(AGENPARL) – ven 27 dicembre 2024 Analizzati i dati degli infortuni in 16 anni (2007-22) di attività del reparto ospedaliero
PSICHIATRIA: NON-CONTENZIONE E “PORTE APERTE”
NON FANNO AUMENTARE LE AGGRESSIONI AL PERSONALE
Studio condotto dall’Università di Udine nell’ambito del Servizio psichiatrico
di diagnosi e cura dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale
Udine, 27 dicembre 2024 – Superare la contenzione fisica nei luoghi di cura della salute mentale è possibile. Questo approccio, comprese le “porte aperte”, non aumenta l’aggressività nel lungo termine verso il personale sanitario. È la conclusione cui è giunta una ricerca coordinata dall’Unità di psichiatria del Dipartimento di Medicina dell’Università di Udine. Lo studio ha riguardato l’attività svolta dal 2007 al 2022 dal Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (Spdc) dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale (Asufc). Quello udinese è uno dei pochi reparti psichiatrici degli ospedali italiani, 19 su 318, il 6 per cento, a non utilizzare la contenzione e ad adottare la politica delle “porte aperte” tutto il giorno. Lo studio ha analizzato gli incidenti sul lavoro, in particolare le aggressioni fisiche, del personale del reparto dell’Asufc prima e dopo l’adozione, nel 2015, di questo tipo di gestione. La ricerca è stata pubblicata dalla rivista scientifica internazionale Nursing Reports (https://www.mdpi.com/2039-4403/14/4/276#app1-nursrep-14-00276).
I dati
Nei sedici anni presi in esame (2007-2022) si sono verificati 113 incidenti sul lavoro, di cui 92, l’81,4 per cento, dovuto ad aggressioni fisiche. Incidenti meno frequenti sono stati dovuti a trauma accidentale e rischio biologico. La media è stata di circa 7 incidenti l’anno. Un picco momentaneo di incidenti si è verificato durante la transizione dal vecchio al nuovo sistema di non-contenzione e porte aperte, con 16 incidenti nel 2014 e 13 nel 2015. Subito dopo, il dato è rapidamente diminuito attestandosi a 4 incidenti del 2022. Particolarmente esposti gli operatori socio-sanitari e gli infermieri psichiatrici (figura istituita con l’ospedale psichiatrico, il manicomio, e progressivamente dimessa), il 62.9 per cento dei quali è stato colpito, con un caso su due (49.6 per cento) verificatosi durante i turni mattutini, senza una particolare distinzione di genere. Dove necessaria, la durata media della prognosi era di 13 giorni. Complessivamente sono stati 101 i professionisti, tra medici, infermieri e operatori socio-sanitari, che hanno lavorato nel reparto nel periodo di studio.
I reparti e i pazienti
In Italia, i reparti psichiatrici si trovano all’interno di strutture ospedaliere, sono dotati di spazi comuni e non hanno più di 16 posti letto. In termini di caratteristiche dei pazienti, il trattamento sanitario obbligatorio (Tso), l’abuso di sostanze e la storia di violenza nel corso della vita sono associati a comportamenti aggressivi nei confronti degli operatori sanitari in contesti di salute mentale. Nel reparto dell’ospedale di Udine negli anni c’è stato un aumento del numero di medici, con conseguente aumento del rapporto “medico per letto”. Inoltre, la composizione è cambiata nel tempo, con il pensionamento degli infermieri psichiatrici dal 2016. La transizione a una politica di non-contenzione ha quindi richiesto un complesso riadattamento del servizio che ha comportato anche nuove pratiche operative.
«L’indagine mostra che l’adozione di una politica di non-contenzione – sottolinea il coordinatore della ricerca, Marco Colizzi, responsabile dell’Unità di psichiatria del Dipartimento di Medicina dell’Ateneo udinese e direttore della Clinica psichiatrica dell’Asufc – non è associata, a medio-lungo termine, a un aumento dell’aggressività verso il personale. Appare però necessario un maggiore supporto durante la fase di transizione, per ridurre al minimo i rischi, così come una maggiore formazione sulle pratiche di non-contenzione».
In generale, spiega il professor Colizzi, docente di psichiatria, «i servizi di salute mentale che percepiscono un rischio elevato di violenza sembrerebbero essere più propensi a implementare misure coercitive come isolamento, contenzione e farmaci obbligatori. Questi ultimi sono percepiti come traumatici dai pazienti. Tali procedure sono associate a risposte aggressive invece che a coinvolgimento e compliance al trattamento, portando a un circolo vizioso. In Italia, i pro e i contro di una politica di non-contenzione, soprattutto in termini di rischio di aggressione e violenza, sono stati scarsamente studiati. Ora, – conclude Colizzi – i risultati dello studio suggeriscono che è possibile adottare una politica di non-contenzione, offrendo un maggiore supporto organizzativo ed un’adeguata formazione ai Servizi psichiatrici di diagnosi e cura durante la transizione alla nuova politica, così da ridurre al minimo il rischio di aggressioni nei confronti degli operatori sanitari».
Il gruppo di ricerca
Lo studio ha coinvolto, fra gli altri, il direttore del Dipartimento dipendenze e salute mentale dell’Asufc, Marco Bertoli; Calogero Anzallo e Tatiana Tam del Servizio psichiatrico di diagnosi s cura dell’Asufc; la coordinatrice del corso di laurea magistrale interateneo in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università di Udine, Alvisa Palese; Carla Comacchio e Marco Garzitto della Clinica psichiatrica dell’Asufc; Giovanni Napoli del Servizio professionale assistenza infermieristica e ostetrica dell’Asufc e il professor Matteo Balestrieri, già direttore della Clinica psichiatrica.
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