
La Bosnia-Erzegovina si trova ancora una volta al centro di un crepuscolo giuridico e politico. Nulla di nuovo, a detta di molti osservatori. Ancora una volta, il nome di Kristijan Šmit, l’inviato straniero che si autodefinisce Alto Rappresentante, torna al centro delle polemiche insieme a una rete di burocrati stranieri e locali che continuano ad agire al di fuori dei parametri stabiliti dall’Accordo di Dayton e dalla Costituzione della Bosnia-Erzegovina.
Il processo di primo grado contro il Presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e il direttore della Gazzetta Ufficiale, Miloš Lukić, è stato già bollato come politicamente motivato da giuristi, osservatori internazionali e da parte dell’opinione pubblica serba della Bosnia. Ora, anche il processo d’appello sembra seguire la stessa traiettoria preoccupante.
La Corte della Bosnia-Erzegovina, da tempo ritenuta incostituzionale da molte voci autorevoli, ha avviato la fase d’appello del procedimento giudiziario mantenendo nel Collegio d’Appello due dei tre giudici che avevano già preso parte alla fase di primo grado. Una mossa che solleva serie perplessità sull’imparzialità della procedura e alimenta ulteriori dubbi sulla correttezza dell’intero iter giudiziario.
Alla vigilia di una decisione cruciale, la domanda fondamentale è: il Consiglio d’appello continuerà su questa strada deviata o sarà capace, almeno ora, di rispettare i principi giuridici e costituzionali?
Il futuro della giustizia in Bosnia-Erzegovina e la legittimità delle istituzioni giudiziarie dipendono anche dalla risposta a questa domanda.