
Ho conosciuto Guido Barbieri, celebre voce di Rai Radio Tre Suite e raffinato estetico della musica, in una veste insolita: quella di drammaturgo per il teatro musicale. Nel 2018, mentre partecipavo come cantante a uno dei suoi spettacoli, è nata una collaborazione che da allora non si è mai interrotta.
La sua lunga carriera di giornalista e conduttore radiotelevisivo, che si estende per oltre trent’anni, gli ha permesso di incontrare e dialogare con alcuni tra i più grandi protagonisti della musica dal vivo. La sua sensibilità e la sua capacità di analisi lo rendono un testimone prezioso di un’epoca musicale ricca di figure straordinarie.
In occasione del primo anniversario della scomparsa di Maurizio Pollini, uno dei pianisti più significativi del Novecento, ha chiesto a Guido di tratteggiare per noi un ritratto di questo grande interprete. La sua esperienza diretta e il suo sguardo acuto ci guideranno alla scoperta di un artista che ha segnato in modo indelebile la storia dell’esecuzione musicale.
Domanda. Buongiorno Guido, quante volte hai incontrato Maurizio Pollini e in quali occasioni?
Guido Barbieri. Per 35 anni ho lavorato in Rai e quindi le occasioni di incontrare Pollini sono state innumerevoli, l’ho intervistato per tre volte, anche in diretta; per esempio ricordo una bellissima intervista subito dopo un concerto memorabile all’Accademia nazionale di Santa Cecilia: stavamo lì nel suo camerino mentre fuori c’era una coda di gente che lo voleva salutare. Abbiamo chiacchierato a lungo sul programma che aveva appena eseguito ed è stato uno dei momenti più più intensi; poi in tante altre occasioni di interviste radiofoniche, credo di averlo incontrato 7, 8 volte nel corso della sua carriera, una volta anche a Salisburgo sempre dopo un concerto, l’unico memorabile che aveva fatto per il Festival.
Era un uomo molto timido, molto schivo, quasi un po’ impaurito dalle domande che gli si potevano fare e si capiva bene che l’unico terreno sul quale si sentiva veramente a proprio agio era la musica, solo ed esclusivamente la musica; non amava molto, almeno negli anni 80 90 2000 quando l’ho incontrato, che si andasse fuori del perimetro stretto del suo pensiero sulla musica e ovviamente quando andavi su quel terreno si capiva che non non aveva niente da temere.
A domande di tipo politico o domande di tipo generale sulla vita musicale italiana si intimoriva molto e non aveva nessuna intenzione di parlarne, invece dove usciva fuori ovviamente tutta la sua lucidità, la sua capacità di analisi dello spartito o della partitura, era la stessa attitudine che aveva quando suonava insomma, parlava nello stesso modo in cui suonava, suonava nello stesso modo in cui parlava, in un certo senso questa sua predisposizione all’analisi nitida, alla cura del dettaglio erano davvero stupefacenti perché non si allineavano con le solite spiegazioni generiche sui pezzi, sulla genesi, sul valore storico, gli importava assai poco, voleva sempre andare nel dettaglio della scrittura musicale, questa era la la sua attitudine principale che veniva fuori dai suoi concerti e anche dalle dalle interviste.
Domanda. Sai come trascorreva il suo tempo libero?
Guido Barbieri. Il mio rapporto con lui era del tipo da intervistatore a intervistato ma posso immaginare che avesse una vita molto spartana, poco incline alla socialità, non credo che partecipasse a eventi mondani, penso che abbia trascorso la sua esistenza soprattutto nello studio della musica che era l’unico e vero interesse della sua vita al di là naturalmente dei suoi affetti privati si intende.
Domanda. Sei a conoscenza di suoi allievi o di una sua attività come insegnante?
Guido Barbieri. Non credo che fosse incline alla didattica e all’insegnamento anche perché la sua carriera concertistica l’ha tenuto sempre lontano anche dai conservatori, per cui non credo neanche avesse allievi privati anche perché era molto difficile per un uomo così incline a una personalizzazione estrema dello stile interpretativo porsi come come insegnante e quindi dare una visione neutra. Invece la sua maniera di suonare era così spietatamente personale unica e irripetibile che non aveva nemmeno molto senso che forse trasmessa, poi come spesso accade i grandi interpreti non hanno alcuna inclinazione per per l’insegnamento.
Domanda. Si è mai espresso politicamente sulle scelte di governo o su guerre in atto o riguardo a questioni di interesse pubblico?
Guido Barbieri. C’è un po’ un mito attorno all’impegno politico di Pollini, legato forse ad alcuni episodi lo hanno sfiorato ad esempio un proclama contro la guerra in Vietnam che ha fatto prima di un concerto alla Scala, sempre negli stessi anni ha tenuto concerti assieme a Claudio Abbado nelle fabbriche nell’hinterland milanese e torinese ma si tratta di episodi sporadici e legati alla sua giovinezza. Per il resto la sua attività lo ha impegnato totalmente
Domanda. Come secondo te ha contribuito Maurizio Pollini alla storia dell’esecuzione musicale e della discografia?
Guido Barbieri. La carriera di Pollini è cominciata prestissimo, nel 1960, quando aveva 18 anni, l’anno in cui vinse il Concorso Chopin di Varsavia. Era un talento ovviamente esplosivo ma un talento che ha sempre tenuto a bada: ad esempio ha cancellato tutti i concerti previsti per il vincitore di questo prestigioso premio internazionale per circa due anni perchè non si sentiva pronto, con un gesto di grande umiltà e autocoscienza ha preferito rimanere a casa per studiare ad approfondire il repertorio.
Credo che uno dei momenti fondamentali che lo hanno segnato dal punto di vista della presa di coscienza del proprio stile interpretativo sia stato il periodo in cui seguì i corsi di perfezionamento con Arturo Benedetti Michelangeli quando aveva vent’anni. Quello che venne fuori nel suo pianismo è una disposizione squisitamente anti retorica nei confronti dell’interpretazione dei classici, a partire da Chopin, uno Chopin mancante di ogni autocompiacimento espressivo, dettagliatissimo, lucido, lontano da qualsiasi frivolezza. (18,19)
E’ risaputo che il pianista milanese avesse un forte legame con la musica moderna e contemporanea, sei a conoscenza delle motivazioni che lo attraevano verso questa musica e come secondo il tuo punto di vista Pollini ha contribuito alla divulgazione di questo Repertorio?
Era un impegno culturale prima di tutto e anche una dichiarazione di intenti di tipo progettuale perché si sentiva in quel periodo una divisione piuttosto lacerante tra un certo mondo conservatore che si concentrava soltanto sulla tradizione e uno giovanile, più aperto al nuovo che si rivolgeva dalla sperimentazione e che sentiva come una necessità assoluta quella che dedicarsi alla musica contemporanea. Pollini faceva parte di quest’ultima visione: si è dedicato ai grandi classici del 900 ma anche agli autori suoi contemporanei, lo faceva con la stessa disciplina con la quale affrontava Beethoven, portava nelle sale da concerto con estrema la naturalizza i grandi classici e le musiche nuove.