
(AGENPARL) – mer 10 aprile 2024 “UZBEKISTAN: L’AVANGUARDIA NEL DESERTO. LA FORMA E IL SIMBOLO”
VENEZIA, CA’ FOSCARI ESPOSIZIONI
17 APRILE – 29 SETTEMBRE 2024
PROGETTO ESPOSITIVO A CURA DI SILVIA BURINI E GIUSEPPE BARBIERI
PRESS PREVIEW
Preview per la stampa martedì 16 aprile 2024 10.00-15.00
Inaugurazione martedì 16 aprile, 16.30
ORARI E APERTURE STRAORDINARIE
Martedì-Domenica: 10.00 -18.00
Lunedì chiuso
Ingresso libero
Apertura straordinaria serale sabato 22 giugno in occasione di Art Night
Comunicato stampa
L’Avanguardia nel deserto: una storia mai raccontata
La mostra “Uzbekistan. L’Avanguardia nel deserto” presenta per la prima volta al pubblico italiano e del
mondo occidentale una pagina straordinaria e ancora poco nota dell’arte della prima metà del XX sec. Il
progetto espositivo unitario si dispone in due sedi prestigiose (oltre che a Venezia anche a Firenze, Palazzo
Pitti), è promosso e sostenuto dalla Fondazione Uzbekistan Cultura ed è curato da Silvia Burini e Giuseppe
Barbieri, direttori del Centro Studi sull’Arte Russa dell’Università Ca’ Foscari Venezia, coadiuvati da un
prestigioso comitato scientifico internazionale; mette insieme, in un arco cronologico dalla fine
dell’Ottocento al 1945, circa 100 opere (soprattutto dipinti su tela e su carta, cui si aggiungono
emblematici reperti della tradizione tessile uzbeka) provenienti dal Museo Statale delle Arti
dell’Uzbekistan di Tashkent e dal Museo Statale delle Arti del Karakalpakstan intitolato a I.V. Savickij di
Nukus, quello che la stampa internazionale indica da qualche anno, non impropriamente, come “il Louvre
del deserto”.
È la prima esposizione nella storia a stabilire delle precise relazioni tra le due più importanti raccolte
d’arte del Novecento presenti in Uzbekistan: si tratta di un elemento fondamentale per comprendere la
profondità di una vicenda artistica come questa, ma non è l’unica novità della mostra. Finora si era
pensato infatti alle opere e agli artisti anche più innovativi che lavorano in Centro Asia nel terzo e quarto
decennio del Novecento come a una declinazione periferica e marginale della grande svolta operata nelle
capitali russe dal 1898 al 1922 da una straordinaria generazione di artisti (Fal’k, Kandinskij, Ekster, Lentulov,
Rod?enko ecc.). Ciò che invece si potrà osservare è la genesi e il successivo sviluppo di una autentica
scuola nazionale, di una “Avanguardia Orientalis” affascinante e unica (con importanti opere in mostra di
Volkov, Karachan, Kašina, Korovaj, Tansykbaev, Usto Mumin). Un risultato straordinario, che è stato
possibile ottenere solo affiancando la raccolta del Museo Statale delle Arti dell’Uzbekistan di Tashkent
(dove già all’inizio degli anni ’20 erano presenti importanti capolavori dell’Avanguardia russa, tra cui 4
opere di Kandinskij) con quella di Nukus: da una parte l’anticipata ricezione di una matrice di grande
modernità, che riprende e diffonde anche tutte le esperienze dell’Europa occidentale, dall’altra la sua
trasformazione in un linguaggio totalmente originale, multietnico e interdisciplinare.
La mostra presenta come sottotitolo “La forma e il simbolo”. Il primo termine rinvia all’influenza esercitata
sulla pittura del Centro Asia dall’Avanguardia storica russa mediante le opere in parte inviate a Tashkent,
in altra parte raccolte da Savickij a Nukus: una selezione di segni di straordinaria qualità, mai in
precedenza inviati fuori dei confini dell’Uzbekistan, tra cui 4 opere di Kandinskij (due olii e due disegni su
carta): Lentulov, Maškov, Popova, Rod?enko, Rozanova sono solo alcuni dei protagonisti di uno scenario,
quello della nascita dell’astrattismo, da tempo riconosciuto come uno dei fondamenti dell’arte mondiale
del Novecento.
A queste si aggiunge un’ampia selezione di opere dell’Avanguardia Orientalis. Sono l’esito di un dialogo
culturale e artistico profondissimo: da una parte le secolari tradizioni delle sete sfavillanti e la raffinata
palette delle decorazioni architettoniche che riprendono i colori del cielo e degli scenari naturali, l’incedere
degli animali e i suoni di una lunga vicenda musicale; dall’altra l’esigenza non più rinviabile di un codice
pittorico nuovo, mai in precedenza sperimentato nell’Oriente islamico. È proprio questo rapporto a
conferire uno spessore simbolico alle opere su tela e su carta che sono esposte.
Si tratta inoltre di un dialogo interculturale, che mette insieme artisti uzbeki, kazaki, armeni, russi
d’Oriente, siberiani, quasi tutti formatisi a Mosca e a Pietrogrado, ma tutti radicati in una terra che
scoprono e in cui scelgono di vivere e lavorare. L’Avanguardia Orientalis è pertanto un’Avanguardia
inclusiva, di confronto e collaborazioni, di incontri e di comuni ascendenze.
È una storia spesso avventurosa, che la mostra di Venezia ha scelto di declinare ponendo su un piano di
pari dignità i segni pittorici e grafici e quelli delle arti applicate, con una selezione di manufatti tessili che
da una parte rivelano insospettabili consonanze con le moderne frontiere dell’arte, e insieme trasmettono,
dall’altra, un patrimonio culturale profondamente simbolico, legato ad antichi culti e a pratiche millenarie.
La rassegna di Ca’ Foscari è anche l’occasione per richiamare l’attenzione internazionale sulla figura e
l’opera di Igor’ Savickij.
La leggendaria figura di Savickij è la base del percorso, che ha tra i suoi obiettivi anche quello di far
conoscere a un pubblico di non solo addetti ai lavori una personalità essenziale per preservare e
tramandare molti aspetti, non solo dell’arte del XX sec., ma del complessivo Cultural Heritage
dell’Uzbekistan. A lui si deve, nel bel mezzo del deserto nel Karakalpakstan, nella parte nord-occidentale
dell’Uzbekistan, la costituzione di una delle più grandi collezioni di arte d’Avanguardia russa nel mondo,
seconda in termini di quantità solo a quella del Museo Russo di San Pietroburgo, e pressoché unica
testimonianza di uno dei più importanti movimenti artistici della storia russa del XX sec.
Archeologo di formazione, pittore per diletto e talento, collezionista per felice ossessione, dalla fine degli
anni ’50 e fino agli anni ’70 del ‘900 Savickij ha raccolto a Nukus migliaia di reperti archeologici e manufatti
di artigianato e arte popolare della regione, affiancandoli col tempo ad altre molte migliaia di dipinti e di
fogli di grafica provenienti dall’Uzbekistan e dall’Unione Sovietica, in una concezione attualissima di
“museo sintetico”, che la mostra riprende e ragiona nell’ampio catalogo Electa, come pure nella
disposizione delle opere e nell’originale allestimento multimediale veneziano.
Savickij ha viaggiato senza sosta per raccogliere migliaia di opere d’arte che nel frattempo erano ormai
scomparse anche dall’orizzonte e dalla memoria degli studi: le ha rintracciate negli atelier degli artisti o le
ha acquistate da vedove ed eredi, nei “deserti” del rifiuto staliniano e post staliniano per la modernità
dell’Avanguardia di inizio Novecento. Ha mantenuto al centro dei suoi interessi le opere degli artisti che
avevano vissuto a lavorato nel Turkestan, dove lui stesso era stato evacuato negli anni della Seconda
Guerra Mondiale. Ha fatto rivivere nel deserto di Nukus le radici dell’arte moderna in Uzbekistan.
A Savickij si deve anche la comprensione e la raccolta di un importante, e pressoché inedito, gruppo di
opere, pittoriche e grafiche, del Gruppo Amaravella, impegnato, in un breve volgere di anni, tra 1923 e
1928, a tradurre visivamente, nel solco della lezione di Nikolaj Rerich, i nodi cruciali delle teorie cosmiste
all’epoca diffuse nel mondo russo. Il Museo di Nukus è il principale contenitore (e tra i pochissimi al mondo)
di opere del Gruppo, che saranno esposte per la prima volta a Ca’ Foscari.