
(AGENPARL) – Wed 09 April 2025 *PADOVA COORDINA IL PIÙ GRANDE STUDIO INTERNAZIONALE SULL’INSUFFICIENZA
RENALE ACUTA NELLA CIRROSI EPATICA*
*Esaminati oltre 3800 pazienti in 27 paesi diversi*
L’insufficienza renale acuta (AKI) è una delle complicanze più gravi in
pazienti con cirrosi epatica e la sua prevenzione e trattamento rappresenta
una priorità nella gestione di questi pazienti.
*Un ampio studio internazionale pubblicato su «The Lancet Gastroenterology
& Hepatology» ha analizzato questa condizione in oltre 3.800 pazienti
ricoverati per cirrosi scompensata in 65 ospedali di 27 paesi*, su cinque
continenti. Si tratta del più grande studio mai condotto sull’argomento e
ha evidenziato differenze significative nel modo in cui questa condizione
viene trattata nel mondo. Questi risultati possono contribuire a migliorare
le strategie di cura e ottimizzare la gestione clinica dei pazienti.
Lo studio *Global epidemiology of acute kidney injury in hospitalised
patients with decompensated cirrhosis: the International Club of Ascites
GLOBAL AKI prospective, multicentre, cohort study*
Salvatore Silvio Piano, del Dipartimento di Medicina dell’Università degli
Studi di Padova e Medico della Unità Operativa di Medicina Interna ad
Indirizzo Epatologico dell’Azienda Ospedale-Università di Padova.
«I pazienti con cirrosi scompensata sono particolarmente vulnerabili
all’insufficienza renale acuta per le caratteristiche intrinseche di questa
sindrome, caratterizzata da una ipovolemia efficace – *sottolinea il Prof.
Piano* -. Il flusso sanguigno verso i reni si riduce e il corpo attiva
meccanismi di compensazione che possono peggiorare ulteriormente la
funzione renale. Infezioni, sanguinamenti o un uso eccessivo di diuretici
possono rapidamente scatenare un’AKI, con un impatto drammatico sulla
prognosi».
Con questo nuovo studio, il team di ricerca ha voluto fornire una *visione
globale* dell’epidemiologia e della gestione dell’AKI nei pazienti con
cirrosi.
Lo studio ha mostrato che l’AKI è molto comune, il 38% dei pazienti
ricoverati per complicanze della cirrosi infatti, ha presentato questa
condizione. La forma più comune di AKI è quella secondaria ad ipovolemia,
ovvero alla diminuzione del sangue che circola nell’organismo (59%), mentre
la sindrome epato-renale, spesso considerata la principale causa,
rappresenta solo il 17% dei casi.
«Questo è un dato importante – *spiega il Prof. Piano* – perché dimostra
che per la maggior parte dei pazienti è sufficiente rimuovere i fattori
scatenanti e ripristinare il volume plasmatico con la somministrazione di
fluidi, prima di ricorrere a terapie più aggressive come i vasocostrittori.»
Inoltre lo studio ha mostrato grandi differenze regionali nella gestione
dell’AKI, in modo particolare, l’utilizzo di terapie come l’albumina e la
terlipressina ha presentato un’ampia variabilità tra le diverse regioni del
mondo.
Lo studio ha evidenziato che il trattamento dell’AKI varia molto tra i
diversi paesi, e questo può influenzare gli esiti per i pazienti.
Comprendere queste differenze è quindi fondamentale per migliorare la
gestione della malattia e aumentare le probabilità di sopravvivenza.
*L’AKI risultava associata ad a un rischio elevato di mortalità*: quasi un
quarto dei pazienti con AKI (22,9%) è deceduto entro 28 giorni. Tra i
parametri associati ad una migliore sopravvivenza è da segnalare una
maggiore qualità e accessibilità alle cure nei centri coinvolti, valutato
con l’indice di “copertura sanitaria universale” sviluppato
dall’organizzazione mondiale della sanità.
Questo studio aiuta a comprendere come migliorare la gestione dell’AKI nei
pazienti con cirrosi a livello globale, ovvero ottimizzando i trattamenti
ospedalieri e garantendo un accesso equo e universale alle cure essenziali
e a trattamenti salvavita come il trapianto di fegato.
Lo studio è stato finanziato dalla European Association for the Study of
the Liver (EASL) e dalla Società Italiana di Medicina Interna (SIMI).