
(AGENPARL) – Wed 09 July 2025 Al link le immagini dell’operazione: [ https://www.poliziadistato.it/pressarea/Share/link/1e1a423c-5c23-11f0-9cc0-736d736f6674 | https://www.poliziadistato.it/pressarea/Share/link/1e1a423c-5c23-11f0-9cc0-736d736f6674 ]
COMUNICATO STAMPA
OPERAZIONE “GRANDSONS 2”
Nelle prime ore di oggi, personale della Polizia di Stato della Squadra Mobile della Questura di Ascoli Piceno, collaborata dalla S.I.S.C.O. di Ancona, a conclusione di una lunga e articolata attività investigativa diretta dalla Procura Distrettuale Antimafia presso il Tribunale di Ancona, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 14 individui (12 in carcere e 2 agli arresti domiciliari), gravemente indiziati di aver posto in essere condotte riconducibili ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, ed altre condotte riconducibili alla illecita detenzione di più armi comuni da sparo e da guerra (2 pistole a tamburo, 1 fucile a canne mozze, bomba a mano in uso all’Esercito Italiano, priva di carica esplosiva).
Nel rispetto dei diritti delle persone indagate e della presunzione d’innocenza, per quanto risulta allo stato, salvo ulteriori approfondimenti ed in attesa di giudizio, si comunica quanto segue.
A seguito di una vasta e complessa attività d’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Ancona, condotta dalla Polizia di Stato – Squadra Mobile di Ascoli Piceno – con la collaborazione della S.I.S.C.O. di Ancona, è stata individuata e disarticolata un’associazione criminale dedita al traffico illecito di sostanze stupefacenti, con uso e disponibilità di armi da fuoco e da guerra, operante nella provincia di Ascoli Piceno, in quella limitrofa abruzzese, nonché in altre regioni d’Italia.
Le indagini, inizialmente coordinate dalla Procura della Repubblica di Ascoli Piceno, consentivano di acquisire importanti elementi indiziari riguardo un gruppo di persone responsabile di un traffico di sostanze stupefacenti nella provincia ascolana e in quella limitrofa di Teramo.
In detto contesto, emergeva fin da subito la figura di spicco del gruppo di un uomo di anni 50, noto pregiudicato per gravi reati, quali associazione a delinquere di stampo mafioso, poiché in passato legato ad una cosca di ndrangheta (Vrenna-Corigliano-Bonaventura) e condannato per traffico di stupefacenti, ricettazione ed evasione.
Tali fatti emergevano anche nell’ambito di una parallela attività investigativa coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro – Direzione Distrettuale Antimafia.
I fatti di reato acclarati nell’ambito dei due procedimenti penali venivano pertanto convogliati alla Procura Distrettuale Antimafia di Ancona, essendo emerso un serio quadro probatorio in ordine all’esistenza di un gruppo criminale stabile ed organizzato diretto dal principale indagato, gerarchicamente ordinato, con suddivisione di ruoli e funzioni, avente come scopo il traffico di sostanze stupefacenti nella provincia di Ascoli Piceno ed in quelle limitrofe, nonché in altre regioni.
Dalle successive attività delegate dalla Procura Distrettuale Antimafia emergeva la piena operatività dell’attività di spaccio di stupefacente del gruppo capeggiato da detto soggetto, la cui base operativa si identificava nell’abitazione dello stesso, nella zona di San Benedetto del Tronto, un’immobile costruito abusivamente con degli abbellimenti architettonici (leoni e mosaici), simbolo del potere dell’organizzazione.
Qui, infatti, le attività criminali venivano deliberate, programmate, ripartite e in parte realizzate, con il confezionamento della sostanza stupefacente. Emergeva come l’organizzazione, con a capo il soggetto calabrese, avesse assunto la fisionomia di un clan, che attraverso l’utilizzo di armi, violenza e ritorsioni, stava conquistando il mercato della droga (cocaina, eroina e hashish) nella provincia di Ascoli Piceno e, in particolare, nella zona costiera di San Benedetto del Tronto. L’uomo veniva da tutti chiamato “zio”, un termine che lo indicava a capo della struttura, da qui la denominazione dell’operazione antidroga “Grandsons”.
La struttura è risultata caratterizzata da rapporti di parentela tra gli associati, equilibrati dalla partecipazione agli scopi criminali anche delle donne (3 quelle colpite da custodia cautelare in carcere e 2 agli arresti domiciliari), e aveva stretto una stabile alleanza con alcuni soggetti albanesi che, com’è noto, gestiscono anche in questa regione i grandi quantitativi di cocaina.
Emergeva come il predetto avesse la piena disponibilità ed operatività del gruppo, sia per mezzo di formali direttive, sia tramite episodi di minacce e violenze. Lo stesso, facendo leva sul suo passato criminale e godendo di amicizie attuali con alcuni esponenti della ndrangheta calabrese, è riuscito ad intimorire i giovani sodali, che spingeva a svolgere numerose cessioni di stupefacente e a compiere azioni intimidatorie e ritorsive attraverso l’utilizzo delle armi.
Emblematico al riguardo, risultava essere un episodio accaduto nel contesto di un’attività di spaccio, in cui il principale indagato usava violenza nei confronti di un soggetto straniero vicino al gruppo, mettendolo in condizione di inferiorità e brandendo verso lo stesso un machete col quale lo costringeva ad aderire alle sue disposizioni, così imponendogli la sua condizione di vertice.
Nel corso dell’indagine si delineavano numerose figure, tra cui quelle che assumevano maggior rilievo erano quelle di un cittadino di origine albanese, di anni 33, pregiudicato per reati in materia di stupefacenti, residente in un comune dell’adiacente provincia di Teramo, che risultava interessato ad una coltivazione di una piantagione di marijuana in Spagna da trasportare verosimilmente in Italia.
Nel contesto associativo, oltre alle figure di spicco, venivano individuati altri sodali con un ruolo di subordinazione, che svolgevano, oltre all’attività di spaccio al dettaglio dello stupefacente, il taglio dello stesso, il confezionamento e la raccolta delle somme provento dell’attività di spaccio.
Emergeva inoltre la disponibilità da parte del principale indagato e di altri appartenenti al gruppo, di armi da fuoco, sia corte che lunghe, sia alcune modificate per aumentarne la potenzialità offensiva. Si accertava, infatti, che il predetto aveva la disponibilità di due pistole a tamburo, un fucile a canne mozze ed una bomba a mano, sebbene priva della carica esplosiva. Inoltre, il gruppo aveva l’ulteriore disponibilità di una pistola semiautomatica calibro 9 x 21.
Le medesime risultavano custodite nelle pertinenze dell’abitazione dello stesso e venivano rinvenute nel corso di una perquisizione.