«Il 7 ottobre 2024 è stato presentato a Varsavia “Fede, dialogo e sicurezza. Promuovere il dialogo e la cooperazione oltre i confini della fede e della religione” (“Belief, dialogue and security. Fostering dialogue and joint action across belief and religious boundaries”) il primo documento interamente dedicato all’interazione tra religione, dialogo e sicurezza. “Fede, dialogo e sicurezza” è stato prodotto dall’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti dell’Uomo (Odihr), articolazione esecutiva apicale dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce). Nata a metà degli anni Settanta come forum di dialogo e negoziato tra Est e Ovest, l’Osce resta tra i pochi organismi internazionali di cui è ancora oggi parte la Federazione Russa che nel luglio 2022 ha ritirato i propri rappresentanti anche dal Consiglio d’Europa.
Vari esperti internazionali sono stati chiamati a contribuire all’elaborazione del documento. L’ultimo panel di esperti convocato e consultato dall’Osce si è riunito il 29 giugno 2023 in Italia, ospite dell’Università di Foggia, nell’ambito delle attività di un Progetto di Ricerca coordinato dal Prof. Gabriele Fattori con la partecipazione del Ministero italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci).
Con “Fede, dialogo e sicurezza” l’Odihr propone l’ultima evoluzione del modello integrato di sicurezza (“comprehensive security”) che l’Osce promuove fin dalle sue origini nell’Atto finale di Helsinky del 1975. La “sicurezza integrata”, rappresenta il contributo più innovativo dell’Osce alle politiche pubbliche della sicurezza e alla nozione stessa di sicurezza.
L’approccio integrato Osce alle problematiche della sicurezza si fonda sul presupposto dell’interdipendenza e della complementarietà tra diritto di libertà religiosa e diritto alla sicurezza. Nella prospettiva Osce una vera sicurezza si ottiene soltanto a condizione di garantire un’adeguata protezione dei diritti e delle libertà fondamentali e tra queste, in primis, della libertà di religione. Un modello simile si definisce “integrato” perché opera in tre dimensioni tra loro integrate: una prima dimensione politico-militare che implica la cura degli aspetti militari della sicurezza, una seconda dimensione economico-ambientale che affronta prevalentemente i temi dell’energia, dell’ambiente, del clima e di un armonico sviluppo economico e una terza dimensione umana che esige specifiche misure a garanzia dei diritti dell’uomo. La dimensione umana caratterizza il modello integrato di sicurezza per inclusività, interdipendenza dei diritti e libertà fondamentali, uguaglianza/non discriminazione, sostenibilità e cooperazione. Lo sviluppo dell’idea di “sicurezza integrata” deve molto agli apporti del magistero ecclesiastico da Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) a Populorum progressio di Paolo VI (1967), da Caritas in veritate di Benedetto XVI (2009) a Laudato sì (2015), Fratelli tutti (2020) e Laudate Deum (2023) di Francesco.
La “sicurezza integrata” rappresenta pertanto un modello significativamente alternativo rispetto al modello securitario restrittivo dei diritti e delle libertà fondamentali che ha egemonizzato le politiche pubbliche della sicurezza soprattutto in reazione all’escalation di violenza religiosa che ha segnato l’avvio e le prime due decadi del III millennio. In seguito all’incremento dei timori legati alle degenerazioni del fenomeno religioso e a tutela della sicurezza nazionale molti Paesi hanno introdotto sempre maggiori restrizioni al libero esercizio dei diritti religiosi e delle pratiche di fede e alle libertà più strettamente correlate di riunione, associazione e espressione. Nell’approccio securitario, infatti, si tende a considerare diritto di libertà religiosa e diritto alla sicurezza come diritti competitivi se non proprio conflittuali e, nei regimi a più forte vocazione illiberale, addirittura come diritti inversamente proporzionali tra loro. In altre parole, nella più tradizionale prospettiva securitaria a carattere restrittivo, una maggiore sicurezza corrisponde a minori spazi di libertà e viceversa.
Se dunque il modello securitario si distingue per un approccio prevalentemente difensivo, reattivo e immediatamente efficace in quanto finalizzato a neutralizzare la minaccia o a contenerne gli effetti, il modello integrato Osce, all’opposto, si caratterizza per essere più preventivo che difensivo, proattivo più che reattivo, efficace nel medio-lungo periodo e sostenibile nel tempo in quanto finalizzato alla realizzazione delle condizioni per un tessuto sociale pacificato.
Immaginare di poter rinunciare alle misure di sicurezza ispirate all’approccio securitario più tradizionale sarebbe illusorio e controproducente, ma nel contesto storico e sociale contemporaneo il modello integrato si dimostra altrettanto indispensabile.
La rilevanza peculiare e strategica che la tutela della libertà di religione e convinzione assume nelle politiche di “sicurezza integrata” corrisponde infatti alla crescente centralità del fattore religioso: a) nelle trasformazioni della geografia sociale, etnica e culturale indotte da flussi migratori in cui i migranti sembrano disposti a rinunciare a tutto sotto il profilo sociale ed economico ma non alla propria identità religiosa; b) nelle dinamiche geopolitiche e politiche; c) nei processi di radicalizzazione che possono portare al terrorismo; d) nei contesti bellici dove la religione è oggetto di costanti strumentalizzazioni politiche. Le esperienze della fase storica in corso dimostrano come misure eccessivamente restrittive alla libertà di religione o credo introdotte a scopo di sicurezza provocano tensioni sociali destinate, presto o tardi, a esplodere destabilizzando le comunità sociali che avrebbero dovuto proteggere.
Con queste premesse l’Osce ricorda come il Patto internazionale per i diritti civili e politici (ICCPR- UN, 1966) ammetta restrizioni alla libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo soltanto per le ragioni tipizzate dall’art. 18: a) la “pubblica sicurezza”, b) l’“ordine pubblico”, c) la “sanità pubblica”, d) la “morale pubblica”, e) la tutela “degli altrui diritti e libertà fondamentali”. La “sicurezza nazionale”, dunque, non potrebbe legittimare misure restrittive della libertà di religione o credo e anche laddove gli Stati se ne avvalessero a tal fine, la categoria della “pubblica sicurezza” dovrebbe essere interpretata restrittivamente.
L’Odihr precisa poi come restrizioni alla libertà di religione o credo possano considerarsi legittime: a) purché oggetto di specifica previsione legislativa; b) purché la norma restrittiva sia chiara, circostanziata, accessibile, non discriminatoria né testualmente, né sostanzialmente, cioè nei suoi effetti; c) purché la restrizione abbia ad oggetto le manifestazioni esteriori della libertà di religione o credo e non sia invece costrittiva o sanzionatoria della fede religiosa o della convinzione in sé; e infine d) purché la misura adottata sia proporzionata al fine perseguito.
È onere degli Stati e dei Governi giustificare la restrizione della libertà di religione o credo e predisporre garanzie e rimedi effettivi contro eventuali abusi nelle applicazioni della stessa. La misura restrittiva dovrebbe pertanto ritenersi illegittima: a) quando lo scopo è impedire un esercizio ragionevole della libertà di religione o credo; b) se la stessa crea un sistema dove la restrizione della libertà religiosa. anziché essere un’eccezione, diventa la regola; c) quando la restrizione è priva di una giustificazione oggettiva o ragionevole.
Nel modello di sicurezza integrata dell’Osce la tesi dell’interdipendenza e della complementarietà tra diritto di libertà religiosa e diritto alla sicurezzasi articola e sostanzia a propria volta:
a) nella tesi dell’infondatezza dell’equivalenza tra religione e violenza e
b) nella tesi della responsabilizzazione delle comunità di religione e convinzione nelle politiche pubbliche della sicurezza che fronteggiano le degenerazioni del religioso.
In tal senso si delinea l’apporto specifico dell’ultimo documento Osce 2024 su “Fede, dialogo e sicurezza” allo sviluppo del modello integrato di sicurezza.
Se nella precedente produzione Osce-Odihr e specificamente fino alle Linee Guida Osce-Odihr 2019 su libertà religiosa e sicurezza, l’approccio ‘integrato’ alla questione securitaria si sosteneva sull’interazione biunivoca tra libertà di religione o credo e sicurezza, il nuovo documento Osce-Odihr 2024 introduce quale terzo fattore dell’interazione il dialogo e la cooperazione interreligiosa (dunque i partenariati interreligiosi). Così il modello integrato di sicurezza evolve dall’interazione biunivoca lineare tra libertà di religione o credo e sicurezza per strutturarsi nell’interazione circolare tra libertà di religione-sicurezza-dialogo e cooperazione/partenariati interreligiosi.
D’altra parte non è un caso che già le raccomandazioni delle Linee Guida 2019 incoraggiassero non soltanto gli Stati partecipanti “a promuovere e a facilitare a tutti i livelli sociali iniziative di dialogo interconfessionale e interreligioso nonché i partenariati” purché “nel rispetto dell’autonomia delle comunità di religione o convinzione e della loro eventuale e volontaria partecipazione” ma anche le comunità di religione o convinzione “a impegnarsi in forme di dialogo e nell’istituzione di partenariati interconfessionali e interreligiosi”.
Con il documento “Fede, dialogo e sicurezza” vengono poste le prime basi teoriche e le prime policies pratiche per la promozione e la governance di un dialogo interreligioso strutturato, istituzionalizzato e parte integrante, centrale e strategica delle politiche della sicurezza.
Fermo restando la responsabilità degli Stati in ordine alla protezione dei diritti umani, l’Odihr intende portare l’attenzione e valorizzare il contributo degli attori religiosi a supporto dell’azione degli Stati chiamati ad operare in un quadro sociale e culturale dove la religione è sempre più influente. Una condivisione ordinata dell’esperienza di fede individuale e comunitaria può limitare intolleranza, discriminazioni ed estremismo violento in contesti in cui i differenti gruppi vivono segregati in ghetti socio-culturali impermeabili l’uno all’altro.
In tal senso dialogo interreligioso e cooperazione/partenariati tra comunità di religione o convinzione possono diventare essenziali: a) per una de-escalation delle tensioni sociali; b) per il contrasto all’intolleranza, alle discriminazioni e all’estremismo violento; c) per il contrasto all’analfabetismo religioso e agli stereotipi religiosi, d) per l’incremento della fiducia e della comprensione reciproche all’interno della società; d) per un impulso all’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali; e) per il potenziamento della resilienza sociale di fronte al rischio della polarizzazione e dell’instabilità; f) per la costruzione di un terreno comune di confronto, scambio e ricerca di soluzioni a problemi concreti di sicurezza (e non solo).
Naturalmente dialogo interreligioso e cooperazione/partenariati tra comunità di religione o convinzione non possono costituire misure emergenziali last-minute con cui contrastare le manifestazioni e/o le fasi più acute della violenza religiosa. Al contrario gli Stati dovrebbero considerare dialogo e cooperazione/partenariati interreligiosi parte integrante di politiche preventive long-term di sicurezza da sostenere con continuità e con l’obiettivo di produrre una positiva ed effettiva svolta sociale tramite l’implementazione di politiche di educazione alla pace, di coesione sociale, di costruzione di network tra attori statuali e non statuali con obiettivi comuni.
In conclusione: alla luce dell’attuale contesto geopolitico il dialogo interreligioso e la cooperazione tra comunità di religione o convinzione possono rivelarsi strategici nella prevenzione del conflitto, per la promozione della coesione sociale e nell’interazione con stakeholdersdi primo piano, confessionali e statuali, nell’area mediterranea. L’adozione di politiche utili a un modello di sicurezza che possa dirsi davvero ‘integrata’ suggerisce il coinvolgimento dei partner confessionali nelle politiche, anche pubbliche, della sicurezza. Il coinvolgimento della comunità religiose, soprattutto con obiettivi di sicurezza, può infatti contribuire a rafforzare la coesione sociale e a prevenire la radicalizzazione. Mentre la tutela dei diritti umani resta un approccio essenziale (human rights-based approach) al fine di garantire la libertà di religione o credo e una sicurezza stabile nel tempo.
Se in epoca contemporanea le religioni, o meglio, le degenerazioni e le strumentalizzazioni del religioso si sono dimostrate una delle più allarmanti minacce per la sicurezza globale e locale, d’altra parte, in ragione del loro ruolo nell’evoluzione sociale e culturale in atto, proprio le comunità religiose sembrano poter offrire un contributo specifico e irrinunciabile alla soluzione dei problemi della sicurezza. Nella più aggiornata prospettiva Osce-Odihr, dialogo interreligioso e cooperazione delineano quindi uno spazio indipendente di interazione confessionale e così una specifica responsabilità e un ruolo autonomo del religioso nelle politiche di sicurezza, nella promozione delle condizioni di convivenza tra popoli e dunque, in definitiva, nei processi di pace.»
Lo ha dichiarato all’Agenparl Gabriele Fattori, Prof. di Diritto ecclesiastico e canonico dell’Università di Foggia.