
Klaus Schwab, fondatore e volto storico del World Economic Forum, ha annunciato le sue dimissioni dalla presidenza e dal consiglio di amministrazione dell’organizzazione da lui creata quasi 55 anni fa. La decisione, comunicata lunedì con effetto immediato, segna la conclusione di una delle carriere più influenti — e controverse — nel panorama della governance globale.
“A seguito del mio recente annuncio, e all’inizio del mio 88° anno di vita, ho deciso di dimettermi dalla carica di Presidente e di membro del Consiglio di Amministrazione, con effetto immediato”, ha comunicato Schwab al Consiglio.
Durante una riunione straordinaria del 20 aprile, il Consiglio di Amministrazione ha preso atto delle sue dimissioni e, in conformità con il regolamento del Forum, ha nominato all’unanimità il vicepresidente Peter Brabeck-Letmathe come presidente ad interim. Inoltre, è stato istituito un Comitato di Ricerca incaricato di selezionare un futuro presidente dell’organizzazione.
“Il Consiglio ha riconosciuto gli straordinari risultati del Presidente in pensione e fondatore del World Economic Forum, Klaus Schwab. Ha creato la principale piattaforma globale per il dialogo e il progresso, e il Consiglio ha espresso la sua gratitudine per i suoi 55 anni di instancabile leadership alla guida del Forum”, si legge nella nota ufficiale.
In un momento storico caratterizzato da transizioni tecnologiche, crisi geopolitiche e sfide ambientali senza precedenti, il Consiglio ha ribadito la centralità della missione del Forum: essere un facilitatore di dialogo, inclusione e collaborazione su scala globale. “La necessità di un dialogo inclusivo per affrontare la complessità e plasmare il futuro non è mai stata così critica”, ha sottolineato il Consiglio, aggiungendo che il Forum continuerà a riunire leader di tutti i settori e regioni per promuovere soluzioni comuni.
Un’eredità divisiva
Schwab ha fondato il Forum nel 1971 con appena 6.000 dollari, quando era ancora un professore relativamente sconosciuto all’Università di Ginevra. Quello che iniziò come un piccolo raduno di manager europei è diventato, sotto la sua guida, un impero multimilionario dal fatturato annuo di circa 390 milioni di dollari e con un’influenza politica ed economica a livello mondiale.
Ogni gennaio, leader politici, imprenditori, intellettuali e celebrità si riuniscono a Davos per confrontarsi sul futuro dell’economia globale. Ma proprio questa concentrazione di potere ha reso Schwab bersaglio delle critiche più feroci. Visto dai detrattori come il volto dell’élite globalista, Schwab è stato accusato di promuovere un’agenda tecnocratica, distante dai bisogni reali delle popolazioni.
Il “Grande Reset” e le controversie globali
Durante la pandemia di COVID-19, Schwab ha rilanciato la sua visione di un “Grande Reset” dell’economia globale, un piano per rinnovare sistemi economici e sociali nel nome della sostenibilità, della giustizia e dell’innovazione tecnologica. Ma per molti, questa proposta ha avuto il sapore di un’accelerazione autoritaria e centralizzante, alimentando teorie cospirative e sospetti bipartisan.
Sotto il suo impulso, il WEF si è posto alla guida di battaglie su temi come la digitalizzazione della valuta (CBDC), l’Intelligenza Artificiale, la transizione ecologica, il transumanesimo, le tasse sul carbonio e la governance globale. In particolare, il concetto di “stakeholder capitalism”, promosso da Schwab come alternativa al capitalismo tradizionale, è stato percepito da alcuni come una forma mascherata di ingegneria sociale.
Celebre — e molto criticato — il video prodotto dal WEF che profetizzava un futuro in cui “non possederai nulla e sarai felice”, interpretato da molti come un attacco alla proprietà privata e come simbolo della visione elitista che il Forum, secondo i suoi oppositori, incarna.
Una successione tutta da scrivere
Il consiglio del WEF ha affidato temporaneamente la guida all’ex CEO di Nestlé e presidente della Formula 1, Peter Brabeck-Letmathe. Figura rispettata nel mondo degli affari internazionali, Brabeck guiderà il Forum mentre il comitato di ricerca avvia la delicata selezione del successore definitivo.
La vera sfida sarà ridefinire la traiettoria del WEF in un contesto sempre più polarizzato e segnato dal ritorno delle logiche nazionali sulle spinte globaliste. In gioco, non c’è solo l’eredità di Schwab, ma anche la sopravvivenza stessa del modello Davos come punto di riferimento per la cooperazione internazionale.