
Passione, idee, strategie di vendita, prodotti speciali o classici della tradizione: tutto ruota attorno a un unico denominatore comune — la sicurezza e il rigore delle certificazioni. Il “Made in Italy”, inimitabile e riconoscibile in tutto il mondo, è apprezzato soprattutto perché la produzione biologica italiana rappresenta un’eccellenza. Un modello sostenibile che valorizza biodiversità, qualità e legame con il territorio.
Oggi oltre il 20% della superficie agricola italiana è coltivata a biologico, e l’Italia è leader in Europa per numero di produttori e trasformatori. È proprio questa consapevolezza — e questo modello — il tema al centro del convegno “Il Bio Italiano che piace al mondo“, organizzato da AssoBio e tenutosi il 7 maggio nell’ambito di Tuttofood 2025 – International Food Exhibition, in programma a Milano dal 5 all’8 maggio, dove l’Associazione ha partecipato con un’area collettiva dedicata ai propri associati, presenti con i loro prodotti e la loro storia.
Tre importanti case history aziendali, tutte italiane, sono state protagoniste a Fieramilano Rho grazie ai soci di AssoBio, che hanno condiviso le loro esperienze e strategie di successo. Cristina Cossa – Direttrice Marketing di Rigoni di Asiago –, Carlo Gaudiano – Amministratore Delegato di Bio Organica Italia – e Giovanni Battista Girolomoni – Presidente di Gino Girolomoni cooperativa agricola, hanno illustrato i fattori alla base della crescita del biologico italiano.
Durante gli interventi sono stati affrontati temi chiave come le esigenze della grande distribuzione internazionale, le strategie per un efficace equilibrio tra produzione e distribuzione, le scelte dei consumatori, e le azioni messe in campo dalle imprese italiane per affermarsi nei mercati esteri. È emerso con chiarezza il motivo dell’apprezzamento per il biologico Made in Italy e le sue prospettive di sviluppo, anche in nuove aree geografiche emergenti.
“Produzione, commercializzazione e distribuzione sono le nostre parole chiave, ma ciò che ci distingue davvero è una supply chain corta, unita alla passione che mettiamo in ogni fase del processo – ha spiegato Carlo Gaudiano di Bio Organica Italia. Questo approccio ci consente di presentarci ai distributori con la garanzia di una filiera controllata direttamente dal campo, assicurando una tracciabilità autentica e precisa. Per il distributore, i vantaggi sono chiari: il primo è la riduzione dei rischi, perché sapere dove e come viene coltivato il prodotto è una garanzia di qualità; il secondo riguarda il prezzo, che risulta più competitivo grazie alla presenza di meno passaggi intermedi. Ciò che esportiamo, in particolare in Germania, lo definiamo ‘bio 2.0’: un biologico che va oltre gli standard tradizionali, con certificazioni più avanzate. Con la certificazione Naturland, per il mercato tedesco, puntiamo a raggiungere un consumatore più maturo e consapevole. Per ottenere questa certificazione, l’azienda deve soddisfare anche rigorosi requisiti sociali. Il risultato è un prodotto che non solo eccelle in qualità e caratteristiche sensoriali, ma rispetta anche standard etici, sociali e di biodiversità. È un ritorno alle radici del biologico, ispirato dai pionieri di questo settore.”
Giovanni Battista Girolomoni, di Gino Girolomoni Cooperativa Agricola, racconta la propria esperienza partendo da prodotti che sono ormai un simbolo del Made in Italy: “Siamo stati tra i primi a introdurre la pasta integrale biologica e non abbiamo avuto difficoltà ad affermarci sul mercato internazionale. Il fondatore della nostra azienda era solito ricordare che, ancora prima dell’entrata in vigore della normativa europea, alcuni rappresentanti del dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti, erano venuti nelle Marche per studiare il nostro approccio al biologico e definire le linee guida per le normative. Oggi, però, molto è cambiato: la competizione è aumentata e i consumi sono cresciuti, è quindi fondamentale individuare i consumatori e i canali giusti. Ad esempio, in paesi come la Nuova Zelanda i nostri prodotti bio sono venduti presso negozi gourmet specializzati in prodotti italiani, mentre negli Stati Uniti siamo presenti nei “natural stores” che vendono solo prodotti senza OGM, conservanti o additivi, dove il biologico è visto come un ‘valore aggiunto’. In Europa, invece, ci rivolgiamo principalmente a negozi specializzati in prodotti biologici, dove i consumatori sono più fedeli e consapevoli: chi compra un prodotto bio ha già fatto una scelta precisa. Qui siamo piuttosto forti in Francia, nostro primo mercato, che, insieme alla Germania, rappresenta il 45% del nostro fatturato. Nel mercato attuale è fondamentale avere caratteristiche distintive: non basta più il solo biologico, i consumatori oggi cercano anche una filiera certificata, un packaging sostenibile e, in mercati come la Francia, temi come il commercio equo-solidale o la vendita di prodotti sfusi. Proprio in Francia, ad esempio, il nostro mercato sfuso rappresenta il 35% delle vendite.”
“L’Italia è riconosciuta a livello internazionale come un punto di riferimento credibile nel biologico, grazie a imprese capaci di combinare qualità, gusto e serietà produttiva – spiega Cristina Cossa di Rigoni di Asiago. Tuttavia, è compito di ogni azienda trovare il giusto approccio per promuovere i propri prodotti nei diversi mercati, adattandosi alle specificità dei singoli Paesi e alle esigenze dei consumatori locali. Un aspetto cruciale è costruire relazioni solide con i distributori locali, coinvolgendoli nella propria realtà aziendale. Per questo, da sempre invitiamo i retailer – non solo italiani, ma soprattutto esteri – a visitare la nostra azienda, il territorio e gli impianti produttivi, permettendo loro di toccare con mano i nostri valori e il nostro impegno. Questo approccio ci ha permesso di instaurare partnership autentiche e di identificare le linee di prodotto più promettenti per ogni mercato. Grazie a questa strategia, la quota di fatturato all’estero è cresciuta in modo significativo negli ultimi anni, raggiungendo quasi il 50%. Il nostro principale mercato internazionale è la Francia, dove oggi vendiamo più Nocciolata che in qualsiasi altro Paese. Siamo presenti in Francia da circa 15 anni e sin dall’inizio i buyer hanno apprezzato la nostra crema spalmabile come alternativa naturale e biologica, priva di olio di palma, a fronte di un’offerta allora limitata sullo scaffale. Questo successo è stato possibile grazie a uno storytelling autentico, basato sui nostri valori di azienda familiare, radicata nel territorio e appassionata della qualità. Più recentemente, stiamo ottenendo risultati molto positivi anche in Belgio, dove siamo appena diventati il secondo player del mercato. Negli Stati Uniti, invece, il percorso è più complesso: il solo biologico non è sufficiente e abbiamo dovuto ottenere la certificazione non-GMO per soddisfare le aspettative dei consumatori locali. Nonostante una crescente presenza sugli scaffali, l’educazione del mercato americano richiede ancora tempo e investimenti. Guardando al futuro, siamo incoraggiati dall’interesse che mercati emergenti come l’Est Europa, con la Polonia in prima linea, e il Middle East stanno dimostrando verso i prodotti biologici italiani. Ritengo ci sia ancora ampio spazio per le aziende italiane del biologico per conquistare i mercati internazionali, valorizzando la qualità, l’autenticità e l’innovazione, senza mai perdere il legame con le proprie radici e la propria storia.”
Il convegno ha dato spazio anche ai dati della ricerca SWG per AssoBio sul consumo dei prodotti biologici in Europa segmentato in tre macroaree geografiche: Europa orientale, Nord Europa e Sud Europa. In particolare, la fotografia sulle scelte d’acquisto e la percezione dei consumatori in Italia, Germania, Francia e Spagna, ha fornito spunti utili ad analizzare uno dei temi chiave sul bio italiano: un consumo interno che deve ancora crescere.
Per il 22% dei cittadini europei, la scelta di un prodotto da acquistare si basa principalmente sul giusto rapporto qualità-prezzo, mentre per il 16% conta soprattutto la bontà. Il 13% si lascia guidare dall’aspetto esteriore del prodotto e il 6% sceglie in base alla sua provenienza da una filiera sostenibile o al fatto che sia biologico.
Per quanto riguarda i canali di acquisto, emerge una netta preferenza per il supermercato quando si tratta di prodotti a lunga conservazione. Al contrario, per i prodotti freschi, i consumatori tendono a privilegiare canali più “territoriali”, come negozi di quartiere, mercati e produttori diretti. Questo comportamento suggerisce che, quanto più un prodotto è fresco, tanto più aumenta la propensione ad acquistarlo da realtà locali, segno di un interesse crescente verso il consumo di prodotti a Km 0 e verso scelte d’acquisto più consapevoli e sostenibili.
Di particolare rilevanza è la visione dei prodotti biologici da parte degli intervistati dalla quale emerge la necessità di una maggiore informazione e chiarezza sul tema: per il 76% di loro tutti i produttori dovrebbero usare metodi di produzione sostenibile, il 75 % dichiara di avere difficoltà nel capire se un prodotto sia effettivamente biologico, mentre il 61% vorrebbe acquistare biologico ma lo considera un prodotto costoso. In questo quadro, il 49% della popolazione europea non si fida delle certificazioni bio, mentre il 41% la considera solo una moda del settore agrifood: elementi riconducibili alla forte presenza nel settore di loghi e marchi che si definiscono “bio” e sostenibili, come pratiche di greenwashing più che di sostenibilità ambientale. C’è, tuttavia, apertura verso il mondo biologico, dato che il 56% riconosce la differenza tra prodotti bio e non bio e che il 58% dichiara che, se potesse, acquisterebbe esclusivamente prodotti bio.
A chiusura del convegno, la presidente di AssoBio, Nicoletta Maffini, ha sottolineato alcuni degli aspetti che rendono il settore biologico davvero unico. “Il contatto diretto con la natura e la consapevolezza di ciò che sta alla base del prodotto lasciano un segno indelebile in chi lavora in questo settore. Un ulteriore valore aggiunto del biologico è la sua capacità di crescere grazie a una dimensione familiare che coinvolge profondamente i dipendenti, dando loro un senso di partecipazione che spesso manca nelle grandissime imprese. La scelta di fare biologico è una scelta di visione, che si ripaga con il racconto autentico di ciò che si fa e si è: lo storytelling nel biologico è il racconto di una realtà vera. Credo fermamente che, in tutte le nostre imprese e nei marchi biologici affermati in tutto il mondo, la passione di dipendenti sia stata fondamentale. Il biologico non è solo un prodotto, è un impegno per il futuro, un concetto che va oltre le questioni di profitto. Il bio fa molto di più, ed è proprio questo che ci rende orgogliosi.