All’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles grande successo per “L’arte triestina al femminile nel ‘900 d’avanguardia italiano ed europeo”
Ampio risalto da parte della stampa belga alla mostra “L’arte triestina al femminile nel ‘900 d’avanguardia italiano ed europeo” aperta fino al 31 luglio all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles: un seguito agli antichi legami tra Trieste e la capitale belga.
In vista dell’approssimarsi della chiusura della mostra “L’arte triestina al femminile nel ‘900 d’avanguardia italiano ed europeo”, ideata e curata da Marianna Accerboni, un numero crescente di visitatori accede quotidianamente all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, dove la rassegna rimarrà visitabile fino al 31 luglio.
Ampio risalto è stato per altro dato da parte della stampa belga all’evento espositivo: tra gli altri, “La Libre Belgique”, il più importante e storico quotidiano belga in lingua francese, fondato nel 1883, ha dedicato all’esposizione, visitata e apprezzata finora da un ampio pubblico internazionale, un’intera pagina con un articolo molto approfondito e sensibile di Aurore Vaucelle, nota e brillante giornalista del settore cultura del quotidiano belga e fondatrice e conduttrice di “La Libre Explore”, sezione storico-culturale che accompagna i lettori in un viaggio di reportage e di approfondimento.
Traendo spunto dalla mostra, che racconta l’avanguardia delle donne triestine nella vita e nell’arte attraverso cinque artiste iconiche (Leonor Fini, Maria Lupieri, Maria Melan, Anita Pittoni, Miela Reina), Vaucelle traccia con maestria un ritratto inedito del milieu culturale triestino della prima metà del ‘900, costellato di personaggi d’eccezione, tra cui Joyce, Svevo e Saba, Leo Castelli, Gillo Dorfles, Bobi Bazlen. Che sarebbero divenuti noti a livello internazionale e che permearono di sé l’ambiente culturale triestino dell’epoca frequentato assiduamente dalle cinque artiste. Un milieu, nel cui controluce s’intravvedeva anche la figura dello psicanalista triestino Edoardo Weiss, allievo di Freud, che attraverso Trieste traghettò la psicanalisi in Italia.
Il fascino glamour di cui attualmente gode Trieste – “La città celeste” descritta dallo scrittore Diego Marani, da poco riscoperta da un pubblico internazionale – proviene certamente da questo passato d’eccezione, ora noto nel cuore d’Europa, grazie anche a questa mostra.
E vanno pure ricordati gli antichi e forti legami che sussistono fra Bruxelles e Trieste. La capitale belga, considerata nell’Ottocento la più bella città d’Europa in virtù dell’eleganza dei suoi edifici, dovuta anche ai ricchi proventi derivanti dalle miniere del Congo, fu meta di studio e di lavoro da parte di vari artisti di Trieste e dei territori limitrofi. Tra questi, per esempio, Edmondo Passauro (Trieste 1893 – 1969), ritrattista, pittore di figura e maestro di Leonor Fini, che influenzò molto la pittrice nell’ispirazione e nello stile almeno finchè lei partì per Parigi. Nel 1930 Passauro si trasferì a Bruxelles, apprezzato e richiesto soprattutto dall’aristocrazia belga e dalla ricca borghesia europea.
E anche il grande pittore Cesare Dell’Acqua (Pirano d’Istria, allora Impero asburgico, oggi Slovenia, 1821 – Bruxelles 1905), cantore attraverso le sue opere dei fasti storico-economici di Trieste, si trasferì nel 1848 nella capitale belga, dove frequentò lo studio del noto artista Louis Gallait, raggiungendo presto largo successo e fama. Tant’è che il dipinto di Dell’Acqua intitolato “Marinai di diverse nazioni nel porto di Trieste” e altri suoi lavori di tema triestino furono acquistati da re del Belgio al salone della Società belga degli acquerellisti e sono tuttora conservate nelle Collezioni Reali di Bruxelles, a testimonianza dell’interesse della casa regnante per Trieste. In particolare un acquerello di grandi dimensioni di Dell’Acqua, dedicato al circo, troneggiava nella stanza da letto della regina Astrid.
Inoltre la principessa Carlotta del Belgio (Laeken, 1840 – Meise, 1927), unica figlia di re Leopoldo I, sposò l’arciduca Massimiliano d’Austria, fratello dell’imperatore d’Austria e Ungheria Francesco Giuseppe, e venne ad abitare a Trieste (allora appartenente all’Impero asburgico) prima nel Castelletto e poi nel romantico Castello di Miramare, che il consorte aveva fatto erigere per loro. La coppia vi risiedette per alcuni anni fino alla partenza per il Messico, dove Massimiliano sarebbe divenuto imperatore e poi fucilato. Già prima della sua morte Carlotta era ritornata a vivere al Castello, dove nel 1867 si sarebbero svolte le lunghe trattative tra le delegazioni belga e austriaca per la spartizione dell’eredità dell’arciduca. Costretta infine dalle circostanze a lasciare Trieste e il suo “nido d’amore costruito invano” (come il poeta Giosuè Carducci chiamò Miramare), Carlotta fece ritorno lo stesso anno nel suo paese natale, dove sarebbe rimasta per sempre.