
Con la sentenza n. 3051 del 9 aprile 2025, il Consiglio di Stato ha ribadito un principio di particolare rilievo in materia di condono edilizio: il silenzio serbato dall’amministrazione comunale per oltre 24 mesi su una domanda regolarmente presentata equivale ad assenso, anche quando l’intervento oggetto dell’istanza non risulti astrattamente sanabile.
Nel caso esaminato, un cittadino aveva presentato nel 2004 ben 32 istanze di condono per altrettanti box auto, corredate da documentazione completa e conforme. Dopo un’iniziale interlocuzione, l’amministrazione comunale aveva omesso ogni riscontro per oltre tredici anni, respingendo infine tutte le richieste nel 2017. Il Comune motivava il rigetto sostenendo l’inapplicabilità del silenzio-assenso per presunte carenze documentali e l’estraneità dei manufatti al perimetro degli interventi condonabili.
Il TAR aveva condiviso questa impostazione, ma il Consiglio di Stato ha riformato integralmente la decisione, affermando che l’art. 35 della legge n. 47/1985 attribuisce effetti reali al silenzio protrattosi per oltre 24 mesi, determinando la formazione del titolo abilitativo edilizio, anche laddove l’opera non risulti sanabile in astratto.
Il Collegio ha precisato che, con il decorso del termine previsto dalla legge, l’amministrazione perde il potere di decidere sull’istanza, consolidandosi un assetto giuridico tutelato dal principio di legittimo affidamento. La mancata osservanza dei termini non può dunque essere surrogata da una tardiva revoca dell’assenso implicito, salvo ricorrere ai poteri di autotutela, esercitabili entro 18 mesi e solo in presenza di gravi motivi di interesse pubblico, come stabilito dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990.
Nel caso di specie, il Comune era intervenuto ben oltre tale termine e in assenza di presupposti adeguati, rendendo il proprio operato radicalmente illegittimo. La pronuncia si inserisce nel solco di una giurisprudenza che valorizza la certezza dei rapporti giuridici e rafforza la funzione semplificatrice dell’istituto del silenzio-assenso, impedendone uno svuotamento per via interpretativa.
La decisione conferma che l’inerzia dell’amministrazione non può tradursi in un danno per il cittadino che ha agito in conformità alle disposizioni vigenti e che, trascorso il termine legale, ha maturato un diritto alla stabilità del titolo edilizio ottenuto per silentium.