
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha rivisto al rialzo le proprie previsioni economiche per la Cina, indicando una crescita del PIL pari al 4,8% nel 2025, un incremento di 0,8 punti percentuali rispetto alle stime di aprile. L’aggiornamento, contenuto nel rapporto di luglio del World Economic Outlook, riflette un’attività economica più forte del previsto nella prima metà dell’anno e l’allentamento delle tariffe commerciali tra Stati Uniti e Cina.
Anche per il 2026, il FMI ha aumentato le sue stime di crescita per Pechino, portandole al 4,2%, con un incremento di 0,2 punti percentuali. Secondo il Fondo, questa revisione si deve anch’essa al miglioramento dei rapporti commerciali tra Washington e Pechino, elemento chiave che ha stimolato la fiducia dei mercati.
Parallelamente, il FMI prevede che l’inflazione globale core (cioè al netto dei beni più volatili) scenderà al 4,2% nel 2025 e al 3,6% nel 2026, sostenuta da una minore domanda energetica e dal calo dei prezzi dell’energia, elementi considerati cruciali per la tendenza disinflazionistica globale. Tuttavia, gli esperti del FMI avvertono che l’inflazione negli Stati Uniti potrebbe restare sopra l’obiettivo del 2% fino al 2026, anche a causa dell’introduzione di nuovi dazi da parte di Washington, i quali potrebbero spingere i prezzi al rialzo nella seconda metà del prossimo anno.
Per l’area euro, il FMI ha alzato le previsioni di crescita del PIL al 1% per il 2025, grazie soprattutto ai positivi risultati economici dell’Irlanda nel primo trimestre del 2025. Senza questo effetto, la crescita dell’Eurozona sarebbe stata rivista al rialzo solo dello 0,1%. Le stime per il 2026 rimangono invariate al 1,2%. Per i singoli Paesi: la Germania dovrebbe crescere dello 0,1% nel 2024 e dello 0,9% nel 2026, la Francia dello 0,6% nel 2025 e dell’1% nel 2026, mentre per l’Italia si prevede un +0,5% nel 2025 e +0,8% nel 2026. La Spagna, invece, dovrebbe segnare una crescita del 2,5% nel 2024 e dell’1,8% nel 2025.
Il rapporto sottolinea che l’eterogeneità delle condizioni economiche globali continua a rendere difficile il coordinamento delle politiche monetarie tra le grandi economie. Se negli Stati Uniti la pressione inflazionistica sembra destinata a rimanere, in Europa e in Asia si prevede un rientro più regolare dell’inflazione verso i target.