italiana[8]. Tra quelli di prima generazione, più di 1 su 6 (17,8%) ha ripetuto l’anno scolastico una volta, cosa che si verifica per poco più di 1 su 10 (11,5%) tra gli alunni di seconda generazione e che interessa solo il 4,6% degli italiani.
Le cause delle disuguaglianze che colpiscono le studentesse e gli studenti con background migratorio sono molteplici. Oltre alle condizioni socioeconomiche familiari, che spiegano gran parte dei divari, fenomeni di penalizzazione nell’orientamento e forme di segregazione scolastica influenzano i percorsi e le scelte scolastiche, tra cui il cosiddetto white flight, ovvero la tendenza da parte delle famiglie italiane a ritirare i propri figli da scuole dove la percentuale di studenti stranieri è particolarmente alta.
“La presenza di tanti bambini, ragazzi e ragazze di origine straniera nelle aule scolastiche rappresenta un patrimonio fondamentale, a maggior ragione in un Paese che attraversa una gravissima crisi demografica. È necessario sostenere le scuole e i territori, per superare gli ostacoli che oggi rendono il percorso di studi di questi studenti e studentesse più difficile e accidentato rispetto ai coetanei, anche a parità di condizioni economiche e di rendimento scolastico. È un investimento che riguarda tutto il Paese. Basti pensare al fatto che l’Italia è agli ultimi posti in Europa per numero di giovani laureati, con gravi conseguenze sullo sviluppo. Eppure, gli studenti senza cittadinanza italiana iscritti all’università sono solo il 3,9% del totale degli iscritti. “Chiamare con il loro nome” questi ragazzi e ragazze – come recita il titolo del Dossier –significa valorizzarli nelle loro identità, contrastare la segregazione formativa e ogni forma di xenofobia e razzismo, dare libero corso alle loro capacità e aspirazioni” ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice Ricerca di Save the Children.
Le influenze e i condizionamenti nella scelta della scuola superiore
In Italia, quasi la metà delle famiglie con minori ed entrambi i genitori senza cittadinanza italiana (il 41,4%)vive in unacondizione di povertà assoluta, a fronte dell’8,2% tra le famiglie con genitori con cittadinanza italiana[9], e oltre la metà (52%) degli studenti quindicenni con background migratorio appartiene al quartile socioeconomico più basso: una quota doppia rispetto agli studenti autoctoni (25%)[10]. La condizione economica incide anche sulle scelte scolastiche per le scuole superiori: molti studenti con background migratorio privilegiano percorsi formativi che garantiscono un accesso più rapido al mercato del lavoro, come gli istituti professionali o tecnici[11].
Gli studenti con background migratorio, infatti, con un meccanismo di autoselezione, si mostrano meno propensi a seguire il consiglio di iscriversi al liceo quando viene dato (73% rispetto all’89% degli studenti di origini italiane), prediligendo un percorso più orientato al lavoro. La povertà, tuttavia, non è l’unico fattore che incide in questa direzione sulle scelte degli studenti con background migratorio: ci sono anche possibili pregiudizi negativi che portano a orientare gli studenti con background migratorio più frequentemente dei loro coetanei verso istituti tecnici o professionali piuttosto che al liceo, anche a parità di competenze e condizione socioeconomica[12]. Secondo i dati ISTAT, prendendo in considerazione i minori in una condizione economica che definiscono buona, solo il 35,4% di quelli di prima generazione intende iscriversi al liceo, percentuale che sale al 43,7% per gli studenti di seconda generazione, contro il 51% degli italiani. Anche tra gli studenti che si definiscono “molto bravi a scuola”, solo il 60,6% tra quelli di seconda generazione e il 47,8% tra quelli di prima pensa di iscriversi al liceo, contro il 70% degli studenti senza background migratorio.
Più in generale, il 53,7% degli alunni di origine italiana sceglie il liceo – a prescindere dal rendimento scolastico e dalla condizione socioeconomica – con una differenza di circa venti punti percentuali rispetto agli studenti con background migratorio (sono il 35% quelli di prima generazione, percentuale che sale al 42,9% per quelli di seconda). Tra coloro che intendono iscriversi a un istituto professionale, emerge un calo sostanziale tra le prime e le seconde generazioni, passando dal 12% al 4% (il 2,5% tra gli studenti di origine italiana). Tra gli studenti con background migratorio di prima generazione che vivono in condizioni socioeconomiche svantaggiate, e che hanno mostrato livelli di apprendimento elevati alla fine delle scuole medie nell’anno scolastico 2021/22, poco meno di 1 su 2 (il 48,7%) si è poi iscritto al liceo l’anno successivo, percentuale che sale al 52,7% tra gli studenti di seconda generazione e al 60,7% tra gli alunni senza background migratorio. Per quanto riguarda le iscrizioni agli istituti tecnici di coloro che vivono in condizioni socioeconomiche elevate e sono tra i “best performers” alle scuole medie nel 2021/2022, solo l’8,4% degli studenti italiani si è poi iscritto l’anno successivo ad un istituto tecnico, contro il doppio degli studenti di seconda generazione (16,2%). Quasi uno su sei (17,1%) degli studenti con esperienza migratoria nelle stesse condizioni non ha invece proseguito la scuola l’anno successivo o ha accumulato almeno un anno di ritardo.
L’Università: un sogno a cui non si aspira
Ad oggi l’Italia è tra i Paesi Ocse in cui gli studenti con background migratorio mostrano aspettative significativamente più basse (-12 punti percentuali) rispetto ai coetanei autoctoni riguardo all’iscrizione all’università e al completamento degli studi[13], tanto che soltanto il 3,9% degli studenti iscritti all’università è di origine straniera[14], con Lombardia, Lazio e Piemonte dove si concentra quasi la metà degli iscritti (poco più di 35 mila)[15]. Anche in questo caso, come per la scelta della scuola superiore, incidono negativamente la condizione economica e l’orientamento. Gli studenti che si definiscono “molto bravi” a scuola che intendono iscriversi all’università sono il 61,1% tra quelli di prima generazione, il 64,4% tra quelli di seconda e il 74,7% tra coloro che hanno origini italiane. La minore frequenza all’università tende a escludere i giovani di origine straniera da lavori più qualificati, tanto che oggi in Italia solo il 17,5% dei lavoratori di origine straniera si colloca nelle tre categorie professionali più alte (dirigenti, professioni intellettuali, tecniche e scientifiche), contro oltre il 40% degli italiani[16].
Gli effetti della cittadinanza sul successo scolastico e il costo di una legge anacronistica
Un’analisi realizzata dal Think tank Tortuga per Save the Children mostra come la cittadinanza italiana influisca sulle scelte nei percorsi scolastici degli studenti con background migratorio. Lo studio evidenzia che gli studenti di seconda generazione che acquisiscono la cittadinanza italiana effettuano scelte scolastiche e conseguono risultati più simili a quelli dei coetanei di origine italiana, rispetto agli altri gruppi di studenti con background migratorio. Sebbene la cittadinanza non sia sufficiente a colmare del tutto il divario con i nativi, contribuisce a ridurlo in modo significativo — quasi dimezzandolo — in una fase cruciale per la futura carriera lavorativa.
L’analisi contiene anche una stima sulle probabilità di frequentare l’università per gli studenti di seconda generazione, con e senza cittadinanza, e degli esiti di lungo periodo riguardo a salari e disoccupazione: secondo le stime, il riconoscimento della cittadinanza per le seconde generazioni può generare nell’arco di un decennio benefici economici per il bilancio dello Stato, e quindi per l’intera comunità nazionale, tra gli 800 mila e i 3,4 milioni di euro ogni 100 nuovi cittadini.
“Per rispondere alla domanda di appartenenza dei giovani con background migratorio è importante che il Parlamento riapra la discussione sul tema, per arrivare a un nuovo quadro legislativo che, sulla base dello ius soli temperato, riconosca la cittadinanza a chi nasce in Italia da genitori regolarmente residenti e preveda percorsi semplificati per chi in Italia è cresciuto. Va inoltre rafforzato il supporto alle scuole, soprattutto nei territori più fragili, formando il personale scolastico sulle competenze metodologico-didattiche inclusive e la prevenzione dei pregiudizi nell’orientamento, garantendo la presenza di mediatori interculturali a supporto delle famiglie. È fondamentale che il Ministero dell’Istruzione e del Merito definisca un Piano che, anche mettendo a sistema strumenti e interventi già avviati, promuova un’educazione inclusiva e interculturale. Riconosciamo lo sforzo iniziale di inserire nuovi docenti per il potenziamento dell’insegnamento della lingua italiana agli studenti e alle studentesse con background migratorio, ma occorre consolidare questo impegno e proseguire in questa direzione per assicurare un’adeguata presenza sul territorio e una distribuzione coerente di docenti di italiano L2 con i bisogni effettivi delle scuole”, ha dichiarato Giorgia D’Errico, Direttrice delle Relazioni Istituzionali di Save the Children.
Le voci delle studentesse e degli studenti con background migratorio
Per il dossier “Chiamami con il mio nome” di Save the Children è stato inoltre realizzato uno studio con approfondimento di tipo qualitativo, in collaborazione con Fondazione Bruno Kessler- Centro per le Scienze Religiose e il movimento Italiani Senza Cittadinanza, volto a indagare le prospettive, le esperienze, le aspirazioni e le difficoltà di ragazze e ragazzi con background migratorio riferite ai loro percorsi sociali e scolastici e a raccogliere il punto di vista di insegnanti, operatori del sociale, educatori e attivisti riguardo alle sfide dell’inclusione, con attenzione ad alcuni territori del Nord Italia (Brescia, Modena e Trento), che frequentano il primo e il quinto anno di alcune scuole secondarie di secondo.
Per quanto riguarda l’orientamento, alcuni ragazze e ragazzi con un buon rendimento scolastico intervistati raccontano di essere stati sconsigliati rispetto alla scelta del liceo. Leila frequenta il primo anno di un liceo delle scienze umane, ricorda però che i suoi professori delle medie le dissero che il liceo non sarebbe “riuscita a farlo”. “Ho sempre avuto qualche difficoltà, è vero, però sono molto migliorata, la mia media generale ora è buona”, racconta.
La maggior parte delle studentesse e degli studenti intervistati ha affrontato difficoltà nello studio, che ora ritengono però superate o superabili. Molti hanno frequentato corsi di recupero o sono stati affiancati da tutor, quasi mai però a scuola, ma tramite associazioni o insegnanti privati pagati dalle famiglie. Il supporto allo studio viene descritto come discontinuo – soprattutto alle scuole secondarie di secondo grado – e poco fruibile. Ad esempio, per alcuni studenti, gli orari dei corsi pomeridiani sono “insostenibili” per via del tempo necessario a raggiungere il proprio domicilio, situato in zone periferiche, con i mezzi pubblici.
Nonostante le difficoltà, spesso gli studenti con background migratorio sono consapevoli di doversi impegnare nel percorso d’istruzione, a volte anche perché non si sentono del tutto inseriti nel contesto della scuola e, più in generale, nella società. Nei processi di inclusione, le amicizie multiculturali dentro e fuori dalla scuola rappresentano spazi di solidarietà importanti e un fattore chiave che incide sulla soddisfazione rispetto all’esperienza educativa.
Per quanto riguarda, invece, le aspirazioni, nelle voci delle ragazze e dei ragazzi con background migratorio intervistati emerge la determinazione rispetto al raggiungimento del diploma, diffusa anche tra i più giovani e tra chi frequenta istituti tecnici o professionali. Il diploma viene considerato un mezzo per costruire un futuro più stabile e un riconoscimento dei sacrifici familiari. Come racconta Darid, ottenerlo “è importante per rendere fieri i miei genitori”.
Nel delineare il proprio futuro però molti giovani con background migratorio ritengono che il riconoscimento della cittadinanza sia una condizione necessaria per poter immaginare il domani con fiducia, sentirsi legittimati nelle proprie aspirazioni e accedere a opportunità, come viaggiare, lavorare, iscriversi all’università, partecipare a scambi culturali in altri Paesi o allo sport agonistico, accedere a concorsi pubblici e altro. Nel complesso, se per alcuni degli intervistati la cittadinanza sembra essere una questione ancora poco definita, per altri assume una valenza che va ben oltre la dimensione giuridica e la sua mancanza può generare un senso di esclusione o di sospensione identitaria, come racconta Daniel: “Quel pezzo di carta ti aiuta a sentirti più legato all’Italia… perché se glielo dici tu magari qualcuno non ci crede [che sei italiano]”. Anche Yasin ne evidenzia la portata relazionale e identitaria: “Se non l’avessi, non lo so, mi sentirei completamente straniero”.
Le ragazze e i ragazzi con background migratorio sviluppano forme di identità plurali, mantenendo spesso un legame, anche critico, con le culture del Paese di provenienza dei loro genitori, che vorrebbero vedere riconosciute a livello sociale in Italia, e chiedono di essere riconosciuti nelle loro identità, a partire dalla pronuncia corretta del loro nome.
La versione integrale del Rapporto “Chiamami col mio nome. Un’indagine sugli studenti con background migratorio nelle scuole italiane” è disponibile a questo link: https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/chiamami-col-mio-nome
Un video è disponibile a questo link (senza sottotitoli):
Una selezione di foto è disponibile a questo link (credits sul titolo delle foto): https://drive.google.com/drive/folders/1AmefjxKkBSKPdNReLVFmnQ0IO8otCW_k?usp=sharing