
ll tema dell’accettazione del corpo, del dolore e della guarigione è un argomento di estrema delicatezza, che tocca profondamente l’animo umano. Il cortometraggio Come un fiore, diretto da Benedicta Boccoli, affronta queste tematiche con una sensibilità unica, utilizzando simboli e immagini potenti che rimandano a una riflessione profonda sul corpo, sulla sua trasformazione e sulla resilienza davanti alla malattia. La scelta di raccontare la storia attraverso gli occhi di una bambina e di riprendere le suggestioni di figure mitologiche, nonché il legame con la natura e la macchia mediterranea, conferiscono al film una dimensione simbolica e universale.
In questa intervista con Gaia Zucchi, divulgatrice del progetto, vengono esplorate le radici di quest’opera, il messaggio di speranza che vuole trasmettere, e l’importanza della natura e della bellezza nella lotta contro la malattia. La conversazione si concentra anche sul ruolo di Benedicta Boccoli, la sua visione artistica e il legame profondo che unisce le due, che rende questo progetto ancora più significativo e autentico.
Domanda: Come nasce l’idea di raccontare il tema dell’accettazione del corpo attraverso l’immagine di una bambina e la visione di queste figure mitologiche?
Gaia Zucchi: L’idea nasce da Benedicta Boccoli. La bambina nel film è proprio la sua versione da piccola, quando, negli anni ’70, si trovava sull’isola di Formentera. Lì, tra hippie e nudisti, la colpì molto la figura di una donna anziana che, invece di nascondere la cicatrice dovuta a un intervento chirurgico, la decorava ogni giorno con un fiore. Questa immagine di bellezza, di accettazione e di dignità la segnò profondamente. Perciò, la bambina del film è Benny e le figure mitologiche rappresentano il modo in cui la regista ha interpretato e rivissuto la sua esperienza a Formentera, dove la nudità e la connessione con la natura erano simboli di libertà e di autenticità.
Domanda: Il film affronta il delicato tema della battaglia contro il cancro. In che modo la storia vuole trasmettere speranza e rinascita a chi sta affrontando questa lotta?
Gaia Zucchi: Il tema del cancro è sicuramente delicato, ma attraverso la prevenzione e i controlli regolari, oggi le persone hanno la possibilità di salvarsi. Benedicta Boccoli ha sconfitto il cancro al seno due volte grazie alla prevenzione. La speranza che emerge dalla sua esperienza è enorme. Superare una malattia come il cancro ti fa sentire invincibile e ti fa apprezzare ancora di più la vita, che per quanto complicata e piena di difficoltà, è comunque meravigliosa. Anche nelle difficoltà più grandi, l’amore per la vita diventa più forte, come testimonia la mia esperienza con mia madre, che pur soffrendo fino alla fine, non voleva lasciarla.
Domanda: Il legame con la natura, la macchia mediterranea e la spiaggia incontaminata sembrano essere elementi chiave. Che significato hanno in relazione al percorso di accettazione e guarigione?
Gaia Zucchi: La natura incontaminata, la nudità e il mare sono tutti elementi che rappresentano un ritorno alle origini. Quando si affronta un dolore così grande, ti senti vulnerabile, nudo, proprio come quando nasci o quando muori. Il silenzio del mare, la nudità con il proprio dolore, è simbolo di una solitudine che però non è solitaria, ma è parte di un percorso di accettazione e rinascita. È una riflessione profonda, quella di affrontare la malattia come un ritorno alla natura, senza maschere, per poter affrontare il dolore e sperare nella guarigione.
Domanda: Benedicta Boccoli ha avuto un ruolo importante in questo progetto. Come è nata la collaborazione con lei e in che modo ha contribuito alla visione del film?
Gaia Zucchi: Benedicta è una carissima amica, con la quale ho un rapporto sincero da oltre 30 anni. La nostra amicizia è basata sul rispetto e sull’amore reciproco, e il nostro legame è speciale. Lei è una regista sensibile, poetica, capace di trasmettere emozioni forti attraverso le sue immagini e la sua musica. Quando mi ha chiesto di partecipare al progetto, accettare è stato un atto naturale. Il tema dell’accettazione del corpo e del cambiamento, anche fisico, è qualcosa che entrambi sentiamo profondamente. Come Benedicta, anche io ho vissuto la malattia, il cancro, e il nostro film vuole parlare di speranza, di lotta, e della bellezza che emerge dalla sofferenza.
Domanda: Quale messaggio vorrebbe che il pubblico, in particolare le donne che hanno vissuto esperienze simili, portasse con sé dopo aver visto Come un fiore?
Gaia Zucchi: Il messaggio che vogliamo trasmettere è che bisogna imparare ad amarsi, a prendersi cura di sé, sia fisicamente che psicologicamente. Anche nei momenti di malattia, bisogna continuare a combattere e avere fiducia nella possibilità di uscire dalla malattia, grazie alla prevenzione e alla forza interiore. Il film vuole essere un messaggio di speranza, di solidarietà e di amore per la vita. Molte delle persone che hanno interpretato il cortometraggio hanno vissuto l’esperienza del cancro e sono uscite vittoriose. Il film vuole dare coraggio a chi sta affrontando una battaglia simile, per far sentire loro che non sono sole e che la speranza è sempre viva.

Foto di Alessandro Basso

Foto di Alessandro Basso

Foto di Daniele Pedone – Gaia Zucchi 26 anni

Foto di Daniele Pedone – Gaia Zucchi 26 anni