La Francia si trova in una crisi politica e costituzionale senza precedenti, frutto di un sistema costruito negli anni ’50 per garantire stabilità ma che ora si dimostra incapace di rispondere alle sfide contemporanee. Dopo il crollo del governo del Primo Ministro Michel Barnier, il più breve della storia moderna, il paese è sospeso in una paralisi istituzionale e politica che lascia poche vie d’uscita.
Alla base del problema vi è una Costituzione concepita per evitare instabilità eccessiva, ma che ora mostra la sua rigidità in un contesto politico frammentato. In un sistema elettorale a doppio turno, pensato per escludere formazioni populiste o estremiste, il Parlamento si trova diviso in blocchi inconciliabili. Questo modello, che negli anni ’50 sembrava garantire equilibrio, oggi crea un parlamento incapace di produrre una maggioranza governativa funzionante.
La recente mozione di sfiducia contro il governo Barnier ha messo in evidenza questa frattura: il Primo Ministro, figura centrista con un approccio di austerità, non è riuscito a trovare un punto d’incontro con un Parlamento dominato da sentimenti populisti. La Costituzione francese impedisce nuove elezioni legislative prima di giugno 2025, bloccando di fatto ogni possibilità di cambiamento democratico a breve termine.
Il sistema a doppio turno, progettato per marginalizzare partiti considerati non istituzionali, oggi amplifica la frammentazione politica. Nelle ultime elezioni, ad esempio, il partito populista di Marine Le Pen ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti nei due turni ma è risultato terzo in termini di seggi parlamentari. Questo fenomeno alimenta la sfiducia degli elettori e lascia il paese con rappresentanze che non rispecchiano la volontà popolare.
Questa situazione ha spinto molti a chiedere una riforma del sistema elettorale. Tuttavia, un cambiamento in tal senso richiederebbe una revisione costituzionale, un processo complesso e che richiede un consenso politico ampio – un elemento attualmente assente nel panorama francese.
Nonostante il malcontento diffuso, Emmanuel Macron rifiuta categoricamente l’idea di dimettersi. Il 59% dei francesi ritiene che il presidente dovrebbe lasciare il suo incarico, ma Macron insiste nel portare a termine il mandato. Questo atteggiamento è percepito come un ulteriore elemento di rigidità in un sistema già bloccato.
Secondo l’esperto costituzionale Jean-Éric Schoettl, tuttavia, il problema non si esaurisce nella figura di Macron. La crisi attuale è il risultato di una combinazione di fattori sistemici: un sistema elettorale che genera risultati distorti, una Costituzione incapace di rispondere ai cambiamenti politici e un elettorato frammentato.
Alcuni osservatori suggeriscono emendamenti costituzionali per consentire elezioni anticipate in caso di stallo parlamentare, un modello simile a quanto fatto nel Regno Unito in situazioni analoghe. Tuttavia, un cambiamento di questa portata richiederebbe l’approvazione di un Parlamento già paralizzato.
Altre proposte includono la riforma del sistema elettorale per renderlo più proporzionale, ma anche questa soluzione presenta ostacoli politici significativi. Infine, vi è chi invoca un cambiamento culturale nell’approccio degli elettori e dei politici, un’opzione che richiede tempo e una leadership capace di ispirare fiducia.
La Francia appare dunque bloccata in una situazione di stallo: un paese che chiede cambiamento, ma senza un consenso su quale direzione prendere. Il panorama politico è frammentato, con partiti tradizionali in declino, movimenti populisti forti ma esclusioni dal potere e un presidente che continua a governare in un clima di crescente impopolarità.
La Quinta Repubblica, concepita per superare le crisi politiche degli anni ’50, sembra ora incapace di far fronte alle sfide del XXI secolo. Senza riforme radicali o un cambiamento significativo nella leadership politica, la Francia rischia di restare intrappolata in una crisi senza fine.