
(AGENPARL) – Tue 15 July 2025 EX ILVA, DICHIARAZIONE DEL PRESIDENTE EMILIANO SULL’INCONTRO A ROMA CON I
MINISTRI URSO E PICHETTO FRATIN.
“A Taranto c’è una situazione ambientale molto pesante, che non possiamo
ignorare. In entrambi gli scenari oggi in discussione, sia quello con i
forni DRI, sia quello senza, è inevitabile un periodo di transizione in cui
continueranno a funzionare gli altiforni a ciclo integrale, che producono
emissioni elevatissime.
Va ricordato che la decarbonizzazione riduce le emissioni fino al 95%, il
che significa che per almeno sette o otto anni, continueremo ad avere
impianti che emettono quel 95% in più che la decarbonizzazione
eliminerebbe. Questo legittimamente scatena la rabbia della popolazione di
Taranto, che chiede la chiusura immediata delle fonti inquinanti.
Ma chiudere subito le fonti inquinanti significa chiudere lo stabilimento,
perché l’idea di fermare solo il reparto a caldo è irrealistica: l’impianto
a freddo a Taranto è già fermo da anni. Dunque, chiudere a Taranto
l’impianto a caldo equivale a chiudere l’intera fabbrica.
Se l’intenzione fosse chiudere l’industria siderurgica di Taranto, sarebbe
legittima, ma andrebbe affrontata come un vero piano industriale nazionale,
complesso tanto quanto rilanciare lo stabilimento.
Finora, però, nessuna forza politica nazionale, nemmeno quelle più attive
localmente contro l’accordo di programma, ha mai dichiarato che l’obiettivo
è chiudere la fabbrica.
Alla luce di questo, stiamo lavorando per trovare un accordo realistico,
che contempla due scenari principali:
il primo, più solido industrialmente, con 3 o 4 forni DRI che gradualmente
sostituiscano gli altiforni.
Il secondo scenario, più debole dal punto di vista industriale, prevede
solo forni elettrici.
Entrambi gli scenari sono in discussione. È evidente che il sindaco appena
eletto ha bisogno di ascoltare la sua comunità e capirne il sentimento.
L’assurdo è che una questione così strategica per tutto il Paese, venga
lasciata interamente sulle spalle degli enti locali.
Il Parlamento tace, i partiti non si esprimono, e ci ritroviamo noi, da
soli. La Regione Puglia si è presa le sue responsabilità. Io ci sto
mettendo la faccia, anche a quattro mesi dalla fine del mio mandato, come
se fossi stato appena eletto.
Devo però riconoscere un’eccezione: il Partito Democratico, e in
particolare la segretaria Elly Schlein, ci sta sostenendo nel percorso di
decarbonizzazione, dandoci chiarezza su quello che dovrebbe essere il
futuro industriale di Taranto.
Sarà proprio su questo tema che si capirà se le forze d’opposizione al
governo saranno in grado di gestire le crisi industriali. Quando si cavalca
l’onda, tutti sono capaci di trovare consenso, ma oggi si tratta di dire sì
o no in una situazione difficile. E questa è anche una grande partita
politica.
Purtroppo, l’Italia sta ancora una volta scaricando su Taranto il peso del
proprio futuro industriale, lasciando il sindaco da solo a dover spiegare
ai suoi cittadini che, per altri 7-8 anni, dovranno convivere con fonti
inquinanti.
Nessuna scelta renderà Taranto soddisfatta. Qualsiasi scenario comporta
anni di prosecuzione dell’attività a ciclo integrale, che produce impatti
ambientali inevitabili. Ma la chiusura per implosione non può essere una
scelta politica: significherebbe abbandonare un territorio vastissimo al
degrado, all’inquinamento e alle malattie e questo non può essere accettato.
Resta il tema energetico: per far funzionare la fabbrica servono
quantitativi di gas che, ad oggi, non sembrano disponibili tramite
strutture a terra (on-shore). Questa non è una condizione permanente: è
possibile che, nel tempo, il gas possa arrivare da Tap o da altre
infrastrutture.
Nel frattempo, se servisse gas in via transitoria, si è parlato di una nave
rigassificatrice. Ma neanche al Ministero sanno con certezza se una nave
del genere possa essere posizionata nel porto di Taranto secondo la
normativa italiana.
E considerata la presenza ravvicinata di due impianti industriali ad alto
rischio, l’ex Ilva e la raffineria ENI, bisogna essere estremamente cauti.
Le infrastrutture sono interconnesse, e non si può trattare la nave come un
totem obbligatorio. Potrebbe essere che della nave si debba fare a meno
perché la nave rigassificatrice non è compatibile con le leggi che
prevengono incidenti rilevanti.
Il punto non è la nave in sé, ma che serve gas per realizzare la
decarbonizzazione, in attesa dell’idrogeno. Il gas va garantito, e poi si
vedrà come fornirlo. E se la nave non è desiderata o non è legale bisogna
farne a meno. Altrimenti l’accordo non si può chiudere.
L’orizzonte oggi è difficile, ma questo accade perché questa vicenda è
stata lasciata marcire per anni.
Se dieci anni fa si fosse dato seguito alla proposta della Regione Puglia,
e se i due forni DRI finanziati dal governo Draghi fossero stati
realizzati, oggi non saremmo in questo dramma.
Invece, si è preferito ignorare, rinviare, rimandare. E ora tutto il peso
ricade su Taranto, sul suo sindaco, sulle sue istituzioni, sulle sue
comunità. Ed è questa, oggi, la vera ingiustizia”.
Lo ha dichiarato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano prima
di incontrare il ministro delle Imprese e del Made in Italy a Roma nella
sede del ministero.
Alla riunione è presente anche il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin.