
(AGENPARL) – Fri 09 May 2025 *Carceri, Flick “Sovraffollate perché è più facile castigare i più deboli.
Preoccupa esternalizzazione esecuzione pena. Riforma penitenziaria promessa
e poi tradita. I detenuti non hanno nemmeno le docce. Basta presa in giro
delle caserme dismesse.*
Il presidente emerito della Corte costituzionale, *Giovanni Maria Flick*,
è intervenuto questa mattina al convegno “*Analisi e prospettive di riforma
del sistema penitenziario italiano*” organizzato dal *Centro di ricerca
interdipartimentale di ricerca sui sistemi sociali e penali (DAS)
dell’Università LUMSA *, un evento di riflessione per la comunità
universitaria sul carcere in occasione del cinquantesimo anniversario
dell’entrata in vigore della *Legge 354 del 1975* i, che ha riformato in
Italia l’ordinamento penitenziario e l’esecuzione delle misure privative e
limitative della libertà.
Di seguito un estratto delle sue parole:
“Le carceri sono piene di poveri, in molti casi vittime di ingiustizia che
si preferisce imprigionare invece di contrastare le condizioni in cui si
commettono i crimini. Sono sovraffollate per una ragione elementare, non è
la mancanza di caserme, come dice il Ministro della Giustizia, ma perché è
molto più facile castigare i più deboli”.
“La Corte dei Conti boccia le carceri per spazi inadeguati, lavori di
manutenzione in ritardo e sottolinea che urge adeguarsi agli standard
internazionali. Sapete qual è la risposta del Ministro attuale della
giustizia? ‘L’Italia non è la California, dobbiamo trovare i luoghi giusti,
pensiamo al recupero delle caserme’. Sembra che l’unico orizzonte che noi
abbiamo in materia penitenziaria è il recupero delle caserme dismesse, le
tappe successive sono i container.
L’esternalizzazione, che è cominciata con la vicenda dei migranti, è
preoccupante perché mi aspetto che prima o dopo si adotterà anche per
l’esecuzione delle pene. In materia di esternalizzazione si corre il
rischio di finire come la Cayenna con gli stabilimenti penitenziari al di
là del mare dove non si sa che cosa capita”.
“Uno degli obiettivi fondamentali è il tema della cultura in carcere, una
finestra tra il dentro e il fuori, che consenta a chi è fuori di capire che
cos’è il carcere, evitando il solito modello: stanno all’albergo, hanno
anche il televisore a colori… Magari, non hanno il gabinetto, non hanno la
doccia che era stata promessa dalla riforma dell’ordinamento penitenziario”.
“C’è stata una riforma, è stato un passo in avanti, molto significativo,
l’unico piccolo problema è che è stata attuata solo in minima parte. E’
stata una rivoluzione promessa che poi è diventata una rivoluzione tradita,
per il modo con cui è stata non attuata”.
“Il primo passo da fare è quello della cultura in carcere, perché chi è
fuori capisca che cosa c’è dentro e perché chi è dentro capisca che cosa lo
aspetta fuori, credo che questo sia essenziale. Il secondo passo è quello
di realizzare un’osmosi tra carcere e realtà circostante con l’università e
con la cultura, lo si sta facendo. Il terzo passo è quello di esplorare la
possibilità di un collegamento più articolato e più stabile tra il carcere
e quella realtà”.
“La politica smetta di prenderci in giro con la storia delle caserme
dismesse o dei container e che cominci a lavorare perché la dignità sociale
è tale se è pari tra tutti: tra chi ce l’ha già e chi aspira a farsela
attraverso il carcere”.
“Noi abbiamo articolo 27 che vieta il trattamento inumano, non sono pene i
trattamenti inumani. La tortura non è una pena, è un reato, è un delitto da
perseguire”
“Pensate a quale shock di solito si ha dell’entrata in carcere? E non è,
infatti, azzardato sottolineare che parte dei suicidi in carcere,
soprattutto quelli dei giovani, ai quali crolla il mondo addosso alla prima
reclusione. Ma il discorso non è soltanto dello shock dell’entrata, c’è
anche lo shock dell’uscita, il fine pena mai dell’ergastolo è un qualche
cosa che elimina la speranza. E una delle vie per fuggire da un carcere che
elimina la speranza è la percentuale mostruosa di suicidi che noi abbiamo
nell’ambito carcerario.
E che sia una situazione preoccupante si denota, sia pure con
proporzioni diverse, anche dalla crescita dei suicidi in carcere non solo
per i detenuti, ma anche per gli agenti di custodia. Io credo che questo
voglia dire che come abbiamo avuto il coraggio di riconoscere
l’incostituzionalità di una pena come l’ergastolo nella misura in cui sia
effettivamente fine pena mai, così, o prima o dopo, forse arriveremo a
riconoscere che quando la Costituzione parla di pene, non parla solo di
reclusione, ma apre un ventaglio di possibilità che consenta di mantenere
la reclusione solo nelle ipotesi in cui vi siano fenomeni di aggressività e
quindi di pericolosità per sé o per gli altri”.
Alessio Di Francesco
Media Relations
Università LUMSA
http://www.lumsa.it