Oggi abbiamo l’onore di intervistare il Prof. Giovanni Rezza, una delle figure di maggior rilievo nel panorama della sanità pubblica italiana. Con un vasto background che include il ruolo di Direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità e quello di Direttore Generale della Prevenzione Sanitaria presso il Ministero della Salute, il Prof. Rezza ha dedicato la sua carriera allo studio e alla gestione delle malattie infettive. Attualmente, ricopre la posizione di Professore Straordinario di Igiene e Sanità Pubblica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. In questa intervista, discuteremo con lui della situazione attuale del vaiolo delle scimmie, noto oggi come mpox, e delle sfide che l’Italia e la comunità globale stanno affrontando nella gestione di questa emergente minaccia sanitaria.
1. Domanda. Prof. Rezza, il vaiolo delle scimmie, ora noto come Mpox, è recentemente tornato alla ribalta. Qual è la situazione attuale in Italia per quanto riguarda la diffusione del virus?
Prof. Giovanni Rezza. Come è noto, esistono due clade (ceppi) principali di Mpox (il nome è stato cambiato in quanto le scimmie, pur ammalando, non rappresentano il vero serbatoio dell’infezione): il clade 1, presente soprattutto in Africa centrale (Repubblica Democratica del Congo) e il clade 2, che circola invece in Africa Occidentale (Nigeria e paesi confinanti). Il clade 1 tende ad essere più virulento e aggressivo del clade 2. Quest’ultimo causò focolai epidemici in Europa nel 2022, colpendo in particolare persone sessualmente promiscue quali ad esempio sottogruppi di uomini che hanno rapporti con altri uomini. Il virus infatti viene trasmesso attraverso il contatto stretto con le lesioni (pustole) che si formano su pelle e mucose, e in misura minore per via respiratoria (ma non aerea, a distanza). Questo è il motivo per cui in Africa vengono colpiti, oltre a persone che hanno contatti stretti (rapporti sessuali) con soggetti infetti, anche i bambini (si pensi ai contatti che avvengono all’interno di una famiglia numerosa in spazi sovraffollati. In Italia, dopo aver raggiunto un picco, l’incidenza di infezioni da clade 2 è rapidamente diminuita, anche se sono state segnalate ancora alcune decine di casi nel 2024. Non abbiamo invece ancora assistito ad alcuna diffusione del più aggressivo clade 1, quello per il quale l’OMS ha recentemente lanciato un allarme, definendolo “PHEIC”, ovvero Public Health Emergency of International Concern.
2. Domanda. Nell’articolo de “Il Messaggero” si discute dell’importanza del vaccino contro il vaiolo delle scimmie. Qual è lo stato della vaccinazione in Italia e chi dovrebbe considerare di vaccinarsi?
Prof. Giovanni Rezza. In effetti la circolazione del Mpox è aumentata a partire dagli anni ’80-’90, dapprima soprattutto fra i bambini, in quanto a fine anni ’70 si smise di vaccinare contro il vaiolo, un cugino stretto ma ben più pericoloso del Mpox. Il vaccino contro il vaiolo, infatti, proteggeva in più dell’80% dei casi anche contro Mpox. L’aumento della popolazione suscettibile, ovvero non protetta, ha quindi favorito la diffusione del Mpox in Africa. In Italia, sin dal 2022, il vaccino viene offerto a persone ad alto rischio di infezioni trasmesse per via sessuale, quale ad esempio l’HIV (in genere si somministrano due dosi di vaccino di terza generazione ai non vaccinati e una sola dose alle persone di oltre 50 anni, che erano quindi state già vaccinate contro il vaiolo col vecchio vaccino). Non esiste alcuna indicazione a una vaccinazione di massa.
3. Domanda. L’OMS sta per pubblicare una nuova guida per affrontare l’epidemia di Mpox. Quali raccomandazioni si aspetta che vengano incluse e come potrebbero influenzare le strategie di prevenzione in Italia?
Prof. Giovanni Rezza. L’OMS, che nel 2022 aveva già definito PHEIC il clade 2 di Mpox (allarme poi rapidamente rientrato), ha ora deciso di dichiarare di nuovo la PHEIC per il clade 1 di Mpox, in particolare dopo la diffusione della variante 1b (che sarebbe maggiormente contagiosa, anche se ciò non è del tutto dimostrato) in RDC e in altri paesi dell’Africa centro-sud-orientale. Credo che la decisione sia stata in qualche modo influenzata dal fatto che i CDC (Centers for Diseases Control) africani avevano già dichiarato Mpox emergenza regionale. L’OMS, a quel punto si è trovata di fronte a un bivio: non fare nulla e aspettare monitorando la situazione o dichiarare l’allerta globale (non potendo Ginevra dichiarare una emergenza regionale). In termini pratici ciò presuppone un maggior coordinamento tra i paesi per affrontare l’emergenza a livello internazionale. Inoltre, dal momento che il vaccino di terza generazione (piuttosto efficace e certamente più sicuro rispetto al vecchio vaccino anti-vaioloso) è prodotto da un’univa azienda (danese). Quindi penso che la dichiarazione di PHEIC miri pure a stimolare la raccolta di fondi e la produzione di vaccino su ampia scala per favorire l’accesso alla vaccinazione in Africa. Naturalmente, la dichiarazione di PHEIC non significa in alcun modo che siamo attualmente di fronte a una “pandemia” (si pensi che anche la polio, la cui circolazione è ristretta a pochi paesi, è ancora considerata una PHEIC).
4. Domanda. Quali sono le principali sfide che l’Italia sta affrontando nella gestione dell’epidemia di Mpox? C’è qualcosa che possiamo fare di più per prevenire ulteriori focolai?
Prof. Giovanni Rezza. In Italia al momento abbiamo una bassa circolazione della variante meno aggressiva, che già nel 2022-2023 era stata controllata attraverso un’opera di informazione fra le comunità a maggior rischio. Inoltre le Regioni hanno a disposizione dosi di vaccino il cui target è per ora estremamente specifico, essendo destinato a persone ad alto rischio di infezioni sessualmente trasmesse.
5. Domanda. Considerando le precedenti esperienze con la pandemia di COVID-19, in che modo queste hanno influenzato le strategie adottate per il controllo dell’epidemia di Mpox? Esistono differenze significative tra le modalità di trasmissione e prevenzione del COVID-19 rispetto a quelle dell’Mpox?
Prof. Giovanni Rezza. Ritengo che si tratti di problemi estremamente diversi. Il COVID-19 – causato da SARS-CoV-2 – si trasmette principalmente per via respiratoria, anche a una certa distanza (per via aerea) in caso di tosse o starnuti. Il suo controllo è quindi più difficile rispetto a quello di un’infezione che si trasmette soprattutto per contatto diretto o comunque molto stretto. Inoltre, nel caso di Mpox abbiamo già un vaccino a disposizione, mentre nei confronti del coronavirus è stato necessario correre per mettere a punto questo importante strumento di prevenzione in tempi relativamente brevi. La lezione imparata dal COVID-19 è comunque quella di non farsi trovare impreparati, mettendo a punto strumenti e procedure pur senza allarmare inutilmente la popolazione.
6. Domanda. L’OMS gioca un ruolo cruciale nel coordinare la risposta globale alle emergenze sanitarie. Come valuta l’efficacia delle sue azioni nella gestione dell’epidemia di Mpox finora?
Prof. Giovanni Rezza. L’OMS svolge un ruolo importante, anche se l’efficacia dei suoi interventi è stata variabile nel corso del tempo. Reagì prontamente nei confronti della SARS nel 2013, mentre la risposta fu lenta all’epoca dell’epidemia di Ebola in Africa occidentale, con qualche incertezza nel triennio pandemico (ma affrontare un virus nuovo non sempre è facile). Nei confronti di Mpox è presto per trarre un bilancio, ma mi sembra che si sia preferito anticipare i tempi di risposta in modo da non rischiare poi di essere accusati di lentezza burocratica o connivenza con i paesi colpiti come avvenne invece durante l’epidemia di Ebola.
7. Domanda. Quali sono le sfide principali che vede nella collaborazione internazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie emergenti come il Mpox?
Prof. Giovanni Rezza. Bisognerebbe condividere i dati in tempo reale, in modo da migliorare le conoscenze su modalità di trasmissione, aspetti clinici e approcci terapeutici, ed esplorare le vie migliori per favorire l’accesso mirato ai vaccini laddove ce ne sia bisogno. Il che vuol dire avere delle scorte nei paesi industrializzati, ma riuscire a favorire l’accesso al vaccino in paesi poveri di risorse pur garantendo le necessarie entrate alle aziende produttrici. Il rapporto fra pubblico e privato in questa direzione è fondamentale.
8. Domanda. In che modo possiamo migliorare la comunicazione pubblica riguardo alle misure preventive contro l’Mpox per evitare disinformazione e panico?
Prof. Giovanni Rezza. La vera sfida è mantenere un livello di informazione trasparente di elevata qualità evitando da un lato omissioni dall’altro la notizia strillata. Credo che il triennio pandemico COVID-19 in questo rappresenti un esempio negativo, dal momento che si sono spesso confrontate opinioni anche fra gli esperti, confrontandosi posizioni eccessivamente allarmistiche con affermazioni a volte estremamente rassicuranti ma non basate su evidenze. L’esempio della BBC, in cui molto spazio viene lasciato a professionisti della comunicazione, mentre gli esperti – piuttosto che esprimere opinioni nei talk show – si limitano a rilasciare brevi interviste basate su evidenze scientifiche, credo sia un esempio illuminate di come poter meglio comunicare in maniera peraltro non sensazionalistica.
9. Domanda. Qual è il ruolo della comunità scientifica e dei media nel garantire che le informazioni sull’Mpox siano accurate e accessibili al grande pubblico?
Prof. Giovanni Rezza. Come accennavo sopra, la comunità scientifica dovrebbe assicurare una informazione di qualità, evidenziando le certezze ma anche i margini di incertezza, che andrebbero comunicati. In modo da evitare di esprimere opinioni che potrebbero essere sconfessate nel giro di pochi giorni. I media dovrebbero essere in grado di accertare l’effettiva credibilità dell’interlocutore, essendo in grado di giudicare anche la specifica esperienza curriculare dell’esperto.
10. Domanda. Dopo la pandemia di COVID-19 e ora l’emergenza Mpox, quali ritiene siano le priorità principali per la salute pubblica in Italia nei prossimi anni?
Prof. Giovanni Rezza. Nonostante mi sia occupato per una vita di epidemiologia delle malattie infettive, credo che queste non rappresentino le uniche priorità del nostro Paese. L’invecchiamento della popolazione e le malattie cronico-degenerative rappresentano un importante problema di sanità pubblica. Malattie cardiovascolari e tumori rappresentano le principali cause di mortalità nei paesi a PIL elevato, e ricordiamo come gli incidenti – colpendo soprattutto i giovani – siano un importante determinante di anni di vita persi.
11. Domanda. Come possiamo migliorare la preparazione del nostro sistema sanitario per rispondere a future emergenze sanitarie globali?
Prof. Giovanni Rezza. È sicuramente importante far tesoro della lezione del COVID-19, aggiornando i piani pandemici e soprattutto rendendoli materia vita, tramite il mantenimento di scorte di farmaci e vaccini, e preparandosi a rispondere efficacemente in caso di emergenza attraverso esercitazioni e simulazioni. Soprattutto, però, è fondamentale mantenere elevata l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, garantendo una adeguata fornitura di servizi, siano essi erogati direttamente dal pubblico o dal provato convenzionato, a tutti i cittadini. Non possiamo pensare di affrontare una emergenza se non si risolvono i problemi legati alla medicina territoriale, ai pronto soccorso e alle liste di attesa già in tempi di “pace”. Su questo mi pare che le idee siano chiare, più difficile è chiaramente trovare soluzioni adeguate e finanziariamente sostenibili.
12. Domanda. Guardando al futuro, quali ritiene saranno le principali minacce emergenti in ambito di salute pubblica e quali misure preventive potrebbero essere implementate fin da ora?
Prof. Giovanni Rezza. Credo che dovremmo tornare a pensare a 360 gradi, tenendo conto sia delle minacce infettive che quelle legate alle malattie non trasmissibili, ma soprattutto garantire l’efficienza del sistema. Le infezioni legate all’assistenza, ad esempio, rappresentano un esempio paradigmatico di come procedure assistenziali non adeguate possano a loro volta causare un aggravamento delle condizioni di salute preesistenti e un aumento dei costi legati all’assistenza stessa. L’influenza aviaria potrebbe rappresentare la prossima emergenza pandemica, ma è inutile gridare al lupo al lupo, allarmando inutilmente i cittadini, mentre è estremamente importante lavorare in silenzio per prepararsi a una possibile (non sappiamo ancora quanto probabile e in che tempi) crisi globale.
13. Domanda. Prof. Rezza, dopo anni dedicati alla salute pubblica, cosa la motiva a continuare a lavorare in un campo così impegnativo?
Prof. Giovanni Rezza. Credo di avere avuto la fortuna di occuparmi di argomenti estremamente interessanti e importanti per i cittadini e la comunità. Certi interessi non si abbandonano da un giorno all’altro. Naturalmente, bisogna capire anche quando è il momento di cambiare, e per questo, pur dedicando ancora uno spazio alla ricerca, mi sto attualmente impegnando soprattutto nella formazione accademica.
14. Domanda. Se potesse trasmettere un messaggio ai giovani scienziati che desiderano seguire una carriera in epidemiologia, quale sarebbe?
Prof. Giovanni Rezza. Vale per l’epidemiologia e la sanità pubblica quello che vale anche per la clinica. L’interesse personale per la materia è la cosa più importante, ma naturalmente bisogna anche valutare la possibilità di crearsi opportuni e gratificanti sbocchi personali. Poi, dal punto di vista formativo, seguire master e altre attività accademiche specifiche, ma soprattutto cercare di farsi un’esperienza all’estero, per migliorare le abilità linguistiche e aprire la mente. Dopodichè ci vuole un po’ di fortuna, come in tutti i campi….