(AGENPARL) - Roma, 15 Marzo 2024(AGENPARL) – ven 15 marzo 2024 SINOSSI
L’incontro tra un vecchio padre ed un figlio.
Mariano non è il padre di Dario e Dario non è suo figlio, ma questo non conta. Si
regalano una seconda occasione: l’opportunità di viaggiare indietro nel tempo, di
confrontarsi con ciò che ognuno di loro ha perduto e che, per un istante,
magicamente, ritrova.
Un film sul potere dell’immaginazione, sull’empatia, sulla capacità d’ascolto.
RELAZIONE ARTISTICA DEI REGISTI
Centrale e ricorrente nella scrittura di D’Ambrosi e De Santis è l’astrazione dal piano
della realtà, una narrazione onirica e metaforica che ricerca costantemente
l’evasione dai confini
dello spazio e del tempo, attraverso accadimenti
extra-ordinari, ai limiti del favolistico. Anche in questa storia il dramma personale di
Mariano è stato narrato con una vena surreale, simbolica, dagli accenti ironici. Una
scrittura che predilige l’essenzialità nei dialoghi e il procedere della narrazione per
immagini. A dominare la narrazione di MEDLEY è l’incrollabile fiducia nel potere
salvifico dell’immaginazione, lo strumento più efficace per resistere alle difficoltà
della vita, alle barriere della solitudine e agli orrori del mondo.
Lo stimolo creativo originario, alla base della storia, risiede nella volontà di
comprendere cosa accadrebbe se due perfetti sconosciuti fossero costretti a
immaginare di aver condiviso un momento della loro vita e, addirittura, essere stati
legati da un rapporto strettissimo ed indissolubile. Come riuscirebbero a combinare i
propri vissuti personali? Ne scaturisce un racconto che si nutre dei ricordi reali di
entrambi e che li “mischia”, li accorda e li rielabora attraverso l’uso della fantasia,
come accade in un sogno. Del resto “MEDLEY” significa esattamente questo: è un
termine musicale inglese con cui si indica un brano in cui vengono suonate senza
soluzione di continuità, variamente arrangiate e fuse tra loro, parti di canzoni
diverse. Ma come riuscire a giustificare e rendere possibile a livello drammaturgico
una situazione tanto paradossale? Da qui l’idea di raccontare il fortuito incontro tra
un malato di Alzheimer ed un giovane poliziotto che lo soccorre, tra un padre alla
disperata ricerca di un figlio perduto e un figlio a cui è mancata la figura paterna.
Viene così offerta ai due protagonisti la possibilità di tornare indietro e modificare un
istante della loro vita, riformularlo insieme, rimediando agli errori commessi, e dar
vita ad un nuovo ricordo, fittizio si, ma ugualmente capace di modificare la loro
percezione della realtà presente.
In fondo uno dei dilemmi dell’essere umano, da sempre, consiste nell’impossibilità di
poter tornare indietro e cambiare il passato o, addirittura, cancellarlo. Questo
concetto ha ispirato Charlie Kaufman e Michel Gondry in “Eternal sunshine of the
spotless mind”, che è certamente una references non solo tematica, ma anche
narrativa di questo cortometraggio.
Nel finale di MEDLEY, Dario modifica il ricordo dell’evento doloroso che Mariano ha
vissuto, donandogli la possibilità di un’assoluzione insperata: accettando infatti di
vestire momentaneamente i panni del figlio, il poliziotto si fa carico della sofferenza
che quel bambino deve aver subito, così simile a quella che lui stesso ha vissuto, la
accetta e, infine, la perdona. Perchè il senso di colpa di chi sbaglia può essere
lenito solo da chi ha ricevuto il torto.
D’altro canto, lo sguardo di Mariano, come quello di un bambino, è incantato, curioso
e libero e permette a Dario di fermarsi ad osservare la realtà da una prospettiva
diversa, di percepire la naturale e semplice fragilità e bellezza dell’animo umano,
l’importanza del rapporto padre figlio e di immedesimarsi in una figura con la quale è
da tempo in conflitto, comprendendo “l’uomo”, con le sue debolezze e fragilità, e
perdonando così il “padre”. L’uso dei flashback e di incursioni allucinatorie, che
frammentano la narrazione cronologica degli eventi, produce la possibilità di far
coesistere diversi piani temporali e, sopratutto, di far incontrare e dialogare i
protagonisti con i loro “sè” del passato.
Pervaso di simboli e metafore, tanto sul piano drammaturgico quanto su quello
visivo, fotografico e stilistico, MEDLEY è un film fortemente evocativo, trasversale,
che si presta a diversi piani di lettura e interpretazione e che è adatto, per
l’universalità del tema trattato, ad essere fruito da un pubblico vastissimo e
internazionale, caratteristica fondamentale per la circuitazione festivaliera a cui sarà
destinato.
La narrazione alterna e fa coesistere generi e atmosfere diverse, fattore che
rende questo film originale nel panorama italiano attuale, spesso dominato da una
rigida divisione tra commedia e dramma. Il susseguirsi e l’alternanza tra scene
oniriche, flashback e situazioni di vita concrete, quotidiane, l’oscillare tra la
commedia agrodolce all’italiana e scene drammatiche e commoventi, e il frequente
cambiamento di tono e ritmo narrativo, mantengono costantemente viva l’attenzione
e il coinvolgimenti. A stemperare la suspense ed il dramma intervengono
contrappunti di humor affidati all’istrionico e imprevedibile carattere del personaggio
di Mariano, interpretato con maestria da Mariano Rigillo, dando vita così ad un
linguaggio cinematografico intimo e personale, dal sapore agrodolce.
Il lavoro sui colori, sulla simmetria e sulle inquadrature risulta protagonista quanto la
storia. Le scelte cromatiche diventano un modo per far relazionare i personaggi allo
spazio che li circonda.
Lo stile della regia si baserà su una visione onirica della realtà, in cui hanno
particolare
rilevanza i ricordi personali dei protagonisti, l’immaginazione, la
comunicazione interpersonale e la malinconia per il tempo ormai passato.
Di centrale importanza è stato lo studio e la realizzazione dei costumi di scena di
Ginevra Polverelli e della scenografia di Max Sturiale. Ogni ambientazione è pensata
in funzione dell’atmosfera emotiva
delle scene, facendo in modo che le
caratteristiche dei protagonisti si riflettano nell’estetica delle location in cui agiscono.
