
Tutte le forze statali e le milizie recentemente coinvolte in scontri armati, insieme ai loro veicoli militari, hanno iniziato il rientro nelle loro caserme a partire da ieri sera. Questo sviluppo segue una serie di riunioni convocate dal Presidente del Consiglio di Presidenza e Comandante in Capo dell’Esercito Libico, Mohamed Menfi, alla presenza di alti ufficiali, comandanti delle Forze per la risoluzione dei conflitti e membri del Comitato per gli accordi di sicurezza.
Durante gli incontri è stata decisa la creazione di un comitato congiunto per monitorare l’attuazione degli accordi, rilevare eventuali violazioni e adottare misure contro chi li infrange. L’obiettivo dichiarato è l’evacuazione di tutte le manifestazioni armate da Tripoli per permettere alle forze di polizia e alle agenzie ufficiali di sicurezza di riprendere il controllo effettivo della capitale.
Il primo ministro Abd Alhamid Aldabaiba ha confermato, nel corso di un incontro con la Rappresentante Speciale dell’ONU Hanna Tetteh, che il Ministero dell’Interno si sta preparando a gestire completamente la sicurezza della capitale e dei siti strategici. Il piano, supervisionato dal Consiglio di Presidenza, prevede il ritiro totale delle formazioni armate non statali e il ritorno dell’autorità esclusiva alle istituzioni di sicurezza ufficiali.
Tale mossa è anche una risposta diretta agli eventi drammatici di maggio, inclusa la morte controversa del comandante del Stability Support Apparatus (SSA), Abdelghani Ghnewa Al-Kikly, il successivo scioglimento della sua milizia e i violenti scontri con la Special Deterrence Force (SDF/RADA). Anche l’8 giugno si sono registrati nuovi scontri, sintomo della persistente instabilità armata nella capitale.
In un contesto di fragile sicurezza, Aldabaiba ha dichiarato chiaramente che l’intento del governo è porre fine a ogni presenza armata non statale, mandando un messaggio forte anche alle forze di opposizione. Tuttavia, alcuni analisti ritengono che la pressione locale e internazionale potrebbe costringerlo a fare marcia indietro.
Dalla rivoluzione del 2011, le milizie hanno approfittato dell’impunità e dell’incapacità dello Stato di agire con decisione. Hanno spesso usato civili come scudi e infrastrutture pubbliche per rafforzare la propria sopravvivenza, ricattando le autorità con la minaccia di violenza contro la popolazione.
Resta quindi un interrogativo di fondo: per quanto tempo lo Stato e il popolo libico dovranno restare ostaggio delle milizie? Quando sarà possibile costruire uno Stato forte, dotato di un governo legittimo e capace di imporre l’autorità della legge?
A quattordici anni dalla rivoluzione del 2011, la Libia resta bloccata in un passato centralizzato e dipendente dalla rendita petrolifera. Serve oggi più che mai una leadership legittimata, una riforma strutturale e una transizione verso un’economia diversificata e produttiva. Il tempo per agire è ora.